Da qualche parte, nel retrobottega, si aprì una porta; potevo sentire il ronzio del motore di un camion. La porta si chiuse e il rumore svanì.
Un uomo entrò dal corridoio e il mio cuore sobbalzò. Non solo il naso dello sconosciuto era schiacciato, ma tutta la faccia sembrava appiattita… come se fosse stata colpita con una padella. Non potevo esserne sicura finché Morelli non gli avesse dato un’occhiata, ma sospettavo fortemente di aver trovato il testimone scomparso.
Ero combattuta tra il desiderio di mettermi a saltellare e gridare per l’eccitazione e l’istinto di scappar via prima che mi facessero a fettine.
«Ho una consegna per te», disse l’uomo a Sal. «Vuoi che la metta nella cella?»
«Sì», rispose il macellaio. «E prendi i due bidoni accanto alla porta. Uno è pesante, ci vorrà il carrello.»
Poi l’attenzione di Sal tornò al pesce. «Come lo cucina?» volle sapere. «Lo si può cucinare fritto, arrosto o farcito. Personalmente lo preferisco fritto con un sacco di pastella e affogato nel grasso.»
Sentii chiudersi la porta sul retro dietro l’uomo con la faccia appiattita. «Chi era quello?» domandai al macellaio.
«Louis. Lavora per il grossista a Philadelphia. Trasporta la carne.»
«E allora perché porta via bidoni?» insistei.
«Qualche volta metto via gli scarti, li usano come cibo per i cani.»
Dovetti stringere i denti per non volare fuori dalla porta. Avevo trovato il testimone! Ne ero sicura. Quando tornai alla Nova mi girava la testa per lo sforzo di trattenermi. Ero salva, ormai. Avrei potuto pagare l’affitto, ero riuscita a combinare qualcosa. E ora avevo ritrovato il testimone scomparso. Tutto filava liscio. Avrei portato dentro Morelli e non avrei avuto più nulla a che fare con Ziggy Kulesza. Uscivo di scena. Ormai non c’era più motivo perché qualcuno mi uccidesse. Tranne, naturalmente, Ramirez. Ma per fortuna il pugile era abbastanza nei guai da restare fuori dalla circolazione per parecchio tempo.
Il vecchio che abitava nella casa di fronte all’appartamento di Carmen aveva detto di esser stato disturbato dal rumore di un camion frigorifero. Ero pronta a scommettere che si trattava di un camion per il trasporto della carne. Non potevo saperlo con certezza finché non avessi eseguito un altro controllo dietro l’edificio di Carmen, ma se Louis aveva parcheggiato abbastanza vicino, sarebbe stato in grado di issarsi sul tetto del camion, sistemare Carmen sul ghiaccio e allontanarsi indisturbato.
Invece non riuscivo a immaginare il ruolo di Sal in questa storia. Forse erano solo Ziggy e Louis che eseguivano per Ramirez il lavoro di ripulitura.
Vedevo abbastanza bene il macellaio dal punto in cui mi trovavo. Infilai la chiave dell’accensione e diedi un’ultima occhiata. Sal e Louis stavano parlando, Louis appariva calmo, l’altro sembrava agitato. Decisi di fermarmi a guardare ancora per un po’. Sal voltò la schiena a Louis e fece una telefonata. Anche a distanza si vedeva che era arrabbiato. Sbatté giù la cornetta e i due uomini entrarono nella cella frigorifera per riapparire dopo qualche secondo facendo rotolare il bidone degli scarti. I due spinsero il barile nel corridoio che conduceva all’uscita sul retro. Poco dopo riapparve Louis con quello che sembrava un quarto di bue sulla spalla. L’uomo depositò la carne nel freezer e fece rotolare fuori il secondo bidone. Si fermò nel corridoio sul retro e guardò verso la facciata del negozio. Mi si fermò il cuore, mi chiesi se si fosse accorto che stavo curiosando. Louis venne avanti e io presi la bomboletta di Sure Guard. Lui si fermò alla porta e girò il cartello con scritto: APERTO. Dalla strada l’insegna indicava CHIUSO.
Non mi aspettavo questa mossa. Che cosa voleva dire? Sal non si vedeva, il negozio era chiuso e per quello che ne sapevo, non era un giorno di festa. Louis uscì dalla porta sul retro, le luci si spensero. Provavo una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. La spiacevole impressione si trasformò in panico, mi suggerì di non perdere di vista Louis.
Ingranai la marcia e proseguii sino in fondo all’isolato. Un camion frigorifero bianco con la targa della Pennsylvania si immise nel traffico davanti a me e dopo due isolati svoltammo sulla Chambers. Avrei preferito lasciar ricadere l’intera faccenda sulle spalle di Morelli, ma non sapevo come mettermi in contatto con lui. Morelli si trovava a nord, in Stark Street, io mi dirigevo verso sud. Con tutta probabilità lui aveva un telefono nel furgone, ma non conoscevo il numero e inoltre non avrei potuto chiamarlo finché non ci fossimo fermati da qualche parte.
Il camion frigorifero imboccò la Route 206 a Whitehorse. Il traffico era moderatamente pesante. Lo tallonavo a due auto di distanza: mi accorsi che era abbastanza facile restare nascosta e allo stesso tempo tenere d’occhio Louis. Appena passato il raccordo con la Route 70, la spia dell’indicatore dell’olio lampeggiò e rimase accesa. Imprecai fra i denti, mi fermai sul ciglio della strada, misi due barattoli d’olio in tutta fretta, richiusi il cofano e ripartii.
Spinsi la Nova al massimo, ignorando le vibrazioni alle ruote anteriori e le occhiate stupite degli altri automobilisti mentre li sorpassavo con la mia bagnarola. Dopo un paio di chilometri, rividi il camion. Louis procedeva lentamente, tenendosi a una velocità di poco superiore al limite. Tirai un sospiro di sollievo e mi rimisi in fila. Pregai che non andasse lontano. M’era rimasta solo una lattina e mezzo d’olio sul sedile posteriore.
A Hammonton, Louis svoltò in una strada secondaria proseguendo a est. C’erano meno auto e io dovetti tenermi a distanza maggiore. Nella campagna i terreni coltivati si alternavano a chiazze di vegetazione. Dopo una ventina di chilometri, il camion rallentò e imboccò un viale ghiaioso che conduceva a una costruzione in lamiera ondulata, tipo magazzino. L’insegna sulla facciata recava le scritte PORTO TURISTICO DELLA RADA DI PACHETCO e CELLE FRIGORIFERE. Dietro la costruzione si vedevano le barche e oltre le imbarcazioni il riflesso del sole sull’acqua.
Costeggiai il piazzale e feci una inversione a U sulla strada che finiva al fiume Mullico. Poi tornai indietro lentamente. Il camion era fermo vicino alla passerella che portava alle imbarcazioni. Louis e Sal erano scesi dal veicolo e stavano appoggiati al paraurti posteriore, come se aspettassero qualcosa o qualcuno. Erano soli in quel porticciolo turistico e, sebbene fosse estate, sembrava che gran parte dell’attività si concentrasse durante il weekend.
Prima, avevo superato una stazione di servizio. Decisi che il posto non dava nell’occhio e che potevo fermarmi lì ad aspettare. Se Sal o Louis si fossero allontanati dal porticciolo, dovevano seguire quella direzione, per tornare alla civiltà; perciò avrei potuto seguirli. A questo si aggiungeva il vantaggio di un telefono pubblico e la possibilità di mettermi in contatto con Morelli.
La stazione di servizio risaliva al tempo in cui non erano stati ancora introdotti i computer: aveva due distributori antiquati su una pista in cemento tutta macchiata. Un cartello appoggiato su una delle pompe reclamizzava esche vive e carburante a buon mercato. La baracca di legno dietro le pompe era rattoppata con bidoni pressati e liste di compensato. Un telefono pubblico era installato accanto all’entrata.
Parcheggiai, parzialmente nascosta, dietro la stazione e percorsi a piedi il breve tratto fino al telefono, contenta di poter approfittare dell’occasione per sgranchirmi le gambe. Chiamai il mio numero. Fu l’unica cosa che mi venne in mente. Il telefono squillò una volta, rispose la segreteria telefonica e sentii la mia voce che mi diceva che non ero in casa. «Non c’è nessun altro?» domandai. Niente. Diedi il numero del telefono pubblico e invitai chiunque avesse bisogno a chiamare immediatamente quel numero.
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