Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV

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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo così solenne e squisito parlare teneva l'ambasciadore Garat ad un re, che secondochè egli narrava, d'altro non si dilettava che di pesca, di caccia, e di lazzaroni. Ferdinando, che non s'intendeva di queste squisitezze accademiche, stava come attonito, e non sapeva come uscirgli di sotto.

Fatto il complimento al re, se n'andava il giorno seguente, che fu il nove di maggio, l'ambasciatore a complir con la regina, favellandole dei desiderj di pace del direttorio, dei pensieri buoni, e delle virtù di Giuseppe, e di Leopoldo, suoi fratelli, come se le riforme fatte nello stato politico da questi due principi eccellenti, ed anzi gli ammaestramenti pieni di umanità, e di dolcezza dati alle genti dai filosofi Francesi, che l'ambasciatore chiamò maestri di Giuseppe e di Leopoldo, avessero che fare con le sfrenatezze dei repubblicani di Francia a quel tempo.

Queste cose sapeva, e queste sentiva Garat, perchè nissuno più di lui ebbe i desiderj volti a pro degli uomini; ma non s'accorgeva, perchè forse l'ambizione il trasportava, che quando regna la tirannide, migliore e più onorevole partito è per un filosofo di ficcarsi in un deserto, che comparire, qual messo di tiranni. Intanto si passava dai complimenti ai negoziati, ingannandosi le due parti a vicenda; perchè, contuttochè le dimostrazioni fossero pacifiche da ambi i lati, nissuna voleva la pace, ed ambedue aspettavano il tempo propizio per correre all'armi: nè il direttorio voleva lasciare quelle Napolitane prede, nè il re di Napoli poteva tollerare, che la democrazìa sfrenata romoreggiasse a' suoi confini. Sapeva il direttorio, che il re si era molto sdegnato, dappoichè Berthier, e l'incaricato d'affari a Napoli l'avevano richiesto con insolente imperio, che cacciasse da' suoi regni tutti i fuorusciti Corsi, licenziasse il ministro Acton, desse il passo ai soldati della repubblica per Benevento e Pontecorvo, che volevano occupare a benefizio, come dicevano, di Roma; si confessasse il re feudatario della repubblica Romana, ed a lei pagasse, come al papa, il solito tributo annuale, e soddisfacesse finalmente senz'altra mora, dei soldi corsi di detto tributo. Negava il re le superbe proposte, solo consentiva a non più ricettare i fuorusciti. Il direttorio, volendo mitigare l'amarezza, e lo sdegno concetto da Ferdinando per le insolenze de' suoi agenti, aveva dato carico a Garat di racconciar la cosa. Perlochè si venne ad un accordo, pel quale si stipulò, che i Francesi ritirerebbero parte delle loro genti dai confini Napolitani, che la repubblica Romana desisterebbe dalle sue richieste, che Benevento e Pontecorvo, per amor della pace, si depositerebbero in mano del re: ma il re, non si fidando delle dimostrazioni d'amicizia più sforzate che spontanee, di coloro che contro la fede data o conquistavano per forza, o sovvertivano per inganno, aveva con ogni più efficace modo armato il suo reame. Ordinava, che di cinque regnicoli uno andasse soldato; che ogni cinque frati o monache dessero, vestissero, ed armassero un soldato; che ogni chierico provvisto d'un beneficio di mila ducati d'entrata parimente fornisse un soldato; richiedeva finalmente i baroni del regno, perchè levassero al modo stesso, ed assoldassero un grosso corpo di cavallerìa. Queste provvisioni recate ad effetto non senza qualche calore dal canto dei popoli, accrebbero il numero dell'esercito sino in ottanta mila soldati. E siccome il dispendio per mantenere un'oste sì numerosa era gravissimo, così il governo aveva posto mano nelle rendite ecclesiastiche, accresciuto certi dazi, e perfino raccolto le argenterìe delle chiese non del tutto necessarie alla celebrazione dei riti religiosi. Già le truppe si avviavano ai confini, e un gran corredo di artiglierìe si era mandato a guernire le fortezze, principalmente quelle dell'Abruzzo. Quantunque poi l'ambasciatore Garat non cessasse d'inculcare al direttorio, che i soldati Napolitani, per bene armati e bene vestiti che fossero, sembravano piuttosto gabellieri o frodatori, che buoni soldati, non se ne stava il direttorio senza apprensione, trovandosi privo in Italia de' suoi migliori soldati, e del suo miglior capitano, e non sapendo a qual partito sarebbe per appigliarsi l'Austria, che di nuovo diventava minacciosa e renitente. Garat, o che solo volesse scoprire le vere intenzioni del re, o che credesse intimorirlo, siccome quegli che aveva la mente molto accesa sulla potenza della sua repubblica, gl'intimava, non senza le solite parole superbe, che disarmasse, e riducesse l'esercito allo stato di pace. Confidava, che Ferdinando sarebbe calato a condiscendere, perchè reggeva allora, fra gli altri ministri, lo stato il marchese del Gallo, che aveva indole propensa pei Francesi, e siccome uno dei negoziatori del trattato di Campoformio, si conghietturava, che avesse pensieri favorevoli alla pace. Dispiacquero e la domanda, e la forma di lei: se ne dolse il Napolitano governo al direttorio addomandandolo del richiamo di Garat. Aggiunse, o vero si fosse o supposto, che egli si era mescolato coi novatori, dando loro promesse, o stimoli troppo poco convenienti alla qualità di ambasciadore. Attribuiva verisimile colore alle allegazioni la domanda fatta dall'ambasciadore, perchè si liberassero i carcerati per delitti di stato.

Il direttorio, che non era ancora ben sicuro delle cose d'Egitto e d'Europa, richiamava Garat, mandando in iscambio Lacombe San Michel, repubblicano assai vivo, ma più cupo, e non tanto favellatore, quanto il suo antecessore. Era il suo mandato, che temporeggiasse ed accarezzasse; poi quando fosse venuto il tempo, fortemente insistesse, perchè Napoli cessasse da ogni preparamento ostile, e si rimettesse nuovamente nella condizione di pace. Dal canto suo il re, che non vedeva fra tante cupidigie e tante fraudi altra salute per lui, che le armi, non solo non cessava da loro, ma ogni giorno vieppiù le aumentava. A questo, dopo avute le novelle d'Egitto, tanto più volentieri, e più pertinacemente si risolveva, quanto più gli era ignoto, che la Francia era contro di lui molto sdegnata per aver fatto solenni dimostrazioni di allegrezza alla fama della vittoria acquistata dagl'Inglesi ad Aboukir. Parve, che Napoli tutta, e tutto il regno in quel trionfo Inglese trionfassero, tanti furono i rallegramenti e le feste. La nappa stessa Inglese in tanto ardore fu inalberata da quei popoli comunemente, e tutti esclamavano, essere giunto il tempo della vendetta Napolitana, e della rovina Francese. Ferdinando stesso era andato ad incontrar sul mare Nelson vittorioso, quando se ne venne a Napoli per racconciar le navi rotte nella battaglia, ed il condusse al suo palazzo a guisa di trionfatore fra l'accolta moltitudine, che non cessava di gridare, viva Nelson, viva l'Inghilterra! Poi gli fece copia, a racconcio delle navi, delle sue armerìe ed arsenali. Come queste cose sentisse la Francia repubblicana, ciascuno sel può pensare. Pure se ne stava aspettando, serbando l'ira e la vendetta a tempi più favorevoli; ed anche l'infortunio di Aboukir l'aveva se non intimorita, fatta più cauta. Così era in Napoli volontà di guerra, ed era anche in Parigi, ma più coperta.

In questo mezzo tempo le macchinazioni Inglesi avevano sortito l'effetto loro, perchè l'invasione dell'Egitto, siccome gl'Inglesi avevano avvisato, la vittoria di Nelson, e medesimamente le esortazioni delle corti Europee presso al Divano avevano per modo operato, che la Porta Ottomana si era scoperta nemica alla Francia, e le aveva intimato la guerra. Accidente tanto grave cambiò ad un tratto le condizioni di tutta Europa, e spianò la strada ad una nuova confederazione contro la Francia. Erano l'esercito Italico, ed il suo capitano, l'uno e l'altro tanto formidabili, in paese lontano senza speranza di poter tornare a soccorrere la patria loro nei campi di Europa. La guerra di Turchìa con Francia toglieva il timore, che la prima potesse adoperarsi in favore della seconda ed apriva l'adito sicuro alla Russia di correre in aiuto dell'Austria. Stipulavasi anche per le medesime cagioni, e per maggiore sicurezza della Russia, un trattato di pace, e d'alleanza tra lei e la Turchìa. Già le schiere Moscovite s'incamminavano alla volta di Germania: Paolo imperatore si versava con tutto l'empito suo contro Francia. Si sapeva oltre a ciò, che gl'Italiani erano sdegnati per le esorbitanze dei repubblicani; che gli Svizzeri erano molto più, e si sperava, che lo sdegno di questi popoli fosse per riuscire di non poco aiuto alla guerra. Quella vasta mole repubblicana, che il terrore aveva fondato, cessato il terrore, s'accostava alla sua ruina.

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