«Vuoi un consiglio? Lascia perdere Morelli. Tu sei una principiante, lui è un professionista. Ha parecchi anni di esperienza sulle spalle. Era un bravo poliziotto, probabilmente è anche più in gamba come criminale.»
«Non posso permettermi di dimenticare Morelli. Vorrei che tu facessi un paio di controlli per due veicoli.» Scrissi il numero di targa del furgone su un tovagliolo di carta e glielo diedi. «Vedi se puoi trovare il proprietario. Inoltre vorrei sapere se Carmen Sanchez possiede un’auto. In caso affermativo, è stata sequestrata?»
Bevvi un po’ di birra e mi appoggiai allo schienale della sedia gustando l’aria fresca e il brusio attorno a me. Ogni tavolo era occupato, altre persone aspettavano alla porta. Evidentemente nessuno aveva voglia di cucinare, con quel caldo.
«Passiamo al secondo problema», suggerì Eddie.
«Se te lo dico, devi promettermi di non arrabbiarti.»
«Cristo, sei incinta.»
Lo guardai confusa. «Perché ti è venuta in mente una cosa simile?»
Lui parve imbarazzato. «Non so, mi è scappata. Shirley mi dice sempre che è incinta.»
Gazarra aveva quattro figli. Il maggiore aveva nove anni, il più piccolo uno. Tutti maschi e tutti mostri.
«Be’, non sono incinta. Si tratta di Ramirez.» Gli raccontai tutta la storia sul conto del pugile.
«Avresti dovuto sporgere denuncia», osservò Eddie. «Perché non hai chiamato la polizia quando ti ha aggredito in palestra?»
«Ranger avrebbe presentato un esposto se fosse stato aggredito?» replicai.
«Tu non sei Ranger.»
«Vero, ma cerca di capire il mio punto di vista.»
«Perché mi racconti tutto questo?»
«Perché se sparisco all’improvviso, desidero che tu sappia dove cominciare a cercarmi.»
«Gesù, se pensi che quell’individuo sia tanto pericoloso, dovresti cercare di ottenere un mandato di cattura.»
«Non ho molta pratica con i mandati di cattura. E poi, che cosa direi al giudice… che Ramirez ha minacciato di mandarmi un regalo? Guardati attorno. Che cosa vedi?»
Eddie sospirò. «Foto di Ramirez a fianco del papa e di Frank Sinatra.»
«Sono sicura che me la caverò», conclusi. «Avevo solo bisogno di parlarne con qualcuno.»
«Se hai altri problemi, chiamami immediatamente.»
Annuii.
«Quando sei in casa sola, assicurati che la pistola sia carica e a portata di mano. Sapresti usarla contro Ramirez, in caso di necessità?»
«Non so, penso di sì.»
«I turni sono cambiati, lavoro di giorno. Ma desidero vederti ogni pomeriggio alle quattro e mezzo da Sunny’s. Pago io le munizioni e il poligono. L’unico modo per sentirsi a proprio agio con una pistola è quello di usarla.»
Alle nove ero a casa e, non avendo di meglio da fare, decisi di pulire il mio appartamento. Non c’erano messaggi sulla segreteria telefonica, né pacchi sospetti davanti alla porta. Preparai il giaciglio per Rex, passai l’aspirapolvere sul tappeto, lavai per bene il bagno e lucidai i pochi mobili che mi erano rimasti. Così arrivarono le dieci. Controllai per l’ultima volta tutte le serrature, feci la doccia e mi coricai.
Mi svegliai alle sette, euforica. Avevo dormito come un ghiro. Sulla segreteria telefonica non c’erano messaggi, gli uccelli cantavano, il sole brillava, il mio volto si rifletteva sul tostapane. Indossai shorts e maglietta, e accesi la macchinetta del caffè. Scostai le tende del soggiorno e rimasi incantata da quella magnifica giornata. Il cielo era di un azzurro splendente, l’aria pulita dopo la pioggia e io provavo una immensa voglia di cantare.
Passai in camera da letto, tirai la tenda e rimasi impietrita alla vista di Lula legata alla scala antincendio. Era appesa come una bambola di pezza, le braccia piegate sopra la ringhiera in una posizione innaturale, la testa reclinata sul petto. Aveva le gambe allargate, cosicché sembrava seduta. Era nuda e coperta di sangue, che si era raggrumato sui capelli e sulle gambe. Dietro di lei era teso un lenzuolo per nasconderla alla vista dal parcheggio.
Gridai il suo nome, afferrai la serratura, il cuore mi batteva così forte che avevo gli occhi annebbiati. Aprii la finestra e per poco non caddi sulla scala antincendio; allungai le braccia nell’inutile tentativo di sciogliere i nodi che la tenevano legata.
Lula non si mosse, non emise un suono. Non capivo se respirava. «Andrà tutto bene», gridai con voce rauca e la gola serrata. «Vado a chiedere aiuto.» E sottovoce aggiunsi: «Non morire. Oh Dio, Lula, non morire…»
Mi fiondai dalla finestra per andare a chiamare una ambulanza, inciampai sul davanzale e crollai sul pavimento. Non sentivo dolore, solo panico. Strisciando carponi raggiunsi il telefono. Non riuscivo a ricordare il numero del pronto intervento. La mia mente, in preda a un attacco isterico, si era come bloccata lasciandomi smarrita e confusa di fronte a quella tragedia, improvvisa e inaspettata, che non riuscivo ad accettare.
Premetti lo zero e spiegai all’operatore che Lula era ferita sulla scala di sicurezza. Rividi in un lampo Jackie Kennedy che strisciava sopra il sedile dell’auto per soccorrere il marito morto, e scoppiai in lacrime, piangendo per Lula, per Jackie e per me stessa, tutte vittime della violenza.
Cercai freneticamente nel cassetto dei coltelli, finalmente trovai quello che cercavo nello scolapiatti. Non sapevo da quanto tempo Lula fosse legata, ma non potevo sopportare di vederla appesa là fuori.
Tornai alla finestra con il coltello, tagliai le corde e Lula mi si accasciò fra le braccia. Pesava almeno il doppio di me, ma in qualche modo trascinai il suo corpo inerte e insanguinato attraverso la finestra. L’istinto mi suggeriva di nasconderla e di proteggerla. Sentii le sirene in lontananza; dopo qualche secondo la polizia bussava alla mia porta. Non ricordo di averli fatti entrare, ma evidentemente avevo aperto la porta. Un agente in divisa mi condusse in cucina e mi fece sedere. Lo seguì un medico.
«Che cosa è successo?» volle sapere il poliziotto.
«L’ho trovata sulla scala antincendio», riferii. «Ho tirato le tende e l’ho vista.» Battevo i denti e il cuore mi martellava. Inghiottivo aria. «Lei era legata e appesa; ho tagliato le funi e l’ho trascinata dentro dalla finestra.»
Sentivo i medici che ordinavano di portare la barella. Il mio letto fu spinto da parte per fare spazio. Avevo paura di chiedere se Lula fosse viva. Inspirai di nuovo l’aria e serrai le mani in grembo, finché le nocche divennero bianche e le unghie si conficcarono nelle palme.
«Lula abita qui?» domandò il poliziotto.
«No. Qui abito io. Non so dove vive Lula, non conosco neppure il suo cognome.»
Suonò il telefono e con un gesto meccanico allungai il braccio per rispondere.
La voce all’altro capo del filo risuonò sommessa. «Hai ricevuto il mio regalo, Stephanie?»
Fu come se la terra avesse cessato improvvisamente di girare. Per un attimo provai un senso di smarrimento, poi misi tutto a fuoco. Premetti il tasto della segreteria telefonica e alzai il volume perché tutti potessero sentire.
«Di che regalo parli?» domandai.
«Lo sai benissimo. Ho visto che l’hai trovata, ti guardavo mentre la trascinavi dalla finestra. Ti sorvegliavo. Sarei potuto venire a prenderti stanotte mentre dormivi, ma volevo che prima vedessi Lula. Mi premeva che ti rendessi conto di che cosa so fare a una donna, così ora sai quello che ti aspetta. Pensaci, sgualdrina. Pensa a come ti farò male e a quanto dovrai supplicarmi.»
«Ti piace far male alle donne?» chiesi. Cominciavo a riprendere il controllo.
«Qualche volta le donne hanno bisogno di una lezione.»
Decisi di divagare. «Che mi dici di Carmen Sanchez? L’hai torturata?»
«Non così bene come farò con te. Ho in mente qualcosa di speciale.»
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