Janet Evanovich - Bastardo numero uno

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A corto di soldi, Stephanie Plum rimedia un lavoro, nella società di assicurazioni del cugino, come “cacciatrice di teste”, con il compito di consegnare alla polizia tutti gli arrestati rilasciati su cauzione che non si sono presentati in tribunale per il processo. Il suo primo caso è però quello di un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, un ex compagno di liceo di Stephanie, al cui Anche pubblicato come “Tutto per denaro”.

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Recitai una breve preghiera, strinsi i denti e scattai a testa bassa lanciandomi con violenza contro Alpha e facendogli perdere l’equilibrio.

Lui emise un soffio d’aria e la pistola si scaricò sopra la mia testa mandando in frantumi la finestra. Fossi stata più calma gli avrei sferrato un altro calcio all’inguine, ma agivo senza pensare, con l’adrenalina che mi entrava in circolo a velocità vertiginosa. Lotta o fuggi era il quesito e la fuga sembrava prospettare maggior possibilità di successo.

Mi allontanai dalla porta aperta della camera, in soggiorno. Ero quasi in anticamera quando sentii un altro sparo e una lama di calore mi dilaniò la gamba sinistra. Gridai per il dolore e la sorpresa, persi l’equilibrio e caddi in cucina. Afferrai la borsa sul banco con tutte due le mani e cercai la mia 38. Alpha si spostò alla porta della cucina. Puntò la pistola e prese la mira. «Spiacente», disse. «Non c’è altro modo.»

Mi bruciava la gamba e il cuore sembrava voler saltar fuori dal petto. Mi colava il naso, le lacrime mi annebbiavano la vista. Avevo le mani strette sulla Smith Wesson, ancora nella borsa. Ricacciai le lacrime e sparai.

14

La pioggia batteva dolcemente sulla finestra del soggiorno, in sintonia con il rumore di Rex nella sua gabbia. Erano trascorsi quattro giorni da quando Alpha mi aveva sparato e il dolore lancinante si era trasformato in un fastidio sopportabile.

Il recupero della mia salute mentale sarebbe stato più lento. Avevo tuttora incubi notturni, mi riusciva difficile restare in casa sola. Dopo aver sparato a Jimmy Alpha, mi ero trascinata fino al telefono e avevo chiamato la polizia prima di svenire. Gli agenti erano arrivati in tempo per acciuffare Ramirez sulla scala antincendio. Lo avevano portato in galera e mi avevano condotto all’ospedale. Per fortuna m’era andata meglio che a Jimmy Alpha: lui era morto, io viva.

I diecimila dollari che mi spettavano erano stati depositati sul mio conto in banca: non avevo ancora speso un cent. Non riuscivo a muovermi con destrezza perché avevo diciassette punti nel posteriore. Appena tolti i punti, sognavo di fare qualcosa di fantastico, come volare alla Martinica per il weekend. O forse mi sarei fatta un tatuaggio o avrei tinto i capelli di rosso.

Sobbalzai sentendo qualcuno che bussava alla porta. Erano quasi le sette e non aspettavo nessuno. Mi spostai con cautela in anticamera e guardai attraverso lo spioncino. Rimasi a bocca aperta alla vista di Joe Morelli in giacca sportiva e jeans, ben sbarbato, con i capelli tagliati da poco. Lui fissava direttamente nello spioncino e sorrideva compiaciuto. Sapeva che lo osservavo e io mi chiedevo se fosse sensato aprirgli la porta. Mi salutò con la mano e allora mi tornò in mente che solo due settimane prima le nostre posizioni erano invertite.

Tirai i due chiavistelli ma non toccai la catena, e socchiusi l’uscio. «Sì?»

«Stacca la catena», ordinò Morelli.

«Perché?»

«Perché ti ho portato la pizza e non riesco a passartela dalla fessura, senza correre il rischio che il formaggio coli giù.»

«L’hai presa da Pino’s

«Certo.»

Spostai il peso sulla gamba destra per alleggerire la sinistra. «Perché mi hai portato la pizza?»

«Non lo so, mi sentivo di farlo. Insomma, vuoi aprire o no?»

«Non ho ancora deciso.»

La mia risposta provocò un sorrisetto diabolico. «Hai paura di me?»

«Uh… Sì.»

Il sorriso gli rimase incollato sulla faccia. «Capisco che devi aver paura. Mi hai rinchiuso in un camion frigorifero con tre morti. Prima o poi te la farò pagare.»

«Ma non stasera?» azzardai.

«No, stasera no», rispose lui.

Chiusi la porta, sganciai la catena e riaprii.

Morelli posò la scatola della pizza e sei lattine di birra sul banco della cucina e si voltò. «Vedo che fatichi a camminare. Come ti senti?»

«Okay. Per fortuna il proiettile di Alpha mi ha lacerato solo uno strato di grasso e il danno maggiore lo ha prodotto alla parete in anticamera.»

Il sorriso svanì. «Ma come stai veramente?»

Non capisco che cos’abbia Morelli, ma riesce ad annullare le mie difese. Anche quando sto in guardia, riesce a farmi incazzare, mi disorienta e suscita in me emozioni inopportune. Strinse gli occhi preoccupato, la sua bocca assunse un’espressione grave che smentiva il tono casuale della sua domanda.

Mi morsi il labbro, ma le lacrime cominciarono ugualmente a bagnarmi le guance.

Morelli mi prese fra le braccia e mi tenne stretta. Mi appoggiò una guancia sulla testa e mi baciò i capelli.

Restammo così a lungo, se non fosse stato per il dolore al posteriore, mi sarei addormentata, finalmente rinfrancata, in pace, al sicuro fra le sue braccia.

«Se ti faccio una domanda seria, mi dai una risposta onesta?» mi mormorò Morelli all’orecchio.

«Forse.»

«Ti ricordi quella volta nel garage di mio padre?»

«Perfettamente.»

«E quando l’abbiamo fatto nella pasticceria?»

«Uh, uh.»

«Perché ci sei stata? La mia capacità di persuasione è davvero così forte?»

Piegai indietro la testa per guardarlo. «Credo che da parte mia fosse più che altro curiosità e ribellione.» Per non parlare di tempesta ormonale, aggiunsi mentalmente.

«Allora sei disposta a prenderti la tua responsabilità?»

«Certamente.»

Il sorriso era ritornato sulle sue labbra. «E se facessimo l’amore qui, fino a che punto te ne assumeresti la colpa?»

«Santo cielo, Morelli, ho diciassette punti nel sedere!»

Lui sospirò. «Pensi che potremmo tornare a essere amici?»

Tutto questo dall’uomo che aveva gettato le mie chiavi in un cassonetto delle immondizie. «Suppongo sia possibile. Non mi sembra il caso di firmare un accordo e sigillarlo con il sangue.»

«No, ma potremmo brindare con la birra.»

«Mi sta bene», approvai.

«Okay, e adesso che abbiamo sistemato la faccenda, vorrei vedere una partita di baseball. Tu hai il mio televisore.»

«Gli uomini hanno sempre secondi fini», borbottai portando la pizza in soggiorno.

Morelli mi seguì con la birra. «Come fai a sederti?»

«Ho una ciambella di gomma. E non fare commenti, perché ti stendo con la bomboletta.»

Lui si tolse la giacca e sfilò la fondina, e appese entrambe alla maniglia della porta della camera da letto, accese il televisore e cercò di sintonizzarsi sulla partita. «Ho ancora qualcosa da dirti», mi rivelò. «Sei disposta ad ascoltarmi?»

«Mezz’ora fa avrei detto di no, ma davanti a questa pizza sono pronta a tutto.»

«Non è la pizza, tesoro, è la mia maschia presenza.»

Sollevai le sopracciglia.

Morelli ignorò la mia espressione. «Prima di tutto, il perito legale ha detto che meriti un encomio solenne come tiratrice scelta. Hai centrato Alpha con cinque colpi al cuore, distanti un paio di centimentri l’uno dall’altro. Abbastanza sorprendente, se si considera che hai sparato con la pistola nella borsetta.»

Bevemmo un po’ di birra, poiché nessuno dei due sapeva come affrontare la situazione. Dopotutto avevo ucciso un uomo. L’orgoglio era fuori luogo, il dolore non rientrava nel quadro. Restava solo il rammarico.

«Pensi che poteva finire in altro modo?» chiesi.

«No», rispose Morelli. «Lui ti avrebbe ucciso, se non lo avessi liquidato per prima.»

Era vero. Alpha mi avrebbe ucciso, non avevo dubbi.

Morelli si sporse in avanti per vedere un lancio. Howard Barker colpì male. «Merda», borbottò Morelli, e tornò a concedermi la sua attenzione. «E ora le belle notizie. Avevo collegato un registratore al palo con i cavi elettrici infondo al tuo parcheggio, lo usavo quando non ero nei paraggi. Così potevo controllare se alla fine della giornata m’era sfuggito qualcosa. Quel maledetto congegno funzionava ancora quando Jimmy ti è piombato addosso. Ha registrato la vostra conversazione, la sparatoria e tutto il resto. Forte e chiaro.»

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