«Ti dirò», riprese nonna Mazur. «È stato il miglior servizio funebre a cui ho assistito questo mese. Tony aveva un aspetto magnifico, gli avevano messo una cravatta decorata con tante teste di cavallo.»
«Finora abbiamo ricevuto sette telefonate», la interruppe mia madre. «Ho spiegato a tutti che stamattina s’era scordata di prendere la medicina.»
Nonna Mazur sbatté i denti. «Nessuno s’intende di moda, da queste parti, non puoi mai vestirti in modo diverso.» Si guardò gli shorts e mi chiese un po’ perplessa: «Che ne pensi? Non credi che siano adatti per una cerimonia pomeridiana?»
«Certo», risposi. «Ma di sera consiglierei pantaloncini neri.»
«Proprio quello che pensavo. Devo procurarmene un paio.»
Alle otto ero sazia della buona cena, della casa stipata di mobili e pronta ancora una volta a riprendere la mia vita indipendente. Uscii dalla casa dei miei genitori con le braccia cariche di avanzi della cena e tornai al mio appartamento.
Per gran parte della giornata avevo evitato di pensare all’esplosione della Cherokee, ma adesso era il momento di guardare in faccia la realtà. Qualcuno aveva tentato di uccidermi, e non era Ramirez. Lui voleva solo infliggermi dolore e sentirmi chiedere pietà. Il campione era un essere abominevole e spaventoso, ma prevedibile. Sapevo da dove proveniva, era un pazzo criminale.
Piazzare una bomba era una diversa forma di pazzia. Una mossa calcolata e con uno scopo ben preciso. Una bomba serviva per togliere di mezzo un individuo, qualcuno che dava fastidio.
Perché proprio io? pensavo. Chi poteva volermi morta? L’interrogativo mi fece serpeggiare un brivido lungo la schiena.
Piazzai la Nova al centro del parcheggio e mi chiesi se l’indomani mattina avrei avuto il coraggio di premere l’acceleratore. L’auto di Morelli era stata rimossa e c’erano poche tracce dell’incendio. Il piazzale era brunito e segnato nel punto in cui era bruciata la jeep, ma non c’era alcun segno del nastro usato dalla polizia per delimitare la scena del delitto, né dei rottami anneriti dal fuoco.
Entrai in casa e vidi che la segreteria telefonica lampeggiava furiosamente. Dorsey aveva chiamato tre volte, pregandomi di farmi viva. Non sembrava troppo cordiale. Poi aveva chiamato Bernie per annunciare che la ditta lanciava una vendita promozionale e mi invitava a passare nel suo negozio. Venti per cento di sconto per i frullatori più una bottiglia di daiquiri in omaggio ai primi venti clienti. Mi luccicarono gli occhi al pensiero di un daiquiri. Mi restava ancora qualche dollaro e quei frullatori dovevano essere proprio un affare. L’ultima telefonata era di Jimmy Alpha, con altre scuse e l’augurio che Ramirez non mi avesse ferita troppo gravemente.
Guardai l’orologio, erano quasi le nove. Non ce la facevo ad andare da Bernie prima che chiudesse il negozio. Peccato. Ero sicura che dopo un daiquiri sarei stata in grado di pensare più chiaramente e magari immaginare chi aveva tentato di mandarmi in orbita.
Accesi il televisore e sedetti, ma la mia mente era altrove, stava passando in rassegna i potenziali assassini. Degli uomini che avevo catturato, soltanto Lonnie Dodd avrebbe potuto esserlo, ma il ragazzo era in galera. Più probabile che questa faccenda avesse a che fare con l’omicidio di Kulesza. Qualcuno era preoccupato per il fatto che andassi in giro a curiosare. Ma non riuscivo a immaginare chi volesse uccidermi. La morte era una cosa seria.
Doveva esserci qualcosa che mi era sfuggito e che si riferiva a Carmen, a Kulesza o a Morelli. Oppure al testimone misterioso.
Un cattivo pensiero si agitava in un angolo del mio cervello. Tutto sommato, io costituivo un’autentica minaccia mortale per una persona sola: Morelli.
Alle undici suonò il telefono, risposi prima della segreteria telefonica.
«Sei sola?» s’informò Morelli.
Esitai un attimo. «Sì.»
«Perché hai esitato?»
«Tu che cosa provi a parlare di omicidio?»
«Omicidio di chi?» si stupì lui.
«Il mio.»
«Sono fuori di me.»
«Era solo una domanda.»
«Vengo su», tagliò corto lui. «Aspettami alla porta.»
Infilai la bomboletta nella cintura degli shorts e la coprii con la maglietta. Incollai l’occhio allo spioncino e aprii la porta quando vidi Morelli avanzare nel corridoio. Ogni giorno che passava il suo aspetto sembrava peggiorare. Aveva bisogno di farsi tagliare i capelli e sembrava che non si radesse da una settimana, anche se in realtà forse non si sbarbava solo da un paio di giorni. Jeans e maglietta sembravano gli indumenti di un barbone.
Morelli chiuse l’uscio e fece scattare la chiave. Notò la mia faccia bruciacchiata e i lividi sul braccio. Aveva un’espressione cupa. «Vuoi dirmi che cosa è successo?»
«Il labbro tagliato e i lividi sono opera di Ramirez. Abbiamo avuto una lite, ma credo di aver vinto io. L’ho colpito con il gas e l’ho lasciato che vomitava in mezzo alla strada.»
«E le sopracciglia bruciate?»
«Mmmm. Ecco, questo è piuttosto complicato.»
Lui si rabbuiò. «Che cosa è accaduto?»
«La tua auto è esplosa.»
Nessuna reazione per alcuni secondi. «Vuoi ripetere?» chiese alla fine.
«La buona notizia è che non devi più preoccuparti di Morty Beyers.»
«E quella cattiva?» incalzò lui.
Presi la targa dal banco della cucina e gliela diedi. «È tutto ciò che è rimasto della tua macchina.»
Lui fissò la targa scosso e in silenzio.
Gli riferii che Beyers era stato piantato dalla moglie e che lei l’aveva lasciato senza auto, gli parlai della bomba e delle tre telefonate di Dorsey.
Morelli trasse le stesse conclusioni a cui ero arrivata anch’io. «Non è stato Ramirez.»
«Ho fatto a mente un elenco delle persone che potrebbero volermi morta e il tuo nome è il primo», annunciai.
«Soltanto nei miei sogni», replicò lui. «Chi altro c’è sulla lista?»
«Lonnie Dodd, ma credo che sia ancora in prigione.»
«Hai mai ricevuto minacce di morte? Per esempio da ex mariti o ex boyfriend? Hai investito nessuno, di recente?»
Non volendo dare troppo peso alla domanda, decisi di non reagire in nessun modo.
«Okay», riprese lui. «Dunque pensi che questa storia sia collegata all’omicidio di Kulesza?»
«Sì.»
«Sei spaventata?»
«Sì.»
«Bene, così starai attenta.» Morelli aprì il frigorifero, tirò fuori gli avanzi che mi aveva dato mia madre e li mangiò senza riscaldarli. «Devi essere prudente quando parli con Dorsey. Se quello scopre che lavori con me, potrebbe accusarti di complicità o favoreggiamento.»
«Ho il fastidioso sospetto di esser stata trascinata in una alleanza che non torna a mio vantaggio», gli feci notare.
Lui aprì una birra. «L’unico modo per riscuotere i tuoi diecimila dollari dipende dal fatto che io ti permetta di arrestarmi. E io non te lo permetterò se prima non posso provare la mia innocenza. Se vuoi ritirarti dall’affare, avvertimi, ma dopo dovrai dare un addio al tuo denaro.»
«Questo è un atteggiamento disgustoso.»
Lui scosse la testa. «Realistico.»
«Avrei potuto colpirti con il gas in ogni momento.»
«Non credo proprio.»
Tirai fuori lo spray, ma prima che potessi prendere la mira, lui mi fece volare la bomboletta dalla mano.
«Non vale», protestai. «Te l’aspettavi.»
Lui finì di mangiare il suo sandwich e mise il piatto nella lavastoviglie. «Me l’aspetto sempre.»
«E adesso che facciamo?» domandai.
«Persistiamo. È chiaro che diamo sui nervi a qualcuno.»
«Non mi va di fare il bersaglio», borbottai.
«Non vorrai lamentarti per questo, eh?» Morelli si sistemò davanti al televisore e prese a trafficare con il telecomando. Appariva stanco, seduto con la schiena contro la parete, una gamba piegata sul ginocchio. Sintonizzò l’apparecchio su uno spettacolo notturno e chiuse gli occhi. Il suo respiro si fece profondo e regolare, la testa si abbassò sul petto.
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