Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV

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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV: краткое содержание, описание и аннотация

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Intanto Roma si spogliava; nè meglio la città veneranda trattarono i Napolitani che i Francesi, quantunque gli uni e gli altri si chiamassero col nome di liberatori. Portarono le logge del Vaticano dipinte da Raffaello, risparmiate, ed anche rispettate dai Francesi, lungo tempo le vestigia della barbarie delle soldatesche Napolitane. Nè i quadri si risparmiarono, nè le statue, nè i manoscritti sfuggiti alla rapacità degli agenti del direttorio. Da tante enormità nacque, che il popolo cominciò a desiderar Francia contro Napoli, e che molti fra i partigiani del papa diventavano partigiani Francesi. Tali furono le opere Napolitane in Roma; ma poco durarono, perchè era fatale, che in quella nobile, e sventurata Roma, un dominio insolente in brevissimo giro di tempo sottentrasse ad un dominio insolente; i quali accidenti saranno per noi raccontati nel progresso di queste storie.

Era costume del direttorio di Francia, per sovvertire i paesi, di accarezzare e fomentare i desiderosi di novità, o che tali fossero per fin di bene, o per fin di male; ma conseguita la mutazione, i suoi agenti più accarezzavano i cattivi che i buoni, perchè trovavano i primi più arrendevoli, e meglio inclinati a servire ai desiderj loro. Tanto più poi vezzeggiavano i cattivi, e trasandavano i buoni, quanto più erano lontani i pericoli. Ma quando sovrastava un tempo forte, tosto si davano a far le chiamate ai buoni, perchè questi per la virtù loro avevano volti in lor favore gli animi dei popoli, il che era fondamento di potenza. Da un'altra parte gli amatori veri di libertà tanto più vivi si dimostravano, quanto più il paese loro aveva sembianza d'indipendente, perchè il resistere alla tirannide pareva loro vano, ed il non servire alla indipendenza, vile. Questi adunque sorgevano, quando era data al loro paese, se non in fatti, almeno in parole, la indipendenza, sperando di trovar modo di acquistarla vera e reale. Quindi i dominatori, mettendosi in sospetto, usavano di ritrarre lo stato dalle mani loro, ponendolo in balìa di coloro, che, o più vili o più prudenti essendo, si accomodavano facilmente alle voglie dei forestieri. Quindi nasceva, che assai più dei partigiani della potestà regia, assai più dei fautori dell'aristocrazìa, e della oligarchìa stessa, che per altro abborrivano, o fingevano di abborrire, gli agenti del direttorio, odiavano gli amatori dell'indipendenza. Queste cose si vedevano manifestamente in Cisalpina, dove essi allontanandosi dagl'indipendenti, si accostavano ai novatori avidi di denaro e di dominio, ed anche agli aristocrati, perchè sapevano che a questi, purchè e' siano guarentiti, ed abbiano sicurezza contro gl'impeti e le insolenze popolari, poco importa chi abbia il reggimento supremo in mano. Per bene intendere queste cose, e' bisognerà incominciarle dal loro primo principio. Aveva il direttorio di Francia fino a questo tempo dominato in Liguria, ed in Cisalpina per la conquista; volle quindi dominare per l'alleanza, condizione peggiore della prima, se gli sfrenati modi non si cambiano, perchè quella comporta per se ogni cosa, questa dovrebbe avere moderazione e regola. Stipulossi a Parigi il dì ventinove di marzo, per forza dall'ambasciatore ordinario di Cisalpina Visconti, volentieri dall'ambasciatore straordinario Serbelloni, un trattato d'alleanza fra le due repubbliche, Francese e Cisalpina, i cui principali capitoli furono i seguenti: che la repubblica Francese riconosceva come potenza libera e indipendente la Cisalpina, e le guarentiva la sua libertà, la indipendenza, e l'abolizione di ogni governo anteriore a quello, che attualmente la reggeva; che vi fosse pace ed amicizia perpetua fra ambedue; che vi fosse alleanza, e che la Cisalpina stesse, così per le difese come per le offese, a favore della Francia; che la Cisalpina avendo domandato alla Francese un corpo, che fosse bastante a conservare la sua libertà, indipendenza, e quiete, e così pure a preservarla da ogni insulto da parte de' suoi vicini, si era convenuto fra le due repubbliche, che la Francese manterrebbe nella Cisalpina, per tanto tempo per quanto non fosse altrimenti convenuto, ventiduemila fanti, duemila cinquecento cavalli, cinquecento artiglieri sì da piè che da cavallo, e che per questo la Cisalpina pagasse alla Francese ogni anno diciotto milioni di franchi, ogni mese un milione cinquecentomila franchi; che obbedissero queste genti, e così ancora quelle della Cisalpina ai generali Francesi. L'ambasciatore Visconti, siccome quelli a cui pareva, che questo trattato significasse tutt'altra cosa piuttosto che alleanza ed indipendenza, non gli voleva consentire. Ma ebbe ad udire dal ministro di Francia il suono di queste parole, che la repubblica Francese avendo creato la Cisalpina, poteva anche distruggerla, se volesse. Il che era verissimo, ma certamente nè generoso, nè consentaneo alle belle parole, nè conducente a indipendenza. Perciò Visconti non istette ad aspettar altro, e sottoscrisse il trattato.

Arrivato quest'accordo in Cisalpina, vi sorse uno sdegno grandissimo: i consigli legislativi nol volevano ratificare. Scriveva pubblicamente Berthier, che da Roma se n'era venuto a Genova per andarsene alla spedizione d'Egitto, che quel trattato era la salute della Cisalpina, se ella il ratificasse. Altri sottomano insinuavano, che se ratificasse, sarebbe ingrandita, se ricusasse, spenta.

Queste promesse e queste minacce operarono di modo che i consigli ratificarono, non senza però molti discorsi contrari, e molta discordia. Gli amatori dell'indipendenza se ne sgomentarono, molti mali umori nascevano nella repubblica. S'aggiunse che i due quinqueviri Moscati e Paradisi, e nove dei consigli legislativi, che più vivamente degli altri si erano versati al trattato, avevano ricevuto sforzata licenza dal direttorio di Francia. Di più si fe' dire e stampare, che fossero fautori dell'Austria, e nemici della Francia; delle quali allegazioni si può dire, che è dubbio, se siano o più ridicole, o più false. Ma la persecuzione non si rimase alle parole; perchè alcuni degli oppositori furono anche carcerati. Si conturbavano le menti a questi eccessi; si temevano cose peggiori.

In mezzo a questi mali umori arrivava in Cisalpina mandato dal direttorio in qualità di ambasciatore di Francia, Trouvé, giovane di spirito, e che faceva professione di amare la libertà. Si sollevarono gli animi al suo arrivo, comparendo per la prima volta un ministro di Francia presso quello stato nuovo, ed ognuno si stava ansiosamente aspettando, che cosa portasse. Gl'indipendenti ne auguravano bene pel fatto stesso; gli aristocrati quieti si rallegravano ancor essi, perchè speravano, che un reggimento più regolato gli preserverebbe dalle improntitudini dei libertini. Fu l'ingresso di Trouvé al direttorio Cisalpino molto pomposo. Parlò nel suo discorso della Francia magnificamente, della Cisalpina amorevolmente. Piacque soprattutto agl'indipendenti il principio del suo favellare, che fu con queste parole: che veniva in nome della grande nazione a salutare l'indipendenza della repubblica Cisalpina. Poi continuando affermava, che era venuto per adempire presso a lei un carico onorevole, e caro all'anima sua, quello cioè di giungere all'ammirazione verso gli eroici fatti, l'amore che inspira la pratica delle virtù; che tal era il desiderio, tale il bisogno del governo Francese, che a questo generoso fine per comandamento di lui, ed in adempimento della sua tenerezza paterna indirizzerebbe egli tutti gli sforzi, tutti i pensieri suoi. Allontanassero pertanto da loro, come egli allontanava da se, le dimostrazioni vane di un'astuta politica, che adula per corrompere, che accarezza per uccidere: allontanassero le sottigliezze, allontanassero le ingannatrici promesse, le seduzioni, la duplicità; animi aperti e leali, confidenza vicendevole, giustizia sincera, probità incorrotta, unione inalterabile fra i magistrati le due repubbliche congiungessero; congiunzione, continuava vieppiù nella sua poesia infuocandosi il giovane ambasciatore, congiunzione gloriosa e toccante; congiunzione giurata sull'ara della patria per difendere i principj della ragione, e per dilatare il culto della libertà. Queste belle poesie, che coprivano brutti fatti, giravano a quei tempi. Rispondeva all'ambasciatore di Francia con pensieri adulatorj, e lingua Italiana sucidissima il presidente del direttorio Constabili: il linguaggio stesso disvelava la debolezza degli animi, la servitù dello stato.

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