Janet Evanovich - Bastardo numero uno

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Bastardo numero uno: краткое содержание, описание и аннотация

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A corto di soldi, Stephanie Plum rimedia un lavoro, nella società di assicurazioni del cugino, come “cacciatrice di teste”, con il compito di consegnare alla polizia tutti gli arrestati rilasciati su cauzione che non si sono presentati in tribunale per il processo. Il suo primo caso è però quello di un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, un ex compagno di liceo di Stephanie, al cui Anche pubblicato come “Tutto per denaro”.

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Stavo per risalire in macchina quando la Porsche di Ramirez passò a gran velocità. Sempre più strano, pensai. Ecco che abbiamo un macellaio, un pistolero e un pugile che si incontrano nel porto della rada di Pachetco. Appariva alquanto improbabile che si ritrovassero per andare a pescare. Se fosse stato Ramirez a inoltrarsi per quella stradina, mi sarei spinta più vicino per dare un’occhiata. Spiegai a me stessa che mi tenevo indietro perché Ramirez poteva riconoscere la Nova. Ma non era tutta la verità. Ramirez era riuscito nel suo intento: la sola vista della sua auto mi mandava in crisi: sudavo freddo per il terrore e avevo seri dubbi sulla mia capacità di reagire a un altro scontro.

Dopo un po’ la Porsche sfrecciò rombando oltre la mia postazione, diretta verso l’autostrada. I finestrini erano oscurati, così non riuscii a capire chi vi fosse a bordo. La vettura però era a due posti: almeno uno dei tre era rimasto al porto. Speravo si trattasse di Louis. Chiamai di nuovo la mia segreteria telefonica, stavolta il messaggio era più urgente. «CHIAMA!»

Era quasi buio quando finalmente il telefono squillò.

«Dove sei?» chiese Morelli.

«Sono al mare. In una stazione di servizio alla periferia di Atlantic City. Ho trovato il testimone, si chiama Louis.»

«È lì con te?»

«È giù sulla strada.» Riferii a Morelli gli avvenimenti della giornata e gli diedi le indicazioni per raggiungere il porto. Presi una lattina di acqua tonica dal distributore automatico della baracca e mi rimisi ad aspettare.

Era già sceso il crepuscolo quando finalmente Morelli si fermò vicino a me con il furgone. Non avevo notato traffico sulla strada da quando era passato Ramirez, perciò ero sicura che il camion non fosse sgusciato via. Avevo pensato che forse Louis poteva essere su una barca, magari per passarvi la notte. Non vedevo altro motivo per cui il camion fosse ancora nel piazzale del porto.

«Il nostro uomo è nel porto?» volle sapere Morelli.

«Per quello che ne so, sì.»

«Ramirez è tornato?»

Feci segno di no con la testa.

«Vado a dare un’occhiata in giro. Tu resta qui», ordinò Morelli.

Non ero più disposta ad aspettare da nessuna parte, ero stufa delle attese. E non mi fidavo completamente di Morelli. Aveva la cattiva abitudine di far promesse allettanti.

Seguii il furgone fino al bordo dell’acqua e parcheggiai. Il camion frigorifero bianco non si era mosso. Louis non si vedeva. Le barche legate alla banchina erano avvolte nell’ombra. Era chiaro che il porto della rada di Pachetco non costituiva un centro di attività frenetica.

Scesi dalla Nova e mi avvicinai a Morelli.

«Mi pareva di averti detto di aspettare alla stazione di servizio», borbottò lui. «Così ci mettiamo in mostra.»

«Ho pensato che potevi aver bisogno d’aiuto per Louis», replicai.

Morelli era sceso dal furgone e stava in piedi accanto a me. Aveva l’aspetto di un pericoloso delinquente, al buio. Sorrise, i suoi denti erano sorprendentemente bianchi accostati alla barba nera. «Bugiarda. Sei preoccupata dei tuoi diecimila dollari.»

«Anche questo.»

Ci fissammo per un momento soppesando in silenzio la situazione.

Finalmente Morelli allungò il braccio attraverso il finestrino aperto, prese una giacca dal sedile e tirò fuori una semiautomatica dalla tasca interna per infilarsela nella cintura dei jeans. «Sarà meglio cercare il mio testimone.»

Ci avvicinammo al camion e sbirciammo nella cabina, vuota e chiusa a chiave. Non c’erano altre auto nel piazzale.

Vicino, l’acqua lambiva i piloni e le barche cigolavano contro gli ormeggi. C’erano quattro moli, ciascuno con quattordici passerelle, sette per ciascun lato, di cui nessuna in uso.

Percorremmo ogni molo sino in fondo, leggendo i nomi delle barche, cercando qualche segno di vita. A metà del terzo molo ci fermammo davanti alla grande Hatteras Convertible con un ponte provvisorio ed entrambi leggemmo il nome dell’imbarcazione: La pupa di Sal.

Morelli salì a bordo e scivolò a poppa. Lo seguii, tenendomi a debita distanza. Il ponte era cosparso di materiale per la pesca: reti, fiocine, arpioni. La porta che conduceva alla cabina era chiusa dall’esterno con un lucchetto; evidentemente Louis non si trovava sull’imbarcazione. Morelli prese dalla tasca una piccola torcia e la puntò sull’oblò della cabina; la maggior parte dell’interno era stata smantellata per la pesca a vasto raggio, alcune panche avevano sostituito un arredamento più lussuoso. La piccola cambusa era ingombra di lattine di birra schiacciate e di mucchi di piatti di carta sporchi. Alla luce della minuscola torcia notammo i residui di una polvere.

«Sal è un tipo disordinato», osservai.

«Sei sicura che Louis non fosse in macchina con Ramirez?» incalzò Morelli.

«Non posso saperlo, l’auto ha i vetri oscurati. Ma ci sono soltanto due sedili, perciò almeno una persona è rimasta qui.»

«Non c’erano altri veicoli sulla strada?»

«No.»

«Potrebbe aver preso l’altra direzione», ragionò Morelli.

«Ma non può andare lontano. Da quella parte la strada finisce dopo meno di un chilometro.»

La luna era bassa nel cielo, creava argentei riflessi sull’acqua. Guardammo indietro, verso il camion frigorifero bianco. Il motore della cella ronzava quietamente nel buio.

«Forse dovremmo dare un’altra occhiata al camion», suggerì Morelli.

Il tono della sua voce mi destò una strana sensazione; non avevo il coraggio di formulare la domanda che mi si era affacciata alla mente. Avevamo già constatato che Louis non era nella cabina del camion. Che cosa era rimasto?

Tornammo presso il veicolo e Morelli osservò attentamente i comandi del termostato esterno del reparto di refrigerazione.

«A che temperatura è fissato?» chiesi.

«Meno dieci.»

«Perché così freddo?»

Morelli si portò allo sportello posteriore. «Tu cosa ne pensi?»

«Qualcuno cerca di congelare qualcosa.»

«È anche la mia ipotesi.» Lo sportello isolante del camion era tenuto chiuso da un pesante catenaccio con lucchetto. Morelli soppesò il lucchetto. «Poteva andar peggio», osservò. Poi corse al furgone e tornò con un seghetto.

Mi guardai attorno nervosamente. Non era il massimo delle mie ambizioni quella di esser sorpresa a rapinare un camion per la carne. «Non c’è un modo migliore?» sussurrai sopra lo stridore del seghetto. «Non puoi far saltare la serratura?»

«Così faccio prima», rispose Morelli. «Tu sta’ attenta, non vorrei che ci fosse un guardiano notturno.»

La lama del seghetto penetrò nel metallo e la serratura scattò. Morelli tirò indietro il catenaccio e diede una spallata al pesante sportello. Nell’interno c’era buio pesto. Lui si issò sul paraurti e io lo seguii, prendendo la mia torcia dalla borsa. L’aria gelida m’investì in pieno, togliendomi il respiro. Tutti e due puntammo il fascio di luce delle torce sulle pareti ghiacciate. Enormi ganci per la carne pendevano vuoti dal soffitto. Vicino allo sportello c’era il grosso bidone degli scarti che avevo visto caricare quello stesso pomeriggio, mentre il bidone vuoto stava poco lontano, il coperchio inclinato contro la parete.

Tenendolo basso, proiettai il fascio di luce della lampadina verso il fondo del veicolo e inghiottii l’aria fredda quando mi resi conto di ciò che vedevo. Louis giaceva sulla schiena a gambe divaricate, gli occhi sbarrati, i piedi rivolti all’esterno. Dal naso gli era colato il muco che si era congelato sulle guance. Una larga chiazza di urina si era cristallizzata sul davanti dei pantaloni. In mezzo alla fronte spiccava un grande foro nero. Sal giaceva accanto a lui, con un foro identico e la stessa espressione sbigottita sulla faccia gelata.

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