– Milady… – mormorò Sandokan con voce soffocata.
– Mi avete compreso. Non voglio la pelle della tigre; essa mi farebbe paura.
– Non siete voi che parlate… non potete aver paura di una pelle… voi che venite a cacciare con noi il terribile animale. Milady, non mettetemi al punto di dover mancare alla mia parola.
– E se ve l’ordinassi?… Non vorrei vedervi ferito una seconda volta per cagion mia.
– Non fatelo, milady! – esclamò Sandokan che non si padroneggiava più. – Sarei capace di violare la vostra proibizione. Lasciatemi. Là dove la vostra palla fallirà, il mio kriss ucciderà.
Sarebbe stata follia voler arrestare quell’uomo che la passione dominava. La giovanetta non parlò più, ma lo guardò con due occhi nei quali trapelava un dolce rimprovero. Sandokan la comprese, ma non volle far vista di comprendere; aveva promesso e la pelle della tigre doveva infallibilmente essere sua.
La comitiva li aspettava nel salone. Il lord, dopo di averli salutati e dopo che essi complimentarono la bella cacciatrice, presentò ad essi Sandokan, che si trasse d’impaccio colla maggior disinvoltura del mondo. Quantunque avesse tutto da temere da parte degli ufficiali di marina, che potevano averlo riconosciuto durante il terribile combattimento fra il piroscafo e il prahos, non tremò, né si smarrì. A ogni modo, nessuno sospettò in lui il terribile pirata e complimentarono il Malese di Schaja.
Non mancava che partire. Scesero nel parco dove i cavalli li aspettavano trattenuti da palafrenieri e dove i bracchi di alta statura e dalle mascelle di ferro abbaiavano tirando il guinzaglio.
– Andiamo, signori – disse il lord mentre aiutava sua nepote a salire in sella di un piccolo cavallo bianco. – La caccia comincia, la tigre si tiene nei dintorni fuggendo dinanzi ai battitori. Non sarà che colpa nostra, se lasciamo fuggire un sì superbo capo di selvaggina. Pensate che mia nepote è della partita e che brama la sua pelle; mi raccomando a voi.
– Non ci sfuggirà – disse l’elegante ufficiale di marina verso il quale Sandokan provava un sentimento di gelosia. – Se la mia palla non fallirà avrò l’onore di presentare la pelliccia a lady Marianna.
– E io avrò l’onore di pugnalare la tigre ancor prima che la pelle sia stata guasta da una palla – disse Sandokan guardando fissamente il giovanotto. – Nella Malacca non si usa rovinare la pelliccia con del piombo.
– A vostro piacimento – rispose il lord, – guardate però di non farvi ammazzare. La tigre è un animale che non ischerza.
Il segnale della partenza fu dato e la cavalcata uscì dal parco in gruppo serrato. Sandokan, che montava un magnifico cavallo sauro colla spigliatezza di un cavaliere consumato, si era spinto alla destra della giovanetta, mentre il lord si teneva alla sua sinistra. Il pirata, calmo ma fiero, determinato a tutto per pugnalare la tigre ad onta delle raccomandazioni della giovanetta, non aspettava che l’istante di porsi all’opera. Aveva appesa la carabina all’arcione e stringeva il kriss.
La foresta appena fuori dal recinto erasi fatta fitta ma permetteva ai cavalli di avanzare e di galoppare tenendo dietro ai battitori e ai bracconieri che li precedevano di cinquecento passi.
Si doveva circondare la foresta che aveva un’estensione di quasi due miglia, appena che fosse segnalata la tigre per togliere ogni scampo di fuga e restringersi fino a imprigionarla nel suo covo o fra qualche gruppo di alberi. Doveva essere là che si doveva affrontarla, e siccome ognuno non ignorava la resistenza che simili belve oppongono, si voleva essere riuniti per aiutarsi a vicenda. Era là che l’ufficiale e Sandokan, l’uno col fucile e l’altro col kriss dovevano disputarsi la vittoria tenuta fra le unghie del terribile animale.
La cavalcata percorse un cinque o seicento passi, arrestandosi tratto tratto per non precedere i battitori che avanzavano prudentemente, e per trovare un passaggio fra i fitti cespugli spinosi e fra i grandi alberi. Stava per dividersi in due colonne per meglio tirar innanzi, quando si udì improvvisamente lo squillo della tromba di John il capo bracconiere.
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