Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV

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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV: краткое содержание, описание и аннотация

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Scriveva sulle prime, cioè il dì trenta maggio, Trouvé a Birago, ministro degli affari esteri della Cisalpina, invitandolo ad operar per modo che il governo Cisalpino facesse risoluzioni vigorose contro i fuorusciti Francesi, che si erano ricoverati sul territorio Cisalpino: gli mandava indizi sopra alcuni di loro: voleva, che a termine del capitolo decimoquinto del trattato d'alleanza fra le due repubbliche, essi fuorusciti fossero arrestati, onde il direttorio di Francia gli potesse bandire, e confinar ne' luoghi, che stimerebbe; accusava, quelli di aver combattuto contro la loro patria nelle legioni parricide, come le chiamava, di Condè, questi, di spandere fra i Cisalpini novellamente liberi le dottrine della schiavitù, di calunniare i repubblicani Francesi, e di far sorgere contro di loro il fanatismo, il pregiudizio, e tutti gli odj possibili: voleva finalmente, che il ministro della Cisalpina pubblicasse la sua lettera, affinchè tutti i fuorusciti sapessero, che la legazione Francese dichiarava loro una guerra, la quale non avrebbe termine, se non quando i medesimi cessassero di contaminare la terra della libertà. Rispose il Cisalpino ministro all'ambasciadore di Francia, che il direttorio Cisalpino purgherebbe la terra della libertà da quegli uomini immorali, come gli qualificava, contaminati, ed ipocriti. Brutto principio di legazione era certamente quello, che s'annunziava con un'opera inumana, e brutto principio ancora di governo libero era quello che la secondava.

Ma ben altri pensieri che questi nodriva l'ambasciadore nella sua mente e per se, e per comandamento di chi il mandava. Aveva il direttorio osservato, che la vivezza dei libertini era stata cagione, che i popoli Cisalpini, che sono generalmente di natura quieta e savia, si fossero messi in mal umore. I medesimi libertini, siccome quelli, dico i sinceri, che senza freno parlando accusavano continuamente di prepotenza e di ladroneccio gli agenti del direttorio di Francia, operavano, che l'odio contro i Francesi moltiplicasse ogni giorno. Tenevano nei due consigli, massimamente in quello dei giovani, il predominio, e le proposte che vi si facevano, ed i decreti che vi si pigliavano, indicavano molta ardenza negli animi. Già insospettiva la Francia, che sapeva, che la smoderatezza può dare contro ogni cosa, ed ella non voleva che si desse contro di lei. L'opposizione tanto gagliarda, che era sorta nei consigli contro il trattato d'alleanza, accresceva ancora maggior colore a questi pensieri e sospetti, dimodochè divenne certo pel direttorio, che se non domava quei partigiani tanto risentiti di libertà e d'independenza, la sua superiorità in Cisalpina sarebbe sempre stata incerta e vacillante. Infatti si vedeva, che il medesimo spirito d'opposizione, che nei consigli ed in una parte del direttorio si era manifestato, si radicava anche nei magistrati subalterni, ed ognuno gridava libertà ed independenza, con tali grida accennando non più ai Tedeschi, che ai Francesi. Parve, che fosse arrivato il tempo per Francia di aggravar la mano e di porre il freno, perchè per la pace fatta con l'imperatore d'Austria essendo passata la stagione di fomentar le rivoluzioni in Lombardia, pensava, che alla sicurezza sua in Italia, così in pace come in guerra, si appartenesse di farsene un appoggio, introducendovi un vivere più quieto, e che più piacesse ai più ricchi, e notabili cittadini. Per la qual cosa Trouvé, usando così i cattivi, come i buoni, sì veramente che favorissero i suoi disegni, fece in sua casa un'adunanza segreta, in cui si esaminarono i cambiamenti da farsi nella costituzione Cisalpina. Ajutavano questo moto principalmente Sopransi, antico ministro di polizia, per vendicarsi del direttorio che l'aveva licenziato, Adelasio quinqueviro, e Luosi, ministro della giustizia. A loro si accostavano Aldini di Bologna, Beccalozzi di Brescia, Villa di Milano, Martinelli, ed Alborghetti di Bergamo, uomini meno odiati dall'Austria, che amati dai Francesi. Era il progetto di ridurre la constituzione a forma più aristocratica con diminuire il numero dei membri dei consigli, e così ancora quello dei dipartimenti, e dei membri dei magistrati distrettuali. Si voleva altresì accrescer forza al direttorio, perchè si era non senza ragione osservato, ch'egli si trovava nella constituzione molto impari ai due consigli, e quasi schiavo loro. Con questo si voleva frenare la libertà della stampa, e serrare i ritrovi politici, per la quale e pei quali i pensieri buoni si facevano cattivi per la esagerazione, i cattivi peggiori per l'impeto.

Certamente questa riforma era da lodarsi, e sarebbe piaciuta ai buoni, se al tempo medesimo si fosse data la independenza alla Cisalpina; ma con la servitù ogni legge è cattiva, e le peggiori sono le buone, perchè portano con se la menzogna, e fan credere che vi sia ciò che non v'è. Ebbero i democrati ardenti avviso del disegno da un Montaldi rappresentante, che chiamato alle congreghe segrete, nè appruovandole, aveva svelato ogni cosa al consiglio dei giovani. Il romore fu grande; le parole nei ritrovi non ancora chiusi, gli scritti nelle gazzette non ancora frenate, furono in gran numero. Grande impressione massimamente fece nel pubblico una orazione che sotto il nome supposto di Marco Ferri, fu composta, data secretamente alle stampe, e sparsa copiosissimamente in ogni parte della Cisalpina da un giovane Piacentino, che aveva già stampato in Milano molte cose con non poca lode. Grave, e forte orazione era questa: «E donde in te, uomo da nulla (sclamava rivoltosi al giovane Trouvé il giovane Piacentino) donde in te, piccolo straniero, barbaro per l'Italia, la podestà di tante e sì gravi cose a dispetto nostro operare nella nostra repubblica? Dal tuo direttorio? Ma come mai il direttorio Francese munito ti avrebbe di così tirannica autorità, di una autorità, che in nessun tempo, in nessun caso mai non fu delegata ad ambasciadore presso popolo amico? Come potrebb'ei contraddire a se stesso, e detestare nella Cisalpina quello statuto, cui con tanto fervore, con tanta severità protegge, e difende nell'ampio recinto di sua giurisdizione? Come vorrebbe rapire in un istante a repubblica sorella l'independenza, che, pochi mesi sono, le ha guarentita con solenne trattato, e che tu, pochi dì fa, con sue patenti lettere, e in apparato quasi trionfale a salutar sei venuto? Chi oserà mai accagionare quei gravissimi quinqueviri dell'atroce e vile perfidia d'avere occultamente preparata la violazione di un trattato nell'atto medesimo, che di adempirlo fan pubblica testimonianza; di un trattato, che ottenuto avendo la sanzione dei legislatori di Francia, non può senza il loro consenso essere alterato, come non senza il previo concerto coi direttori Cisalpini? Chi potrà mai credere, che quel tuo governo, il quale non ha ricevuto che la delegazione di eseguire le leggi in terra Francese, e sopra cittadini Francesi, usurpar voglia in paese straniero, ed alleato l'autorità elettorale, legislativa, esecutiva, tutta insomma la sovranità nazionale? Li Cisalpini sono troppo giusti per recare a que' supremi governanti sì grave ingiuria. No, non è vero, che fidata abbianti la missione di rovesciar lo statuto, per cui esistono eglino medesimi: l'hanno difeso contro Europa tutta: come nol faran trionfare di pochi oscuri oligarchi?

«Sei tu, novello Lisandro (benchè solo in male, e peggio a te s'attagli siffatto nome) che vuoi poterti dar vanto di avere ricostituita una repubblica in estranio paese, tu, che nel tuo proprio non meritasti mai di sedere fra i settecento cinquanta, che le ordinarie leggi sanzionano. Che altro infatti dimostra il giro tortuoso de' tuoi clandestini maneggi? Per riverire, qual inviato di Francia, l'independenza Cisalpina, ti recasti con pubblica magnifica pompa al palagio nostro direttoriale, e il dì venti pratile andrà chiaro nei fasti della nostra repubblica; per colpire oggi di morte questa independenza, ti rintani nella più secreta parte del tuo alloggiamento; vi chiami un ambizioso, e ribelle congedato ministro, un deputato adolescente, e tal altri da te compro o ingannato; e con questi soli tenti, e disponi il tenebroso lavoro. Nè sa nulla il supremo governo, nulla li ministri, nulla il senato legislatore, nulla il popolo. Ma la patria vigilanza s'adombra e bisbiglia, va in traccia dell'ambasciadore, e il cospiratore ritrova.

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