Janet Evanovich - Bastardo numero uno

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Bastardo numero uno: краткое содержание, описание и аннотация

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A corto di soldi, Stephanie Plum rimedia un lavoro, nella società di assicurazioni del cugino, come “cacciatrice di teste”, con il compito di consegnare alla polizia tutti gli arrestati rilasciati su cauzione che non si sono presentati in tribunale per il processo. Il suo primo caso è però quello di un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, un ex compagno di liceo di Stephanie, al cui Anche pubblicato come “Tutto per denaro”.

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Mi aspettavo che mi seguisse, ma non con quella velocità. Le portiere della jeep erano chiuse, ma per precauzione premetti di nuovo il tasto della sicura. Tenevo in grembo la bomboletta di Sure Guard. La stazione di polizia si trovava a meno di un chilometro. Mi chiesi se dovevo mollare Clarence e mettermi all’inseguimento di Morelli. Dopo tutto era lui il mio obiettivo principale.

Presi in esame tutti i modi possibili per arrestarlo, ma nessuno mi parve soddisfacente. Non volevo che Morelli mi piombasse addosso mentre mi occupavo di Clarence e non mi andava di mollarlo nella via. Non in quel quartiere. Non ero sicura di poter controllare le conseguenze.

Morelli era cinque auto dietro di me, quando mi fermai al semaforo. Vidi aprirsi la portiera del posto di guida e Morelli scendere dal furgone. Correva verso di me. Afferrai la bomboletta e pregai che il semaforo diventasse verde. Morelli era a pochi passi, quando le auto ripresero a muoversi e lui fu costretto a tornare al furgone.

Il buon Clarence continuava a dormire, la testa china, la bocca aperta, emettendo suoni soffocati. Svoltai a sinistra in North Clinton e il telefono ronzò.

Era Morelli e non sembrava di buonumore. «Che diavolo credi di fare?» abbaiò.

«Sto portando il signor Sampson alla stazione di polizia. Se vuoi seguirci, sarà un piacere per noi. Renderebbe ogni cosa più facile per me.»

Una buona risposta, considerando che m’era preso un attacco d’ansia.

«Quella che stai guidando è la mia macchina!»

«Mmm. Be’, l’ho requisita.»

«Che cosa?!»

Interruppi la comunicazione prima che la conversazione degenerasse in minacce di morte. Il furgone sparì a due isolati dalla polizia e io proseguii con il mio prigioniero che continuava a dormire come un bambino.

Il dipartimento di polizia di Trenton è dislocato sui tre piani di un edificio di mattoni a forma di cubo, un tentativo maldestro di applicare criteri di funzionalità all’architettura municipale. Chiaramente a corto di fondi, l’avevano costruito badando all’essenziale. Era stata una scelta positiva, considerando il fatto che il distretto era in pieno ghetto e che, se fosse scoppiata una sommossa di vaste proporzioni, sarebbe stato comunque completamente distrutto.

L’adiacente parcheggio cintato veniva usato dalle auto di servizio e dai furgoni, dagli impiegati, dai poliziotti, nonché dai cittadini assillati dai problemi con la giustizia.

Case a schiera di arenaria e piccoli negozi, tipici della zona, sorgevano di fronte all’entrata principale: una pescheria, un bar privo di insegna luminosa con sinistre sbarre di metallo alle finestre, una drogheria all’angolo, un negozio di elettrodomestici usati, che metteva in mostra una fila variopinta di lavatrici esposte sul marciapiede, e una chiesa mormone.

Entrai nel piazzale, attivai il telefono e chiesi aiuto per il trasferimento di un ricercato in stato d’arresto. Mi fu ordinato di proseguire fino alla porta di sicurezza sul retro, dove mi avrebbe aspettato un agente in divisa. Continuai fino alla porta designata e indietreggiai nel viale sistemando l’auto con la portiera di Clarence vicino all’edificio. Non vidi nessun agente in divisa, perciò chiamai di nuovo con il telefono. Mi risposero di stare calma. Facile per loro… quelli sapevano che cosa fare.

Dopo qualche minuto Crazy Carl Costanza mise la testa fuori dalla porta. Avevo fatto la prima comunione con Crazy Carl, fra l’altro.

Lui guardò verso di me, oltre Sampson. «Stephanie Plum?»

«Ciao, Carl.»

La sua faccia s’illuminò di un sorriso. «Mi avevano detto che qua fuori c’era una rompiscatole.»

«Io», confermai.

«Chi è il bell’addormentato?»

«Un ricercato.»

Carl si fece avanti per dare un’occhiata da vicino. «È morto?»

«Non credo.»

«Puzza come un cadavere.»

Ero d’accordo. «Gli farebbe bene un bagno con la canna.» Diedi a Clarence uno scossone e gli gridai all’orecchio: «Andiamo. È ora di svegliarsi».

Clarence tossicchiò e aprì gli occhi. «Dove sono?»

«Alla stazione di polizia», risposi. «Scendiamo.»

Lui mi fissò con lo sguardo dell’ubiiaco che non connette e rimase seduto inerte come un sacco di sabbia.

«Fa’ qualcosa», dissi a Costanza. «Tiralo giù.»

Costanza afferrò Clarence per le braccia e io appoggiai il piede sul sedere del prigioniero. Lo spingemmo a poco a poco e riuscimmo a far scendere quell’ammasso di carne putrida di Sampson dal sedile sul marciapiede.

«Ecco perché faccio il poliziotto», dichiarò Costanza. «Non so resistere al fascino di certe situazioni.»

Trascinammo Clarence attraverso la porta di sicurezza, lo ammanettammo a una panca di legno e lo consegnammo all’addetto alle registrazioni di questi casi. Tornai fuori di corsa e spostai la Cherokee in uno spazio del parcheggio dove sarebbe stata meno visibile ai poliziotti, nel caso la scambiassero per un’auto rubata.

Quando rientrai, Clarence era stato spogliato della cintura, dei lacci delle scarpe e degli effetti personali; sembrava disperato e patetico. Era il mio primo arresto, avevo creduto di provare soddisfazione per il mio successo e invece mi era difficile esaltarmi per le disgrazie altrui.

Ritirai l’attestato per l’arresto e passai qualche minuto a chiacchierare con Crazy Carl dei vecchi tempi. Poi mi diressi al parcheggio. Avevo sperato di andarmene prima del buio, ma la notte era scesa presto sotto un banco di nubi. Il cielo era senza stelle e senza luna. Traffico leggero, più facile tallonare qualcuno, conclusi fra me, ma non ci credevo. Avevo scarsa fiducia nelle mie possibilità di individuare Morelli.

Nessuna traccia del furgone. Questo non significava molto. Ormai Morelli poteva essere alla guida di qualsiasi veicolo. Mi diressi verso Nottingham con un occhio sulla strada e l’altro sullo specchietto. Dubitavo che Morelli non fosse là fuori, da qualche parte, ma almeno mi usava la cortesia di non farsi vedere. Questo voleva dire che mi prendeva abbastanza seriamente. Un pensiero confortante che mi fece nascere l’idea di un piano. Semplicissimo. Andare a casa, parcheggiare la Cherokee, aspettare fra i cespugli con la bomboletta micidiale e immobilizzare Morelli se avesse tentato di recuperare la sua macchina.

6

La facciata principale del palazzo dava direttamente sul marciapiede, il parcheggio era dietro. Lo spiazzo non aveva niente di pittoresco, consisteva in un rettangolo d’asfalto suddiviso in spazi per parcheggiare. Non eravamo così raffinati da pretendere che a ognuno di noi fosse riservato uno spazio fisso. Parcheggiare era un’impresa disperata, dal momento che i posti migliori erano riservati ai disabili. Tre cassonetti fiancheggiavano l’entrata: due per i materiali riciclabili, il terzo per tutti gli altri rifiuti. Positivo per l’ambiente, un po’ meno per l’estetica. L’ingresso posteriore era più accogliente grazie a una siepe di rigogliose azalee che copriva quasi l’intera lunghezza del piazzale. In primavera le azalee erano bellissime, con i piccoli fiori rosa, e d’inverno davano allo scenario un tocco di magia perché il custode le decorava con piccole luci variopinte. Per il resto dell’anno erano meglio di niente.

Scelsi uno spazio bene illuminato al centro del parcheggio. Volevo vedere Morelli, quando sarebbe venuto a riprendere la sua auto. E poi, era uno dei pochi posti liberi. Gli inquilini dello stabile erano per la maggior parte anziani e preferivano non guidare con il buio. Alle nove il parcheggio era pieno e i televisori andavano a tutto volume negli appartamenti.

Mi guardai attorno per accertarmi che non ci fosse nessun segno della presenza di Morelli. Poi sollevai il cofano e rimossi la calotta dello spinterogeno della Cherokee. Uno dei numerosi trucchi per sopravvivere nel New Jersey. Chiunque abbia lasciato la propria auto nel parcheggio dell’aeroporto di Newark sa che bisogna rimuovere la calotta dello spinterogeno. È runico modo per essere certi di ritrovare la macchina al ritorno.

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