Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV
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- Название:Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV
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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV: краткое содержание, описание и аннотация
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Tutte queste cose non erano ignote a Ferdinando, e considerato oltre a questo, che tutte le genti Francesi, che allora erano in Italia raccolte insieme, non sommavano gran pezza al numero delle sue, e che i repubblicani già inferiori di numero, erano dispersi quà e là nei presidj della Cisalpina, dello stato Veneto, del Piemonte, e della Romagna, credè di poter chiarire l'animo suo senza pericolo, e di poter far la guerra da se con frutto contro la Francia, senza aspettare il tempo, in cui gli altri suoi confederati, principalmente l'Austria e la Russia, avrebbero potuto venire in suo soccorso. Aveva anche udito le novelle, che per la lega fatta tra la Russia e la Turchìa, le flotte confederate, passati i Dardanelli, arrivavano alle fazioni dell'Jonio contro gli occupatori delle isole Veneziane poste in questo mare. Gli pareva altresì da non doversi lasciar raffreddare la fama della vittoria d'Aboukir, e la presenza del vincitore Nelson, che col suo consiglio, e con la sua forza si dimostrava pronto ad aiutar l'impresa, grandemente il confortava a cominciarla. Accrebbero questi desiderj le novelle, che gl'isolani di Malta si erano ribellati ai Francesi, e tolto loro l'uso della campagna, gli avevano sforzati a ritirarsi alle fortezze. Alla risoluzione medesima inclinava Napoli pensando, che se facesse da se, coglierebbe maggiori frutti della vittoria, perchè la cupidigia di aver Fermo con alcune altre terre della Marca, e la speranza di aversi a liberare dalle pretese della santa sede pel benefizio della sua ristaurazione in Roma, non gli erano ancora uscite di mente. Finalmente aveva testè udito, che i Francesi, che si erano accorti dei moti di Napoli, e dei nuovi pensieri dei principi contro di loro, erano venuti nell'antica deliberazione del direttorio di farsi signori della Toscana, e di porre anche le mani addosso al gran duca, se a tale estremo gli accidenti gli sforzassero. Nè si dubitava, che i repubblicani assaliti quasi all'improvviso, e innanzi che avessero tempo di provvedersi, avessero presto a cedere del tutto le terre Italiane.
Il re risolutosi del tutto alla guerra, domandava ai Francesi quello, a che sapeva che ei non potevano consentire, e questo fu, che sgombrassero da tutti gli stati pontifici, e l'isola di Malta, sulla quale pretendeva ragioni di sovranità, in poter suo rimettessero: chiamava l'una e l'altra occupazione novità fatte, violazioni manifeste delle condizioni stipulate, e dei confini accordati nel trattato di Campoformio. Il direttorio, contuttochè si vedesse in pericolo di guerra imminente colle principali potenze d'Europa, rispose risolutamente, non poter consentire alle domande, giudicando benissimo, che l'inchinarsi a tali condizioni era peggio che perdere tre battaglie campali. Per la qual cosa pubblicava Ferdinando da San Germano, perchè già si era condotto ai confini con tutte le sue genti, un manifesto, pel quale mostrandosi sdegnato per la occupazione dello stato Romano e di Malta, bandiva al mondo, aver preso le armi per allontanare dai suoi dominj ogni danno e pericolo, per restituire il patrimonio della chiesa al suo vero e legittimo signore, per ristorarvi la cattolica religione, per cessarvi l'anarchia, le stragi, le rapine: protestava al tempo stesso, non volere muover guerra contro alcun potentato, ma solo provvedere alla sicurezza, ed all'onore della religione; lui stesso, diceva, essere venuto co' suoi invitti soldati a così santa opera, proteggerebbe i buoni ed i virtuosi, accorrebbe con affetto paterno i traviati che si volessero ridurre al buon sentiero, ed a penitenza; dimenticassero, inculcava, ogni ingiuria, spegnessero ogni desiderio di vendetta, imitassero la reale comportazione, solo intenta a far fiorire nuovamente la religione, la quiete, e la giusta libertà di tutti. Esortava finalmente i capi d'ogni esercito estero a ritirarsi incontanente dal territorio Romano, ed a non ingerirsi più oltre negli accidenti di questo stato, la cui sorte per ragione di vicinanza, e per altri legittimi motivi principalmente interessava la sua regia potestà.
Dalle parole trapassava tosto ai fatti: partito l'esercito in tre parti marciava alla volta delle Romane terre. Era venuto per consigliare il re sulle faccende di guerra il generale Austriaco Mack, mandato a questo fine dall'imperatore Francesco. Fu suo disegno in questa mossa, sapendo che i Francesi erano dispersi in alloggiamenti lontani fra di loro, e sperando che i popoli tumultuerebbero in favor dei Napolitani, di occupare un gran tratto di paese. Confidava, che gli avversarj sarebbero stati circondati, e presi senza molto sangue. Perlocchè aveva Mack in tale modo ordinato l'assalto, che la più grossa schiera condotta da lui medesimo, avendo con se il principe ereditario di Napoli, per la strada degli Abruzzi, se ne gisse contro Fermo, e se la fortuna si mostrasse favorevole, a porre il campo sotto Ancona, terra munita di una cittadella forte, ma con presidio debole, perchè una parte era stata mandata a rinforzare Corfù minacciato dalle armi Ottomane e Russe. Era suo intento, che questa schiera tagliasse il ritorno ai Francesi verso la repubblica Cisalpina. L'altra colonna guidata dal re, che aveva con se per moderatore Colli, aveva carico di far impeto direttamente contro Roma serbata espressamente al trionfo di Ferdinando. Ma pensiero di colui, che aveva ordito tutta questa macchina militare, era altresì di tagliare la strada ai Francesi per la Toscana. Fu quest'opera commessa ad una terza schiera sotto i comandamenti del generale Naselli: la parte più grossa di lei posta su navi Inglesi e Portoghesi governate da Nelson s'incamminava ad occupar Livorno. Ma perchè ella non fosse troppo distante dalle genti che accennavano a Roma, si era dato opera, che la minor parte, che obbediva al conte Ruggiero di Damas, fuoruscito Francese, radendo i lidi verso Civitavecchia, se n'andasse ad occupare quei luoghi della Toscana, che portano il nome di Presidj. Per tal modo ordinato il disegno si mandava ad esecuzione. Il generale Championnet, nelle mani del quale stava allora il supremo governo dei repubblicani in quelle parti, aveva con se poca gente, nè certamente bastevole a far fronte a tanta moltitudine, se i soldati Napolitani fossero stati pari a' suoi per perizia e per valore; conciossiachè non avesse con lui, che cinque reggimenti di fanti, uno di cavalleggieri, uno di dragoni, due compagnie di artiglieri, numero forse che non sommava a dieci mila soldati. Erano per verità con lui alcuni reggimenti Italiani, ma ei faceva sopra di loro poco fondamento.
Il dì ventitrè novembre i Napolitani si muovevano al destino loro: già la schiera guidata da Ferdinando, scacciate le poche genti repubblicane, che le si pararono avanti, s'avvicinava a Terni. Mandava Championnet domandando a Mack, qual ragione muovesse i Napolitani alla guerra contro Francia. Rispondeva con troppo maggior alterigia che se gli convenisse, che l'esercito di sua maestà Siciliana occupava il territorio Romano sovvertito, ed usurpato dalla Francia contro la fede dei capitoli di Campoformio; che il nuovo stato di Roma non era consentito nè dal re, nè dall'imperatore, suo alleato; però andrebbe avanti, non commetterebbe ostilità, se non se gli resistesse; se sì, commetterebbele contro chiunque, e qual fosse il nome che si avesse. Replicava modestamente Championnet, la repubblica Romana essere sotto la tutela della Francese, e difenderebbela. Intanto non vedendosi, pel piccol numero de' suoi soldati sparsi in luoghi lontani, pari al resistere a tanta piena, nè a custodire tanta larghezza di paese, raccoglieva i suoi e gli mandava, lasciando un sufficiente presidio in Castel Sant'Angelo, a far capo grosso a Civita-Castellana. Ma udendo, che i Napolitani erano stati ricevuti in Livorno, sebbene con protesta della neutralità violata per parte dei magistrati del gran duca, che Viterbo e Civitavecchia si levavano a rumore, che Ruggiero di Damas arrivava sui confini fra lo stato ecclesiastico e la Toscana, soprattutto sentendo che Mack, sebbene valorosamente, e non senza grossa strage dei regj combattuto dal generale Lemoyne, si era impadronito di Fermo, e già accennava ad Ancona, fece pensiero di ritirarsi più in su per le rive del Tevere, e piantò i suoi alloggiamenti in Perugia, perchè temeva, che il generale Napolitano gli tagliasse le strade dell'Apennino, per cui poteva avere il suo ricovero sulle terre della Cisalpina. A Perugia poi raccoglieva tutte le sue sparse genti, e vi trasferiva anche il governo Romano, che aveva abbandonato, per la forza di quell'accidente improvviso, la sua sede, lasciando Roma sicura preda dei regj. Trovarono qualche aderenza di popoli nello stato pontificio, come era succeduto a Viterbo, ed a Civitavecchia. Ma generalmente poco si muovevano, o tepidezza verso l'antico governo del papa, o odio innato contro i Napolitani, o non cessata paura delle armi repubblicane, che sel facessero. Che anzi in alcuni luoghi, come a Terni, i paesani combatterono virilmente in favor dei Francesi, e diedero loro campo di ridursi a salvamento. Entrava Ferdinando trionfando in Roma il dì ventinove di novembre. Il seguitavano i suoi soldati in bellissima mostra; il circondavano i primi capi in magnifico arnese. Il popolo, che sempre si precipita cupidamente sotto i nuovi signori, tratto piuttosto dalla novità, che dall'amore, gli fece feste, e rallegramenti di ogni sorte: le Romane e le Napolitane grida miste insieme erano un singolare spettacolo. Si rallegravano dell'essere liberati da quel vivere tirannico e soldatesco, e si auguravano, certo molto leggermente, tempi migliori; perciocchè non andò gran pezza, che si accorsero come si può cambiar di signore, e non di servitù. S'incominciava intanto a trascorrere in vituperj ed in fatti peggiori dei vituperj, contro coloro che avevano seguitato il governo nuovo, chiamandogli il popolo, o mosso da se, od incitato da altri, Atei e Giacobini. I vituperj poi, ed i mali trattamenti trascorrevano, come suol avvenire in simili casi, dai nocenti agl'innocenti, e si manomettevano i Giacobini per odio pubblico, i non Giacobini per odj privati. Non parlo dell'atterramento degli alberi della libertà, e della ruina a furia di popolo del monumento eretto in Campidoglio all'ucciso Duphot; perciocchè avesse pur voluto Dio, che a queste opere piuttosto oziose che dannose si fossero rimasti, ma s'incominciava a far sangue, e a demolir case. S'interpose Ferdinando, e fe' cessare i tumulti, creando una milizia urbana, e confidandola ad un cavaliere Gennaro Valentino. Instituì oltre a ciò un governo temporaneo d'uomini probi ed autorevoli, che furono i principi Borghese, Aldobrandini e Gabrielli, il marchese Massimi, ed un Ricci. Ma siccome i popoli, massimamente il Romano, non stan fermi che alle provvisioni, così Ferdinando calava il prezzo del pane; il che fece una grande allegrezza.
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