Emilio Salgari - La tigre della Malesia

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Marianna era giunta così in sui diciassett’anni crescendo libera e doppiamente libera dopo la morte della sua compagna napoletana, che aveva amato come una seconda madre e lungamente pianta, come si può piangere l’ultimo ricordo che rammenti la patria lontana e che in sul più bello si spenga.

Era cresciuta fra quelle grandi foreste che amava forse come quelle degli Appennini o del Vesuvio, su quelle spiagge ben differenti ma che riguardava come quelle incantate del Tirreno, cresciuta solitaria, orfana, senza un affetto, senza una carezza, senza una dolce parola.

Non aveva mai provato fino allora le emozioni sublimi dell’amore, in mezzo ai suoi boschi non aveva mai udito il suo cuoricino palpitare affannosamente, battere in una nuova maniera; ma dopo che aveva veduto il pirata, ché non sognava né sospettava in lui la sanguinaria Tigre della Malesia, dopo di aver mirato quell’ardita figura di selvaggio, che aveva la nobiltà di un sultano e la galanteria di un cavaliero d’Europa, dopo di aver mirato quel fiero volto che aveva del guerriero e dell’eroe, e quegli occhi scintillanti dai quali trapelava il coraggio indomito di una natura eccezionale, lei, la fragile e cara fanciulla, aveva provato un inesplicabile turbamento, una emozione insolita, aveva sentito un fuoco strano invaderla, fuoco che scorrevale più rapido per le vene, man mano destavansi le ardenti passioni della sua natura meridionale.

Dopo di aver favellato con lui, di averlo affascinato coll’incantesimo della sua voce, col suo sorriso, col suo sguardo, era stata alla sua volta affascinata, e invano cercava spezzare questo fascino che la turbava, fascino che minacciava inghiottirla, invano cercava allontanare quegli occhi scolpiti sul suo cuore che bruciavano come carboni ardenti, e invano cercava stordirsi seppellendosi fra i suoi fiori, ma senza più trovare quella calma, quella serenità che provava prima di aver veduto il pirata.

Se Sandokan però aveva ammaliato lei, lei aveva pure ammaliato Sandokan. Entrambi lo dovevano comprendere, poiché entrambi provavano le medesime emozioni, i medesimi battiti, la medesima fiamma; i loro pensieri se avessero potuto confidarseli li avrebbero trovati stessi, eguali come i loro sentimenti.

All’indomani Marianna era ancora dal pirata assieme al lord, il quale trovava dilettevole la compagnia del ferito, che riguardava sempre come uno dei più arditi guerrieri della Malesia, che parlava di guerra, di marina, che raccontava le sue sanguinose spedizioni contro i pirati delle coste, o le grandi caccie intraprese nell’interno della penisola.

La giovinetta prestava pur essa orecchio a quei fantastici racconti ammirando sempre più quel preteso Malese che ai suoi occhi prendeva la figura di un eroe degno degli eroi d’Omero, racconti che però il pirata dinanzi alla giovanetta andava modificando a poco a poco fino a scendere a parlare di futili o di belle cose, che non si avrebbe mai creduto che uscissero dalle labbra della terribile Tigre della Malesia.

Bisognava udirlo allora, quando la sua voce tonante e metallica cangiava tono per diventare dolce, affascinante. Bisognava udirlo, quando dimenticando le sue pugne e le sue stragi parlava colla giovanetta di alberi, di fiori, di caccie, di feste e persino di mode e di vesti!

Era una commedia, ma una commedia che egli stesso prendeva per realtà, e nella quale sentivasi trasportato in un nuovo mondo, nella quale provava strane emozioni, nella quale il suo cuore batteva precipitosamente e sentivasi preso da una strana febbre. Non provava allora le sofferenze attutite, scemate dall’armoniosa voce della lady che egli trovava mille volte superiore a quella del cannone e persino i ricordi della sua isola si cancellavano, sfumavano dimenticati fra i racconti della giovinetta che gli parlava della sua terra natia, del bel cielo d’Italia, dell’azzurro Tirreno, delle incantevoli sue coste e delle superbe sue città. Lui, il terribile e sanguinario pirata comprendeva infine che un legame più forte dell’amicizia lo univa a lei, comprendeva infine che questo legame fino come la seta andava ogni dì ingrossando, comprendeva infine che ormai una corrente di reciproca simpatia si era stabilita fra i loro cuori e che infine si amavano!

I giorni così volavano rapidi per entrambi come baleni e la guarigione del pirata volava aiutata potentemente dalla forza dell’amore, amore che sempre ingigantiva, mille volte raddoppiato dall’ardente natura del selvaggio. E infatti venti giorni dopo, il ferito poté abbandonare senza fatica il letto e presentarsi dinanzi a lord James nel momento che questi entrava.

– Oh! mio degno amico, voi in piedi! – esclamò il lord vedendoselo dinanzi.

– Vi meravigliate, milord? – chiese Sandokan sorridendo. – Mi pare essere rimasto a letto fin troppo.

– Gli uomini di guerra, checché se ne dica, sono formati d’acciaio. Come vi sentite?

– Ma benissimo, milord! Mi sento forte come una colonna di ferro. A proposito, i miei più caldi ringraziamenti, milord, tanto a voi che alla vostra cara nepote. A simili persone bisogna essere riconoscenti anche non volendolo.

– Via, non parliamo di ringraziamenti. Fra gente di guerra non si usa.

– Al contrario, milord, e vi confesso che senza di voi, per quanto fossi stato forte, a quest’ora sarei morto da un bel pezzo. La mia riconoscenza non cesserà mai, tenetelo ben in mente, milord, mai!… Andiamo, farò il contraccambio di questa ospitalità quando voi verrete a Schaja. Sarete il re delle nostre feste.

Il lord si mise a ridere, stringendo la mano che Sandokan francamente gli porgeva.

– Verrò – disse il lupo di mare, – ve ne do la mia parola, e se caso mai avrete bisogno di un aiuto per prendere la rivincita contro i pirati di Mompracem, pensate a me.

La fronte di Sandokan si abbuiò. Egli si avvicinò vieppiù all’Inglese.

– Guardate qui – disse con istrana voce. – La ferita si è chiusa, ma rimane un segno bianco: la cicatrice. È un segno che non si cancellerà più mai: un segno che in ogni ora, in ogni tempo mi rammenterà dei miei feritori. Quando ritornerò nella mia patria, a me allora la vendetta. Vedrò fuoco e sangue!…

Se l’Inglese avesse potuto comprendere il vero significato di quelle parole avrebbe rabbrividito. Ma egli tutto ignorava, non sospettava né poteva sospettare che chi parlava in tale guisa fosse la Tigre della Malesia che giurava di guazzare nel sangue inglese.

– Vedete – continuò Sandokan sul medesimo tono. – È la prima volta che subii una disfatta, e quegli uomini che han fatto mordere la polvere alla Tigre, la pagheranno ben cara.

– Fate conto di tornare in breve a Schaja? – chiese il lord. – Non abbiate fretta, amico mio, ché la vendetta più lunga è e più diventa matura. I pirati sono là, annidati nella loro formidabile isola, mille miglia lontani dall’idea di volerla abbandonare. Avrete sempre tempo di vendicarvi. Rimarrete fra noi fino a completa guarigione e mia nepote s’incaricherà di non farvi annoiare, ora che ha una profonda ammirazione per voi.

Sandokan lo guardò con sguardo balenante. Per lui, rimanere ancora su quella terra che forse cominciava ad amare, rimanere ancora presso quella fanciulla che aveva saputo affascinarlo, accanto a Marianna era la vita. Non chiedeva di più, dimenticava Mompracem.

Che importava a lui che i suoi tigrotti lo aspettassero, quando poteva vedere quella fanciulla divina? Che importava, se non assaporava sangue, quando assaporava la felicità di trovarsi presso lei? Che importava se non udiva il tuonare dei cannoni, quando la voce di lei era più dolce del ruggito dei fumanti bronzi? Che importava infine rischiare di essere scoperto, forse preso, forse ucciso, quando sentiva il cuore battere d’amore, quando respirava la medesima aria che respirava lei, quando si sentiva amare? Lui, la Tigre, tutto avrebbe sacrificato per provare ancora quelle emozioni sino allora mai provate a Mompracem.

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