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Carlo Botta: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV

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Carlo Botta Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV: краткое содержание, описание и аннотация

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Erano nell'armata di Francia una nave grossissima, stanza dell'almirante, nominata l'Oriente, tre di ottantaquattro, il Franclino, il Tonante, il Guglielmo Tell, nove di settantaquattro, il Guerriero, il Conquistatore, lo Spartano, l'Aquilone, il Popolo sovrano, il Felice, il Timoleone, il Mercurio, il Generoso, con la Diana, fregata di quarantotto, la Giustizia, fregata di quarantaquattro, l'Artemisia, e la Seria, ambedue di trentasei: insomma mila e novanta cannoni per armi, circa diecimila e novecento marinari per governo; imperciocchè i Francesi sono sempre soliti ad empiere le loro navi di maggior numero di gente. Aveva il supremo governo di tutto questo fiorito navilio l'ammiraglio Brueys, capitano delle faccende navali espertissimo, e d'animo non minore della sua perizia. Si era egli, dopo di avere svernato con parte delle suddette navi nel porto di Corfù, condotto a Tolone per alla fazione d'Egitto, avendo Buonaparte in lui preso somma confidenza. Ma la condizione delle due armate era l'una dall'altra molto diversa. Veleggiava per l'alto mare la Inglese, mentre la Francese sorta sull'ancore sprolungava il lido da maestro a scirocco. Accresceva la sua sicurezza l'isoletta di Aboukir, ma però un po' troppo lontana, per potere con molta efficacia difendere il passo; era posta a capo della fila, e munita di artiglierìe. Alcune più piccole navi provvedute di bombarde, e che fra le altre erano fatte stanziare, davano maggior nervo all'armata. Questo modo di combattere aveva eletto l'ammiraglio della repubblica per non privarsi del tutto degli ajuti di terra, e perchè prevaleva per la grossezza delle navi, e pel numero dei combattenti. Le quali condizioni essendo per lui migliori, non voleva esporsi al pericolo, che in una battaglia a vele, ed in tutto navale, nel qual modo di combattere tra armata ed armata sogliono gl'Inglesi, per la precisione e prestezza delle mosse, avere il vantaggio, si pareggiassero. Poi, usando i Francesi di trarre con le artiglierìe loro nel corpo delle navi nemiche, era manifesto che i tiri meglio sarebbero aggiustati, e maggior colpo farebbero, scagliati da navi sull'ancore, che da navi sulle vele. Così egli si prometteva una probabile vittoria, poichè i suoi soldati essendo animosissimi, non aveva, in tale modo combattendo, cagione di temere che il coraggio loro venisse sopraffatto dalla maggior perizia degl'Inglesi. Spirava il vento da maestro, volgendosi un poco verso tramontana-maestro. Non così tosto l'ammiraglio Inglese scoverse l'armata Francese, che diè il segnale della battaglia, ordinando alle navi, che s'accostassero tutte al nemico, chi più presto, il meglio. Dalla parte sua Brueys fe' salire incontanente i marinari delle navi minori sulle maggiori, e sprofondava un'ancora di più, acciocchè le sue navi fossero più ferme, e i suoi si persuadessero, che quello era il luogo, in cui per loro abbisognava o vincere o morire. Egli poscia si pose co' suoi migliori ufficiali a velettare sulla gabbia dell'Oriente, sito pericolosissimo, perchè gl'Inglesi usano di tirare in alto nelle vele, e nel sartiame. Si scagliavano gl'Inglesi con impeto grandissimo contro l'antiguardo, e contro il mezzo dell'armata nemica, i quali con tutte le artiglierìe di poggia fulminando, ferocemente gli ributtarono, non senza aver loro recato danni gravissimi. In questo primo incontro le artiglierìe dell'isoletta ajutarono non poco l'opera delle navi. Tornarono gl'Inglesi all'urto un'altra volta, e sarebbe stata la battaglia più lunga e più pericolosa per loro, poichè Nelson si ostinava in voler dar dentro al petto dell'armata nemica, che se gli scopriva per poggia, se al capitano Foley del Golìa non fosse avvenuto l'audacissimo pensiero di ficcarsi, girando attorno alla punta dell'antiguardo Francese, tra il lido e l'armata nemica, donde ne avveniva, che i Francesi, perdendo il vantaggio di poter essere assaliti solamente da una parte, cioè da poggia, potevano, fra due tempeste di fuoco e di palle trovandosi, essere fulminati da ambe le parti, cioè da poggia, e da orza. Pensollo, e fecelo anche con ardire, e perizia inestimabile Foley. Consideratasi dagli altri l'importanza di questa mossa, che tanto vantaggiava le sorti degl'Inglesi, il Golìa fu prestamente seguitato dal Zelante, dall'Orione, dal Teseo, dall'Audace, e finalmente dalla Vanguardia, vascello almirante. Nè così tosto erano per tal modo trapassati a orza dei repubblicani, che, gettate le ancore, incominciavano a trarre con una furia incredibile.

Al tempo stesso le altre navi Inglesi, poichè non potevano esser molestate dalle navi del mezzo e del retroguardo nemico, che sull'ancore più dietro erano sorte, si arringavano a poggia delle Francesi, e con furiosi tiri le tempestavano. Così tutto l'antiguardo Francese, e parte della mezza fila, che erano il Guerriero, il Conquistatore, lo Spartano, e l'Aquilone, combattuti da ambi i lati travagliavano grandemente, quantunque sulle prime con molto valore si difendessero. Ma sopraffatti da quella prepotente forza, rotti, fracassati, disalberati, ed incapaci di muoversi a volontà, non che mareggiare con disegno, si arrenderono. Il vento in questo, che continuava a soffiare da maestro, sospingeva il fumo di tante artiglierìe sulla mezza schiera, e sul retroguardo Francese, e tutto, qual foltissima nebbia, l'ingombrava, nebbia, che solo era rotta dai foschi lumi delle tiranti artiglierìe. Era lo spettacolo orrendo; i Francesi, che si trovavano in terraferma, ansj del fine, che tanto grave era per la patria loro, ascesi sui luoghi più alti, prospettavano l'augurosa battaglia. Così la specola, e le torri d'Alessandria, così i terrazzi, e le logge di Rosetta, e la torre di Abul-Maradur, distante un tiro di cannone da questa città, erano piene di repubblicani, paventosi a quello che vedevano, ed a quello che udivano. Al tempo stesso gli Arabi si erano sparsi sul lido, condotti parte dalla contentezza di vedere i repubblicani, cui molto odiavano, in sì grave pericolo, parte dalla speranza di avergli a svaligiare, quando cercassero di ricoverarsi a terra. Pareva, che non si potesse aggiungere terrore ad uno spettacolo già tanto spaventevole pel rimbombo di tante e sì grosse artiglierìe. Eppure una nuova scena si scoverse piena ancora di maggiore spavento. S'era fatto notte; il Bellerofonte s'attaccava con l'Oriente. Ma questa enorme mole con un fracasso orribile lo teneva lontano, e tanto lo conquassava, che poco più sarebbe andato a fondo. Sopraggiungeva in questo mentre l'Alessandro, che trovatosi più vicino ad Alessandria aveva tardato ad arrivare, e si metteva tosto a bersagliare ancor esso l'Oriente. Il Leandro, che era stato compagno all'Alessandro, giuntosi col medesimo, assaltava il Popolo sovrano, ed il Franclino. Poi altre navi Inglesi si avvicinavano ai vascelli Francesi, che tuttavia combattevano, poichè, vinta la vanguardia, era fatto loro facoltà di girsene ad assaltare le navi della fila mezzana. Così l'Oriente, ed i suoi due vicini il Franclino ed il Tonante, si trovarono ad un tempo stesso bersagliati da tutte parti. L'ammiraglio Brueys, che in tanto estremo accidente aveva compito tutte le parti di esperto ed animoso capitano di mare, ferito prima nel capo e nella mano, fu finalmente da una palla diviso in due a mezzo il corpo. Casabianca, capitano dell'Oriente, ferito gravemente ancor egli, era stato costretto a lasciare l'ufficio. In mezzo a quel tumulto ecco gridarsi sull'Oriente, ch'egli ardeva. Nè v'era modo a spegnere; le trombe rotte, le secchie fracassate, gli uomini fuor di mente toglievano ogni speranza. La scheggia, e le palle Inglesi continuavano a tempestare. Ardeva l'Oriente, tanto bella e tanto potente nave, ed ardendo spargeva fra quelle tenebre tutto all'intorno un funesto chiarore. Davano opera gl'Inglesi ad allontanarsi, perchè nella finale ruina di quella mole smisurata temevano l'ultimo sterminio. Infatti verso le dieci della sera con un rimbombo, che parve più che di grossissimo tuono, e con un incendio, come quando il cielo di nottetempo pare tutto acceso da non interrotte folgori, scoppiò. Successe a tanto caso, per lo spavento e per lo stupore, per ben dieci minuti un subito ed alto silenzio. Le navi così vicine come lontane, ravviluppate da fumo, da tizzoni, da rottami d'ogni sorte, non si vedevano, nè senza fatica poterono preservarsi dalle circondanti fiamme. Poi le artiglierìe rincominciarono lo strazio, massime dal canto degl'Inglesi, che non volevano, che l'opera della distruzione della flotta Francese restasse imperfetta. Continuossi per tal modo a trarre sino alle tre del seguente giorno, momento, in cui fu forza far tregua, perchè la stanchezza prevalse al furore.

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