L’ancorotto fu subito calato a tribordo della nave, mentre altri marinai si armavano di scuri e di parangs.
Il Sultano, il suo seguito, la bella olandese e Yanez si erano curvati sulla murata, ansiosi di assistere a quella straordinaria caccia.
L’ancorotto si vedeva benissimo, essendo stato immerso ad una profondità di venti metri.
Il suo rivestimento rosso doveva richiamare prontamente l’attenzione delle ingorde tigri del mare.
– Questi si chiamano divertimenti milord – disse il Sultano. – Se io avessi un ministro come voi, sarei l’uomo più felice del Borneo.
– Se vorrete, Altezza, oltre a delle crociere, noi faremo anche delle partite di caccia. Le tigri non devono mancare fra i boschi dei monti del Cristallo.
– Purtroppo, milord.
– Andremo a scovarle e ornerete colle loro pelli le vostre splendide verande.
– Ho nelle vene sangue arabo e malese, potete quindi immaginarvi come io ami la caccia. Gli è che i miei ministri hanno paura a seguirmi. —
In quel momento una grande ombra sorse dalle profondità del mare e salì verticalmente in direzione dell’ancorotto. Ma al momento di urtarvi contro, si era lasciata ricadere, agitando debolmente le pinne e la coda.
– Che ritorni? – chiese il Sultano.
– La voracità vincerà il pericolo – rispose Yanez. – Abbiate un po’ di pazienza, Altezza. Non ci vuole fretta per prendere questi bestioni. Là, vedete? Ecco l’ombra che risale. —
Il pesce-cane infatti risaliva a poco a poco, attratto irresistibilmente da quel pezzo di lardo che costituiva infatti un buon boccone.
Passò qualche minuto, poi lo squalo, che discendeva sempre attraverso alle acque trasparenti a malincuore, sempre colla testa in aria e gli occhi fissi sull’ancorotto, riprese lo slancio, portandosi all’altezza dell’ancorotto.
– Che nessuno parli – disse Yanez. – Lasciatelo fare. —
Si trattava d’un superbo charcarias, lungo sette metri, con una bocca così vasta da poter contenere un uomo ripiegato.
Ma doveva essere una vecchia pelle, perché invece di correre subito all’assalto del pezzo di lardo, si mise a descrivere intorno all’ancorotto degli ampi giri, che a poco a poco, ma molto lentamente, si restringevano.
Tutti quegli stracci rossi, ond’era avvolto l’ancorotto, dovevano dargli l’illusione di aver da fare con un bel pezzo di carne ancora sanguinante.
Come tutti i mostri della sua specie, diffidava, e quando stava per abboccare, sia che si spaventasse delle ombre degli uomini saliti sulle murate o del fondo dello yacht, con un brusco slancio si allontanava.
Ma la fenomenale voracità di quei terribili abitanti del mare doveva vincere la prudenza.
Un altro bestione era giunto ed allora il primo, temendo che volesse portargli via la colazione, si slanciò innanzi, aprì la sua immensa bocca semi-circolare ed inghiottì d’un colpo l’ancorotto, il lardo ed un bel tratto di catena.
Un grido altissimo si era alzato fra i malesi ed i dayachi dello yacht.
– È preso! È preso!
Lo squalo aveva dato indietro, tentando di troncare con un colpo di denti la catena, poi era rimasto quasi immobile.
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