«Probabilmente chiamava dal telefono nell’auto.»
Ne convenni.
«Ecco il mio biglietto da visita.» Dorsey scrisse un numero dietro. «Questo è il numero di casa. Se vede Ramirez o le telefona, me lo faccia sapere immediatamente.»
«Gli sarà difficile nascondersi», osservai. «È una celebrità locale, lo si riconosce facilmente.»
Dorsey rimise la penna nella tasca interna della giacca e così ebbi modo di vedere la fondina che portava al fianco. «C’è un sacco di gente in questa città pronta a commettere un’infrazione per nascondere e proteggere Benito Ramirez. È già capitato in altre occasioni.»
«Sì, ma non avevate un nastro.»
«Giusto. Il nastro può fare la differenza.»
«Non farà nessuna differenza», dichiarò Jackie quando Dorsey se ne fu andato. «Ramirez fa quello che vuole. Non importa a nessuno se picchia una prostituta.»
«A noi importa», ribattei. «Possiamo fermarlo. E possiamo convincere Lula a testimoniare contro di lui.»
«Uhh», mormorò Jackie. «Tu non sai tante cose.»
Erano le tre quando ci permisero di vedere Lula. Lei non aveva ancora ripreso conoscenza. Ci dissero che la visita era limitata a dieci minuti ciascuna. Le strinsi una mano e le assicurai che se la sarebbe cavata. Quando il mio tempo fu scaduto, dissi a Jackie che dovevo andare a un appuntamento a cui non potevo mancare. Lei mi assicurò che sarebbe rimasta finché Lula riapriva gli occhi.
Arrivai da Sunny’s mezz’ora prima di Gazarra. Pagai la tariffa, comperai una scatola di munizioni e andai al poligono. Sparai alcuni colpi con il cane alzato e mi accinsi a esercitarmi seriamente. Immaginai di vedere Ramirez di fronte al bersaglio. Mirai al cuore, alle palle, al naso.
Gazarra arrivò alle quattro e mezzo. Lasciò cadere una scatola di munizioni sulla mia mensola ed entrò nella cabina accanto alla mia. Quando finii le due scatole di proiettili, mi sentivo piacevolmente rilassata e più sicura con la pistola. Ricaricai l’arma e la rimisi nella borsa. Finalmente battei la mano sulla spalla di Eddie e gli indicai che avevo finito.
Lui infilò la sua Glock nella fondina e mi seguì fuori. Aspettammo di essere nel parcheggio, prima di parlare.
«Ho saputo della telefonata», esordì Eddie. «Mi dispiace di non essere venuto, ma ero in servizio. Ho visto Dorsey al commissariato, ha detto che sei stata in gamba, ad accendere il registratore quando Ramirez era al telefono.»
«Avresti dovuto vedermi cinque minuti prima. Non riuscivo a ricordare il 911.»
«Non ti andrebbe l’idea di prenderti una vacanza?»
«Ci ho pensato.»
«Hai la pistola nella borsa?» volle sapere Eddie.
«Accidenti no, sarebbe un’infrazione alla legge.»
Gazarra sospirò. «Non farla vedere a nessuno, okay? E chiamami se hai paura. Shirley e io saremmo felici di ospitarti per tutto il tempo che vuoi.»
«Ti sono grata.»
«Ho controllato il numero di targa che mi hai dato. Appartiene a un veicolo sequestrato per sosta vietata e mai reclamato.»
«Ho visto Morelli guidare quel veicolo», riferii.
«Probabilmente se l’è fatto prestare.»
Sorridemmo entrambi al pensiero che il ricercato avesse rubato un furgone da un deposito di veicoli sequestrati.
«Sai niente di Carmen Sanchez? Ha una macchina?» domandai.
Gazarra tirò fuori un foglietto dalla tasca. «Questa è la marca e il numero della patente. L’auto non è stata sequestrata.»
Eddie tacque per un momento, poi si offrì: «Vuoi che ti accompagni a casa per assicurarci che nessuno si sia introdotto nel tuo appartamento?»
«Non è necessario», risposi. «Metà degli inquilini del palazzo probabilmente è ancora accampata nel mio corridoio.»
Ciò che più mi metteva a disagio era il sangue. Avrei dovuto entrare in casa e affrontare le orribili tracce del lavoro di Ramirez. Il sangue di Lula doveva essere ancora sul telefono, sulle pareti, sul banco in cucina e sul pavimento. Se la vista del sangue mi avesse provocato un nuovo attacco d’isteria, volevo cavarmela da sola, alla mia maniera.
Parcheggiai e sgattaiolai nello stabile inosservata. È l’ora buona, conclusi. I corridoi erano deserti, tutti erano in casa per la cena. Avevo la bomboletta in una mano e la pistola infilata nella cintura. Girai la chiave nella serratura e mi sentii mancare. Avanti, mi dissi, entra decisa, cerca sotto il letto eventuali stupratori, infilati un paio di guanti di gomma e pulisci il disastro.
Mossi un passo incerto nell’anticamera e compresi che qualcuno si trovava nel mio appartamento. Qualcuno stava spignattando in cucina: sbatteva le pentole e faceva correre l’acqua, rumori gradevoli tutto sommato. Sentivo anche in sottofondo lo sfrigolio del cibo in padella.
«Ehi!» gridai impugnando la pistola, con il cuore che mi batteva all’impazzata. «Chi c’è?»
Morelli uscì dalla cucina. «Io. Metti via la pistola. Dobbiamo parlare.»
«Gesù, che arroganza! Ti è mai passato per la testa che potrei spararti con questa pistola?»
«No, non ci ho mai pensato.»
«Sto esercitandomi, sono abbastanza brava con le armi.»
Lui si spostò dietro di me e chiuse la porta. «Già, devi essere proprio in gamba a sparare contro quelle sagome di cartone.»
«Che cosa ci fai in casa mia?»
«Preparo la cena.» Lui tornò ai suoi tegami. «Ho saputo che hai avuto una giornata difficile.»
La mia mente turbinava. Mi ero spaccata il cervello nel tentativo di trovare Morelli ed eccolo qui, in casa mia. In quel momento mi voltava le spalle, potevo sparargli nel sedere.
«Non vorrai sparare a un uomo disarmato», disse lui, leggendomi nel pensiero. «Qui nel New Jersey non approvano cose del genere. Lasciatelo dire da uno che se ne intende.»
E va bene, non gli avrei sparato. Lo avrei incastrato con il Sure Guard. Non se ne sarebbe neanche accorto.
Morelli gettò nella padella dei funghi freschi e continuò a cucinare. Un buon profumino si diffuse nella casa. Lui stava rigirando peperoni verdi e rossi, cipolle e funghi; i miei istinti omicidi si stavano affievolendo a mano a mano che aumentava l’acquolina in bocca.
Cercai, fra me e me, di giustificare la decisione di mettere da parte la bomboletta. Forse dovevo ascoltarlo, ma, in verità, le mie motivazioni erano più basse. Ero affamata e depressa, più spaventata di Ramirez che di Joe Morelli. Anzi, in un certo senso, mi sentivo sicura con Morelli in casa.
Una cosa alla volta, decisi. Prima mangia, poi gli spruzzi il gas, per dessert.
Lui si voltò a guardarmi. «Hai voglia di parlarne?»
«Ramirez ha quasi ammazzato Lula e l’ha appesa alla mia scala antincendio.»
«Ramirez è come un parassita che si alimenta con la paura degli altri. L’hai mai visto sul ring? I suoi fan lo adorano perché si mantiene lontano dall’avversario finché l’arbitro non gli intima di battersi. Gioca con l’avversario. Gli piace far scorrere il sangue, vuole punire chi gli sta di fronte. Parla con le sue vittime con quella sua voce suadente mentre le picchia, spiega loro che sarà sempre peggio e che si fermerà solo quando gli chiederanno di metterle KO. Così fa con le donne. Vuole vederle contorcersi dalla paura e dal dolore. Gli piace lasciare il suo marchio.»
Gettai la borsa sul banco. «Lo so. È bravissimo a mutilare le persone e a farsi supplicare. Si può dire che la sua è una vera ossessione.»
Morelli abbassò la fiamma del fornello. «Sto cercando di spaventarti, ma non credo che funzioni.»
«Sono già spaventata, più di così si muore.» Mi guardai intorno e notai che qualcuno aveva lavato il sangue. «Hai ripulito la cucina?»
«La cucina e la camera da letto. Dovrai far lavare il tappeto, però.»
«Grazie. Non avrei sopportato di vedere altro sangue.»
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