«Parlami di Ziggy e del suo amico… quello con il naso schiacciato.»
«Più interessante parlare del campione. Lui ti insegnerà un po’ di rispetto. E ti punirà, così impari a respingerlo.» Ramirez si fece più vicino e il calore del suo corpo rendeva l’aria fresca, al confronto. «Pensa che ti farò sanguinare, prima di fotterti. Ti va l’idea? Vuoi che ti tagli a fettine, sgualdrina?»
«Tu non mi farai un bel niente», ribattei. «Non mi fai paura e non mi ecciti.»
«Non è vero.» Lui mi afferrò il braccio e strinse così forte da farmi gridare.
Gli sferrai un calcio nello stinco e lui mi colpì. Non vidi muoversi la sua mano. Lo schiocco mi rintronò nelle orecchie, la testa si piegò all’indietro. Sentii in bocca il sapore del sangue e sbattei diverse volte le palpebre per snebbiare la vista. Quando le stelle svanirono, lo colpii in viso con il Sure Guard.
Ramirez mandò un urlo di dolore e di rabbia e barcollò, portandosi le mani agli occhi. L’urlo si trasformò in un gemito soffocato e il campione si ritrovò per terra, carponi, come un animale mostruoso… un grosso bufalo ferito e infuriato.
Jimmy Alpha corse fuori dalla casa di fronte, seguito dalla sua segretaria e da un uomo che non avevo mai visto.
Lo sconosciuto si inginocchiò accanto a Ramirez cercando di calmarlo, rassicurandolo che fra un minuto si sarebbe ripreso. Doveva solo respirare profondamente.
Alpha e la segretaria si precipitarono verso di me.
«Gesù!» esclamò Jimmy cacciandomi in mano un fazzoletto pulito. «Sta bene? Non le ha rotto niente, vero?»
Misi il fazzoletto sulla bocca e ve lo tenni mentre passavo la lingua sui denti per vedere se ne mancava qualcuno. «Credo di star bene.»
«Mi dispiace terribilmente», riprese Jimmy. «Non so che cosa gli prende… quando tratta le donne in questo modo. Chiedo scusa per lui. Non so proprio che cosa fare.»
Non ero dell’umore giusto per accettare scuse. «Può fare un sacco di cose», replicai. «Offrirgli assistenza psichiatrica. Lo faccia rinchiudere. Altrimenti lo porti dal veterinario e lo faccia castrare.»
«Vuole andare da un medico?» offrì Alpha. «Le pago la visita.»
«L’unico posto dove voglio andare è la stazione di polizia. Sporgerò denuncia, dica quello che vuole, niente mi fermerà.»
«Ci pensi almeno un giorno», supplicò Jimmy. «Aspetti di non essere più così sconvolta. Lui non può permettersi una nuova accusa per aggressione e violenza, in questo momento.»
Con uno strattone spalancai la portiera e mi misi al volante. Mi allontanai dal bordo del marciapiede badando a non investire nessuno. Guidai a velocità moderata e non mi voltai a guardare dietro. Mi fermai a un semaforo ed esplorai i danni dallo specchietto. Il labbro superiore era tagliato all’interno e sanguinava ancora. Avevo un livido che andava estendendosi sulla guancia sinistra. Labbro e guancia cominciavano a gonfiarsi.
Tenevo stretto il volante e usavo ogni energia per restare calma. Proseguii a sud verso State Street, dirigendomi a Hamilton. Quando vi giunsi mi parve di essere al sicuro; nel mio quartiere potevo permettermi di fermarmi e ragionare. M’infilai nel parcheggio di un grande magazzino e rimasi seduta in macchina per un po’. Dovevo andare alla polizia per denunciare l’aggressione, ma non sapevo come gli agenti avrebbero considerato quest’ultimo incidente con Ramirez. Lui mi aveva minacciata e io lo avevo provocato deliberatamente parcheggiando di fronte alla palestra. Non era stata una mossa intelligente.
Avevo avuto una scarica di adrenalina, da quando il pugile era apparso al mio fianco, e adesso che l’effetto stava scemando, affioravano la stanchezza e il dolore fisico. Mi facevano male il braccio e la mascella, avevo il polso debolissimo.
Guarda in faccia la realtà, per oggi non ce la fai ad andare alla centrale. Frugai nella borsa finché trovai il biglietto di Dorsey. Meglio mettersi in contatto con lui e riferirgli quanto era successo. Composi il suo numero e lasciai un messaggio, pregandolo di richiamarmi. Non specificai quale fosse il problema: non mi sentivo di parlarne.
Entrai nel supermercato e comperai un ghiacciolo. «Ho avuto un incidente », spiegai alla commessa. «Labbro gonfio.»
«Dovrebbe andare da un medico», suggerì lei.
Strappai l’involucro del ghiacciolo e appoggiai il ghiaccio al labbro. «Ahhh!», sospirai. «Va meglio.»
Tornai alla macchina, ingranai la retromarcia e andai a sbattere contro un furgone. Tutta la mia vita mi balenò davanti agli occhi, come in un lampo. Ero sopraffatta dall’angoscia. Oh, Signore, pregai, fa’ che non si sia ammaccata.
Io e l’autista del camioncino scendemmo per esaminare i rispettivi veicoli. Il furgone non presentava nemmeno un graffio. Niente ammaccature, neppure un graffio sulla vernice. La Cherokee… be’, era come se qualcuno avesse aperto con l’apriscatole il paraurti posteriore destro.
L’uomo del furgone fissò il mio labbro gonfio. «Una lite domestica?»
«Un incidente. »
«Immagino che questa non sia la sua giornata buona», commentò lui.
«Nessuna giornata è buona per me.»
Poiché l’incidente era avvenuto per colpa mia e il furgone non era stato danneggiato, saltammo il rituale di scambiarci i dati sulle rispettive assicurazioni. Diedi un’ultima occhiata al mio paraurti, rabbrividii e mi allontanai, chiedendomi quale delle due alternative fosse la migliore: suicidarmi o affrontare Morelli.
Il telefono stava squillando quando entrai in casa. Si trattava di Dorsey.
«Devo sporgere una denuncia contro Ramiress », gli dissi. «Mi ha colpito alla bocca.»
«Dov’è accaduto?»
«In Ssstark Ssstreet. » Fornii al detective tutti i dettagli e rifiutai la sua offerta di venire da me per raccogliere la mia deposizione. Non volevo correre il rischio che incontrasse Morelli. Gli promisi che sarei andata alla centrale l’indomani per completare la denuncia.
Feci la doccia e per cena mangiai un gelato. Ogni dieci minuti guardavo fuori dalla finestra per vedere se ci fosse qualche segno della presenza di Morelli nel parcheggio. Avevo parcheggiato la Cherokee in un angolo dove l’illuminazione era scarsa. Se fossi riuscita a passare la notte, l’indomani avrei portato l’auto al garage di Al per chiedergli se poteva eseguire una riparazione lampo. Non avevo idea di quanto mi sarebbe costato.
Guardai la televisione fino alle undici e andai a letto, portando in camera la gabbia di Rex che mi tenesse compagnia. Non c’erano state telefonate da parte di Ramirez e nessun segno di Morelli. Non sapevo nemmeno se sentirmi sollevata o delusa. Ignoravo se Morelli fosse in ascolto per proteggermi come stabilito, perciò mi addormentai con la bomboletta, il telefono portatile e la pistola sul comodino.
Il telefono suonò alle sei e mezzo. Era Morelli.
«È ora di alzarsi», disse.
Guardai l’orologio sul comodino. «Veramente siamo in piena notte.»
«Ti saresti alzata da parecchie ore se avessi dovuto dormire in una Nissan Sentra.»
«Che cosa ci fai in una Sentra?»
«Sto facendo riverniciare il furgone con un colore diverso e ho fatto rimuovere le antenne. Sono riuscito a trovare un nuovo set di targhe. Intanto, il garage mi ha prestato un’auto. Ho aspettato che fosse buio e mi sono fermato a Maple, proprio dietro il tuo parcheggio.»
«Per potermi proteggere?»
«Veramente non volevo perdere l’occasione di sentire il fruscio dei tuoi abiti mentre ti spogliavi. Che cos’era quello strano squittio che è durato tutta la notte?»
«Era Rex nella sua gabbia.»
«Credevo che lo tenessi in cucina.»
Non volevo fargli capire che avevo paura e mi sentivo sola, perciò mentii: «Ho pulito il lavello. A lui non piace l’odore del detersivo, così l’ho portato in camera».
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