Dubitavo che la pistola mi fosse di qualche utilità. Non mi ci vedevo a sparare a Morelli. Forse a un piede. Ma quali possibilità avevo di colpire un bersaglio mobile? Nessuna. Chiaro che dovevo trovare un modo meno letale per bloccare la mia preda. Magari una bomboletta spray sarebbe stata più congeniale al mio stile. L’indomani sarei tornata dall’armaiolo a cercare qualcosa da aggiungere all’assortimento della mia borsa.
La radiosveglia sul comodino indicava che erano le cinque e cinquanta minuti. La guardai distrattamente, per un momento avevo perso il senso del tempo, poi mi sentii prendere dall’orrore. Mia madre mi aspettava a cena anche quella sera.
Balzai giù dal letto, mi precipitai al telefono. Non dava segni di vita. Non avevo pagato la bolletta. Afferrai le chiavi della macchina dal banco della cucina e sfrecciai fuori dalla porta.
Mia madre era in piedi sugli scalini del portico, quando parcheggiai accanto al marciapiede. Agitava le braccia e gridava. Non potevo sentirla con il rombo del motore, ma riuscivo a leggere le parole sulle labbra. «Spegni il motore!» gridava. «Spegnilo!»
«Scusa», gridai di rimando. «La marmitta è rotta.»
«Devi fare qualcosa. Ti ho sentita arrivare quando eri a quattro isolati da qui. Farai venire le palpitazioni alla vecchia signora Ciak.» La mamma guardò l’auto. «L’hai fatta decorare?»
«È successo in Stark Street. Vandali.» La spinsi nell’anticamera prima che avesse il tempo di leggere le scritte.
«Che belle ginocchia!» commentò nonna Mazur chinandosi per guardare da vicino le mie ferite. «La settimana scorsa ho visto uno show alla televisione. Alcune donne avevano le ginocchia come le tue. Non sono riuscita a capire come si fossero procurate quelle bruciature.»
«Cristo!» borbottò mio padre da dietro il giornale. Non aveva bisogno di aggiungere altro, noi tutti capivamo.
«Non sono bruciature», spiegai a nonna Mazur. «Sono caduta dai pattini.» Non mi preoccupai d’aver raccontato una bugia: avevo alle spalle una serie impressionante di infortuni.
Sbirciai il tavolo in sala da pranzo. Era preparato con la tovaglia di pizzo. Abbiamo compagnia, conclusi. Contai i coperti. Cinque. Alzai gli occhi al cielo. «Mamma, non dovevi.»
«Che cosa?»
Suonò il campanello e i miei timori trovarono conferma.
«Abbiamo compagnia, ma non è un pranzo ufficiale», annunciò mia madre andando ad aprire. «Potrò invitare un ospite in casa mia, no?»
«È Bernie Kuntz», precisai. «Lo vedo dalla finestra del corridoio.»
Mia madre si fermò piantando le mani sui fianchi. «Che cosa ha che non va Bernie Kuntz?»
«Tanto per cominciare… è un uomo.»
«Okay, hai avuto una brutta esperienza. Ma questo non vuol dire che tu debba arrenderti. Guarda tua sorella Valerie. È felicemente sposata da dodici anni. E ha due bellissime bambine.»
«Proprio per questo. Io me ne vado dalla porta sul retro.»
«Torta di ananas», disse mia madre. «Dovrai rinunciare al dessert se te ne vai ora. E non credere che te ne metta da parte una fetta.»
Mia madre era pronta a ricorrere a qualsiasi mezzo, se pensava che ne valesse la pena. Sapeva che mi avrebbe inchiodata con la torta di ananas. Un Plum era disposto a sopportare di tutto, per un buon dessert.
Nonna Mazur sbirciò fuori dalla porta. «Chi è lei?»
«Sono Bernie Kuntz.»
«Che cosa vuole?»
Guardai verso la porta e vidi che Bernie si spostava di continuo sui piedi, evidentemente a disagio.
«Sono stato invitato a cena», spiegò lui.
Nonna Mazur non aveva ancora aperto la porta. «Helen!» gridò da sopra le spalle. «C’è qui un giovanotto che dice di essere invitato a cena. Perché nessuno me l’ha detto? Guarda che vestito indosso. Non posso intrattenere un signore con questo vecchio straccio.»
Conoscevo Bernie da quando aveva cinque anni. Ero andata alle elementari con lui. Pranzavamo insieme e pensando a lui mi veniva in mente il burro di arachidi e la gelatina di frutta sul pane. Avevo perso i contatti con il mio amichetto alla scuola superiore. Sapevo che aveva frequentato il college e che aveva cominciato a lavorare nel negozio di suo padre, che vendeva casalinghi.
Bernie era di statura media, di costituzione normale, forse un po’ grassoccio. Calzava lucidi mocassini con il fiocchetto, indossava pantaloni di buon taglio e una giacca sportiva. Per quello che vedevo, non era cambiato molto dai tempi della scuola. Sembrava che non fosse ancora capace di sommare le frazioni; il cursore di metallo della cerniera lampo gli sporgeva dalla patta dei pantaloni, tenendola leggermente sollevata.
Prendemmo posto a tavola e ci concentrammo sulla cena.
«Bernie vende elettrodomestici», fece mia madre passando il cavolo rosso. «Guadagna bene e possiede una Bonneville.»
«Una Bonneville, ma pensa!» osservò nonna Mazur.
Mio padre tenne la testa china sul pollo. Lui tifava per i Mets, indossava biancheria Fruit of the Loom e guidava una Buick. Era un uomo dai saldi princìpi, per nulla disposto a lasciarsi impressionare da un venditore di tostapane, arricchitosi improvvisamente, che guidava una Bonneville.
Bernie si rivolse a me. «E tu cosa fai, ora?»
Rigirai la forchetta. La mia giornata non era stata esattamente un successo e annunciare al mondo che ero una bounty hunter , mi sembrava presuntuoso. «Lavoro in una specie di compagnia d’assicurazioni», risposi.
«Sarebbe a dire che ti occupi di reclami?»
«Qualcosa di simile.»
«È una bounty hunter », strillò nonna Mazur. «Dà la caccia ai criminali, proprio come alla televisione. Ha una pistola e tutto il resto.» La nonna allungò il braccio dietro di lei, verso la credenza dove avevo lasciato la tracolla. «Ha un borsone pieno di tutto il suo armamentario», spiegò posando la borsa sulle ginocchia.
Tirò fuori le manette, il cercapersone, un pacco di assorbenti da viaggio e li posò sul tavolo. «Ecco la pistola», annunciò orgogliosa. «Non è una meraviglia?»
Devo ammettere che era una gran bella pistola. Era in acciaio inossidabile con l’impugnatura di legno. Una Smith Wesson 5 colpi, modello 38 Special. Facile da usare e da portare, aveva assicurato Ranger. E costava meno di una semiautomatica, se si considerava ragionevole la somma di quattrocento dollari.
«Mio Dio!» strillò mia madre. «Mettila via. Qualcuno le prenda la pistola prima che si ammazzi.»
Il tamburo era aperto, si vedeva che non era carica. Non ero molto esperta di pistole, ma sapevo che un’arma non può sparare senza proiettili. «È scarica», affermai. «Non ci sono i proiettili.»
Nonna Mazur stringeva l’arma con entrambe le mani, con il dito sul grilletto. Socchiuse gli occhi e mirò all’armadietto delle porcellane. «Bang! bang! bang!» disse.
Mio padre ci ignorava tutti quanti, occupato com’era con il sugo di salsicce.
«Non mi piacciono le armi a tavola», dichiarò mia madre. «E la cena si raffredda. Dovrò riscaldare il sugo.»
«Questa pistola è del tutto inutile, senza munizioni», mi ricordò nonna Mazur. «Come farai ad acciuffare gli assassini con una pistola senza proiettili?»
Bernie era rimasto seduto a bocca aperta per tutta la scena. «Assassini?» ripeté.
«Sta dando la caccia a Joe Morelli», lo informò la nonna. «Lui è un furfante e non ha pagato la cauzione. Ha ammazzato Ziggy Kulesza sparandogli alla testa.»
«Conoscevo Ziggy Kulesza», disse Bernie. «Gli ho venduto un televisore con uno schermo enorme circa un anno fa. Non vendiamo molti di quei televisori, sono troppo cari.»
«Ha comperato altro da te?» domandai. «Di recente?»
«No. Ma qualche volta l’ho visto al Sal’s Butcher Shop , sull’altro lato della strada. Ziggy sembrava a posto, una persona normale.»
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