Emilio Salgari - La riconquista di Monpracem

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– Miss, volete cominciare?

Approfittiamo dell’immobilità del piroscafo.

– Subito, Altezza, – rispose la giovane pianista.

Fece scorrere le sue agili dita sui tasti, poi attaccò vigorosamente il magnifico waltzer di Strauss, facendo echeggiare tutta l’ampia sala.

Yanez, sempre cortese, quantunque un po’ beffardo, porse la mano alla sua dama, dicendole:

– Approfittiamone.

– Di che cosa, Altezza? – chiese la signora con visibile emozione.

– Questa è la tregua di Dio, e io perciò sarò con voi tutti un perfetto gentiluomo.

Non chiedo altro che di divertirmi e di farmi obbedire. Signora, sono ai vostri ordini. —

Lo strano nababbo indiano abbracciò la dama e mentre la giovane miss suonava vigorosamente, si slanciò traverso il salone, danzando con grazia sufficiente, data la sua età.

Tutti gli altri, impressionati dalla presenza dei malesi, erano rimasti immobili. Nessuno aveva osato seguire quel terribile uomo, quantunque, pur danzando, avesse gridato replicatamente:

– Divertitevi dunque, signore! Che cosa aspettate? —

Il pianoforte, un ottimo Roeseler, vibrava superbamente nella magnifica sala.

Yanez continuava a danzare, ma i suoi occhi irrequieti si fissavano di quando in quando sui passeggeri, come se cercasse qualcuno.

Ad un tratto, fra l’ansietà generale, s’interruppe.

Un uomo, che indossava una casacca rossa ad alamari d’oro, calzoni di tela candidissima entro alti stivali alla scudiera, con due lunghi favoriti biondi che gli scendevano lungo le gote, si era aperto il passo attraverso i passeggeri.

Yanez si curvò verso la dama e le disse:

– Permettete, signora? Riprenderemo la danza un po’ più tardi. —

Mosse diritto verso l’uomo che indossava la divisa rossa, così cara agl’inglesi, con un moto fulmineo trasse ed armò le pistole e gliele puntò contro il petto.

Un grido di spavento echeggiò nella gran sala, subito soffocato dal rumore sordo e minaccioso dei parangs malesi che venivano piantati nel tavolato.

– Signor mio, – gli disse – volete farmi l’onore di dirmi chi siete?

– Un uomo protetto dovunque dal largo vessillo inglese rispose l’altro, pur impallidendo poiché era affatto inerme.

– L’Inghilterra penserà più tardi, se crederà, a prendersi la sua rivincita e vendicare una offesa fatta ad uno dei suoi ambasciatori.

Per il momento il padrone sono io qui.

– Con quale diritto? – chiese l’inglese.

– Del più forte.

– Questa non è una ragione, bandito!

– Vi prego di chiamarmi Altezza, perché la grande Inghilterra ha riconosciuto perfettamente i diritti che io ho su una grande provincia prossima al Bengala.

– E che cosa pretendereste da me?

– Vi siete dimenticato, milord, di chiamarmi Altezza.

– Ai banditi dell’Arcipelago malese non accordo un tanto onore.

– Ed io milord, me ne infischio altamente. Chi siete? Parlate o fra pochi secondi qui vi sarà un uomo morto.

– Tanto v’interessa? – chiese l’inglese, pallido d’ira, arretrando d’un passo.

– Certo, milord.

– E se mi rifiutassi?

– Vi ucciderei! – rispose freddamente Yanez, appoggiandogli contro il petto le due magnifiche pistole.

– E l’Inghilterra…

– Sì, vi vendicherà, troppo tardi per vostra disgrazia. La sua bandiera non è ancora giunta a coprire questo piroscafo.

Non volete dirmi chi siete? Ve lo dirò io allora.

Voi siete l’ambasciatore inglese che l’Inghilterra manda a Varauni a sorvegliare, o meglio a spiare gli atti di quell’imbecille di sultano.

Mi sono ingannato? —

L’inglese era rimasto come fulminato. Aveva capito d’aver dinanzi a sé un uomo capace di eseguire alla lettera la minaccia e di farlo stramazzare, con quattro palle di pistola nel petto, sanguinante sul tappeto del gran salone.

Il momento era tragico. Nessuno fiatava.

La bionda miss aveva interrotto il suo waltzer, mentre i trenta malesi avevano fatto un passo innanzi, facendo scintillare minacciosamente, alla luce delle innumerevoli candele, le loro enormi sciabole.

2. L’ambasciatore inglese

Mai l’inglese, anche durante le sue cacce in India od in altre regioni dell’Asia, aveva veduto la morte così vicina.

Yanez, fermo a due passi di distanza, teneva sempre puntate le pistole e le sue mani non avevano un tremito.

Un rifiuto, una esitazione, e quattro spari avrebbero echeggiato là dove fino allora aveva vibrato il pianoforte.

– Orsù! – disse Yanez, alzando un po’ le pistole. – Vi decidete sì o no?

Per Giove! Io a quest’ora, preso così fra l’uscio e il muro o, se vi piace meglio, fra la vita e la morte, non avrei esitato.

È vero che un portoghese non è un inglese.

– Insomma che cosa volete da me? – chiese l’uomo dai favoriti rossi.

– Vi faccio osservare che non mi avete chiamato ancora Altezza, milord.

– Io non vi riconosco questo titolo.

– La corona che mia moglie, la rhani, porta sulla fronte, ai confini del Bengala, è abbastanza pesante, signor mio, per farvi rispettare le persone.

Sono un rajah e basta. Ditemi invece chi siete voi. Sono due minuti che attendo la vostra risposta e che aspetto di graziare od uccidere un uomo. —

L’inglese, quantunque facesse degli sforzi supremi per mantenersi tranquillo, impallidiva a vista d’occhio.

– La risposta! – ripeté Yanez.

– Che cosa volete fare di me? Io non lo so ancora.

– Solamente impedirvi di andare a Varauni come ambasciatore dell’Inghilterra, perché quel posto verrà occupato da un’altra persona che io ora non posso nominare.

– E vorreste arrestarmi?

– Certo, milord: vi imbarcherò sul mio yacht, dove sarete trattato con tutti i riguardi possibili.

– E fino a quando?

– Fino a quando piacerà a me.

– È un sequestro di persona.

– Chiamatelo come volete, milord: a me non disturberete con questo i miei sonni.

Ed ora, milord, conducetemi nella vostra cabina e consegnatemi le credenziali per il sultano del Borneo.

– È troppo! – urlò l’inglese.

– Ma obbedendo salvate la vita.

Sbrigatevi: abbiamo annoiato abbastanza queste signore e queste signorine. —

Si era voltato e fatto un cenno.

Subito quattro malesi, robusti come piccoli tori, lo raggiunsero in mezzo alla sala.

– Voi, poi – gridò Yanez volgendosi verso la scorta sempre immobile – al primo tentativo di rivolta fate fuoco. —

Prese un candeliere che si trovava sul pianoforte e spinse avanti l’inglese, il quale ormai non si sentiva più in caso di tentare la menoma resistenza.

– Andiamo! – gli disse.

Attraversarono il salone, aprendosi il passo fra i passeggeri terrorizzati ed impotenti, e sempre seguiti dai quattro malesi raggiunsero il quadro di poppa, dove si trovavano le cabine di prima classe.

Yanez si era messo a leggere i cartellini attaccati alle porte che portavano il nome, cognome e condizione dei viaggiatori.

– Sir William Hardel, ambasciatore inglese – lesse. – È dunque questa la vostra cabina?

– Sì, signor brigante! – rispose l’inglese, furibondo.

– Fareste meglio a chiamarmi Altezza: ve l’ho già detto. Aprite, signor mio. —

Sir William non osò rifiutarsi. Si sentiva addosso i quattro malesi, i quali pareva avessero una voglia pazza di metterlo a pezzi coi loro terribili parangs.

La porta fu aperta ed i sei uomini entrarono in una bellissima e spaziosa cabina ammobiliata con molto lusso e soprattutto con buon gusto.

Yanez che osservava tutto, balzò verso il canterano dove si trovava una pistola; la prese e la passò ai suoi uomini, dicendo al disgraziato ambasciatore:

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