Emilio Salgari - La tigre della Malesia
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Egli si arrestò nel momento che stava per pigliare lo slancio e varcarle. Un singulto gli serrò la gola, un tremore lo prese. Egli nascose il volto fra le mani mugolando come una belva.
– Ma no! Ma no!… – esclamò egli. – Non posso varcare questa cinta, non posso allontarmi da questi luoghi, nol posso, no, nol posso. Che s’inabissi Mompracem e i pirati, io resterò!…
Egli si era allora messo a correre pel parco volgendo le spalle alle palizzate, quasi avesse paura di dover varcarle, e come avesse paura di pentirsi di quelle parole uscitegli dalle labbra, che erano per lui una sentenza.
Rientrò nella stanza due ore dopo, trafelato per la corsa, affranto, tutto in sudore, più cupo che mai. Quando, dopo di aver a lungo esitato, si trovò ancora in quella stanza dalla quale era fuggito coll’intenzione di non rivederla mai più, un profondo singhiozzo gli uscì dalle frementi labbra.
– Ah! – esclamò egli con tono di rimpianto. – La Tigre della Malesia tramonta!…
Egli passò la notte senza sapere il come, senz’essere capace di chiudere occhio. Solo verso il mattino poté addormentarsi, ma fu un dormire di poche ore, poiché fu improvvisamente svegliato da un nitrire di cavalli, da un abbaiar di cani e da un vociare d’uomini.
Si vestì in un lampo, aprì la fenestra con precauzione per non essere visto, e guardò.
Sei o sette cavalieri, armati di fucili, di pistole e di coltelli a doppio taglio, erano entrati nel parco accompagnati da un branco di grossi cani. Sei, a giudicarli dalle vesti e dal fare, erano coloni dei dintorni, il settimo era un bello ed elegante ufficiale di marina, dal portamento altero e aristocratico. Sandokan guardò quest’ultimo con particolare attenzione, e senza sapere il perché, provò una puntura al cuore, provò un sentimento quasi direi di gelosia e d’invidia.
La sua fronte nell’ammirarlo s’aggrottò a più riprese e le labbra si sporsero sdegnosamente. Ma non aprì bocca e rientrò proprio nel momento che il lord bussava alla porta gridando:
– In piedi, amico mio, in piedi che i cacciatori sono arrivati. Non bisogna dormire quando si vuol scovare la tigre.
Sandokan si affrettò ad aprire.
– Ah! siete voi, milord? – diss’egli con voce calma.
– E chi potrebbe essere mai? Su, spicciatevi che i cavalli sono pronti, i cani abbaiano impazienti di mordere il pelo della belva, e i battitori sono in campagna. Il sole fra pochi minuti si leverà.
– Sono pronto, milord. E vostra nepote rimarrà alla villa sola? – chiese Sandokan arrestandosi nel momento che stava per varcare la porta della stanza.
– Che dite mai? Ha nelle vene del sangue di due razze. Non ha paura di una tigre, dovesse pur esser la più terribile della Malesia. In fede mia, che non se ne consolerebbe mai più che la si avesse a lasciar sola nel momento che tutti gli altri cacciano nelle sue foreste; di più, vi dirò, che arde dal desiderio di vedere un Malese a cacciar una belva sì pericolosa.
– Lei ha detto ciò! – esclamò Sandokan che non credeva o che non voleva credere.
– Sì amico mio, e starà in voi a far vedere come caccia un Malese.
– E lo vedrà milord. Se vi ha una tigre, sarà mia e la pelliccia sarà sua. Sandokan aveva pronunciato quelle parole con tutto il fuoco suggeritogli dalla passione. Tigre della Malesia contro tigre di Labuan! Dovevano cadere l’una o l’altra. Avrebbe ben saputo lui guadagnar la partita sotto gli occhi di Marianna. Egli alzò il capo con un gesto altero; ricominciava a essere Sandokan.
– Andiamo, milord, sono con voi. Ardo dal desiderio di trovarmi di fronte a questa tigre.
– Lo crederò – rispose l’Inglese. – I Malesi godono fama di essere valenti cacciatori, e mia nepote avrà agio di potersene assicurare coi propri occhi. Sarà contentissima poi di avere la pelliccia.
Uscirono e attraversate tre o quattro stanze entrarono in un elegante salotto, tappezzato di ogni sorta di armi, dove Sandokan aveva solo da scegliere. Fu colà che trovò Marianna in completo abbigliamento da cacciatrice. Pareva Diana, più bella che mai, fresca come una rosa dei boschi e nell’attitudine fiera di una cacciatrice provetta.
Nel vederla, Sandokan sentì il fuoco serpeggiargli nelle vene. Egli mosse verso di lei con passo sollecito e strinse fremendo la mano che la giovinetta gli tendeva, e che avrebbe voluto coprire di baci.
– Voi qui? – disse ella sorridendo e arrossendosi in una volta. – La ferita è adunque cicatrizzata?
– Perfettamente, milady – rispose Sandokan. – Oh! credetelo, la vostra presenza, la vostra voce, le vostre affettuose cure di cui serberò memoria anche quando ritornerò nella mia patria, hanno fatto più che tutti gli empiastri dei medici. Vedete? io mi sento più forte di prima.
– E voi dite di serbarne memoria anche quando sarete laggiù, nel vostro paese? – domandò la giovanetta la cui voce tremula scese fino al fondo del cuore di lui.
– Sì… mi capite, milady. Non mi dimenticherò mai, mai!…
Fra loro due regnò un breve silenzio intanto che il lord esaminava delle carabine, poi il pirata cangiando tono e avvicinandosi alla giovanetta che lo contemplava con tristezza:
– È vero adunque che verrete a cacciare la tigre con noi, nella foresta?
– Certamente – rispose con vivacità ella. – Non sono io adunque una cacciatrice? Mio zio ve lo disse.
– Avete mai veduto cacciare il terribile animale da un Malese?
– Mai, ed ecco ciò che aspetto di vedere. Si dice che quelli della vostra razza siano così valenti.
– Sì, sì, valenti – rispose Sandokan, che in quell’istante avrebbe lottato con cento tigri.
– Che adoperano meglio il kriss che la carabina. Oh! io vorrei vedere tutto ciò.
Sandokan trasse il suo kriss dalla cui impugnatura scattò un lampo. Egli lo mostrò alla giovanetta che sembrava atterrita alla vista di quell’arma sulla cui lama scorgevansi tracce di sangue.
– Vedete – disse egli sorridendo, – quest’arma è il nostro più fedele amico, al quale noi dedichiamo una specie di culto superstizioso. Con essa io ammazzerò la tigre o io non sarò più un Malese!
– No, no; potrebbe capitarvi sventura! – esclamò la giovanetta con tale accento che il pirata ne fremé.
– Voi avete esternato il desiderio di possedere la pelle della tigre. L’avrete e da me!
Il lord aveva finita la scelta delle armi e tornava verso di essi.
– Oh! il magnifico kriss! – esclamò egli vedendo quello che impugnava Sandokan.
– In fede mia, milord, è una arma ammirabile e di una tempra eccezionale. Non fallì mai, e meno oggi fallirà la tigre. Io inchioderò la belva come la inchiodava alla Malacca.
– Con tutto ciò non rifiuterete una eccellente carabina, che ha abbattuto più di un colosso delle foreste indiane, un’arma che sarà infallibile come il vostro kriss.
– Certamente, milord. Potrebbe darsi che una palla di carabina diventasse indispensabile.
Sandokan si gettò a bandoliera l’arma, l’Inglese ne prese un’altra simile cacciandosi nelle tasche un paio di corte pistole e Marianna staccò una piccola carabina indiana incrostata d’argento e di madreperla, sospendendosi per di più un elegante pugnaletto dal manico dorato alla cintura.
I cavalli impazienti scalpitavano nel parco, i cani abbaiavano e i battitori si mettevano allora in campagna. Gl’invitati chiamavano il lord salendo nei piani superiori.
– Andiamo, i miei compagni ci aspettano. Non sarebbe giusto farci aspettare.
Uscirono. Nel momento che entravano in un secondo salotto Marianna che era divenuta pensierosa, si avvicinò al pirata, che le veniva dietro.
– Non commettete imprudenze colla tigre – diss’ella con voce supplichevole. – Morto voi, e per cagione mia, non me ne consolerei più!
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