Emilio Salgari - La tigre della Malesia
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– Non è tutto – continuò flemmaticamente il lord. – Avete parlato di giacche rosse e di un’isola temuta: Mompracem. È un punto oscurissimo per me.
– Ah! – fe’ Sandokan fremendo. – Con queste giacche rosse, noi Malesi vogliamo significare i pirati, credendo che le loro stoffe siano sempre arrossate di sangue. In quanto a Mompracem è l’isola dalla quale i pirati sbucano, un gran nido, milord, che bisognerebbe distruggere dopo aver raccozzato forze considerevoli. Vi ha un formidabile uomo colà.
– Lo so, si chiama Sandokan, che porta un nomignolo poco differente dal vostro. Si chiama la Tigre della Malesia, un uomo di prodigioso coraggio, che getta il guanto di sfida in faccia all’Inghilterra ma che cadrà. Questi mari che chiama suoi, diverranno nostri.
– Sarebbe tempo – aggiunse Sandokan con sorda voce, mentre un lampo scattava dai suoi occhi.
L’Inglese esaminò ancora la ferita applicandovi nuove compresse. Il pirata lo lasciò fare, ma un tremito convulso lo agitava tutto e le carni si raggrinzavano sotto lo sforzo potente che faceva per frenare lo scoppio di rabbia. Vi fu un momento che egli alzò il capo digrignando i denti, e che si sentì preso da una pazza voglia di afferrare pel collo l’infermiere e di strangolarlo.
– Ruggi, ruggi contro la Tigre della Malesia, figlio di una razza maledetta – mormorò egli quando si trovò solo. – Quando mi vedrai illuminato dal balenar dei cannoni, a bordo dei miei prahos movendo su questa isola che chiami tua, saprai chi io mi sia. Il pirata diverrà allora un eroe leggendario della storia Malese, e il mio nome ancora di qua a cent’anni spargerà il terrore su queste coste come oggi. Dovunque il mio sguardo si fisserà non lascierà che tracce di ferro e di fuoco!
Il formidabile uomo tese il pugno come se giurasse odio eterno alla schiatta dei Britanni, poi i suoi occhi caddero involontariamente sul libro posato sullo sgabello. La sua ira svanì tutta. Era solo. Afferrò macchinalmente il libro e lo guardò a lungo quasi con tenerezza, leggendo per la ventesima volta quel nome di donna. Poi le avide dita cercarono il gelsomino abbandonato e appassito fra quei fogli, lo prese ancora delicatamente e lo fiutò. Le sue labbra ardenti per la febbre, che non avevano sorriso che coll’espressione della tigre, sorrisero dolcemente, in un senso che egli stesso non giunse a comprendere, e quelle labbra che non avevano baciato che le lame delle armi arrossate di sangue, cercarono su quel fiore un bacio!… Ritrasse la mano subitamente.
– Sono pazzo! – mormorò egli.
La voce uscita da quelle labbra aveva un’intonazione che lo spaventò. Egli premette ambe le mani sul cuore che batteva con insolita violenza, e stette lì, muto, anelante cogli occhi fissi su di un punto immaginario che pareva ingigantire, nel mezzo del quale vedeva un nome: Marianna!
D’improvviso udì risuonare dei passi nella stanza vicina. Sussultò e volse istintivamente gli occhi alla porta. Il cuore non batteva più, saltellava e bruciava come vulcano.
Entrò il lord che andò verso il letto col più amabile sorriso. Dietro a lui Sandokan scorse un’ombra, una fanciulla alla cui vista egli gettò un grido di ammirazione e di sorpresa.
Quella fanciulla che andava avvicinandosi a lui guardandolo con curiosità, sfiorando appena appena il tappeto, era la più bella e la più splendida che il pirata avesse mai visto. Era di media statura, di tinta bianca-rosea, con una testolina ammirabile, con occhioni azzurri come l’acqua del mare, una fronte d’incomparabile precisione sotto la quale spiccavano sopracciglia leggiadramente arcuate di un castagno chiaro, un nasino le cui nari mobili dovevano dilatarsi nella collera e nelle passioni e due labbra coralline, che sembravano mature ciliege. Lunghi capelli, sottili, profumati, ondulati, di un biondo lucente che parevano fili d’oro, scendevano in pittoresco disordine sul busticino scollacciato in mezzo al quale spiccavano bianche rose e spilloni dalla capocchia d’argento.
Nel vedere quella graziosa figura dalla taglia elegante, dal portamento superbo, il pirata si sentì scuotere fino al fondo dell’anima. Lui, il sanguinario avventuriere, la terribile Tigre della Malesia, che non avea mai provato emozioni che non fossero da belva, si sentì suo malgrado affascinato. Il suo cuore che poco prima batteva lo sentì ardere, abbruciare, parve che un improvviso fuoco gli scorresse per tutte le vene. Restò lì immobile, come istupidito, col volto stravolto senz’essere capace di staccare i suoi occhi dalla fanciulla.
– Oh! – esclamò il lord sorpreso da quello strano cangiamento. – Che volto scomposto che avete: state forse male?
– No!… No!… – esclamò vivamente il pirata scuotendosi.
– Lasciatemi in tal caso presentarvi mia nepote, Lady Marianna Guillonk, una donna col cuore da fanciulla…
– Marianna Guillonk!… Marianna Guillonk!… – balbettò Sandokan.
– E che, trovate strano il mio nome? – chiese la giovanetta con un incantevole sorriso.
Sandokan udendo quella voce trasalì di nuovo. Non aveva mai udito una voce sì dolce risuonare ai suoi orecchi abituati alla terribile musica del cannone. Si credette in preda a un sogno.
– Non trovo nulla di strano nel vostro nome, adorabile milady – diss’egli galantemente. – Trovo solo che questo nome è il più bello di tutti quelli che udii nel mio paese, e che lo imparai a conoscere ancor prima di aver veduto colei che lo portava.
– Ah – esclamò la leggiadra lady arrossendo. – E come?
– L’ho letto su quel libro che vedete lì. Senza sapere il perché mi impressionò in una strana maniera e indovinai che colei che così si chiamava non doveva essere meno bella.
– Adulatore – diss’ella sorridendo. Poi, cangiando bruscamente tono:
– È vero che i pirati vi ferirono?
Il volto di Sandokan s’abbuiò, ma fu un lampo.
– Sì – diss’egli sordamente. – Mi vinsero e mi ferirono. Oh! ma guarirò e allora guai a loro!
– Soffrite molto?
– Se soffro?… Ah! milady, le sofferenze non avevano nome prima, ma ora non sento più nulla. Mi pare che la vostra voce apporti mille balsami che alienano l’atroce dolore della ferita.
– Sarebbe mai possibile, amico mio, che la voce di una fanciulla abbia la potenza di alienare le sofferenze di un guerriero? – chiese il lord ridendo.
Sandokan non rispose. Egli si era improvvisamente avvicinato al volto della giovanetta sul quale una emozione sconosciuta faceva correre una rosea nube sulle seriche gote e la contemplava con un misto di stupore e di ammirazione e la fissava con due occhi che mandavano fiamme. Si ritirò tremando, facendo udire un sordo brontolio, passandosi a più riprese una mano sulla fronte imperlata di sudore.
– Milady!… – esclamò egli con istrana intonazione.
– Mio Dio che avete? – chiese ella sorpresa.
– Voi portate un altro nome, un nome ancora più bello di Marianna Guillonk.
– Quale? – chiesero ad un tempo la giovanetta e il lord.
– Sì… Voi siete la Perla di Labuan. Non potete essere che voi che portate un sì bel nome.
Il lord fece un gesto di sorpresa.
– Come sapete voi, che venite dalla Malacca, che mia nepote si chiama la Perla di Labuan?
– Non è possibile che questo nome datomi dagl’indigeni, sia giunto sino a quelle coste – disse lady Marianna arrossendo.
– No, non l’ho mai udito a Schaja, ma l’ho udito alle Romades. Mi si parlò di una fanciulla d’incomparabile fulgidezza – disse il pirata con slancio appassionato. – Di una fanciulla i cui biondi capelli erano più lucenti dell’oro, più fini dei fili di seta, più profumati dei più odorosi gelsomini del Borneo, i cui occhi erano più azzurri del cielo più puro, e più dolci dello sguardo più languido e la cui voce aveva la proprietà di affascinare e di toccare le corde degli animi più inaccessibili!… Sì, voi siete la Perla di Labuan! Non potete essere che voi che portate un tal nome.
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