Vittorio Bersezio - La plebe, parte III
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– Ah vendicarmi di loro! esclamò, di lui sopratutto!.. Certo che sì… Verrò dove Lei vuole… Mi dica pure il luogo e l'ora… Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.
– Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.
– Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi. Ne sia sicuro.
Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.
– Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.
Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme, sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:
– Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare menomamente.
Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:
– Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.
Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua faccia conturbata.
Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.
– Madame , diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.
Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.
– Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si è contenti di Lei.
La portinaia strabiliò.
– Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.
E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:
– Ella tien mano ai nemici del Governo.
– Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?
– Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.
La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le prepotenze della Polizia: ma non si smarrì d'animo e gridò più forte di prima:
– Non è vero, non è punto vero.
In quella una carrozza tirata da un sol cavallo ma di prezzo, si fermò innanzi alla porta di quella casa; un giovane di occhi e capelli neri, di abito e maniere eleganti, ne discese lestamente, e di fretta entrato sotto l'andito si diresse verso le scale.
La portinaia e il poliziotto avevano interrotto il loro colloquio per guardare questo nuovo arrivato. Barnaba, appena vistolo, aveva fatto un moto come di gioia, e poi s'era tirato vivamente indietro per non lasciarsi vedere. Il giovane era passato senza gettare pure uno sguardo nella loggia della portinaia.
Appena passato quel giovane, Barnaba riprese con ancora più minaccioso contegno ed accento:
– Ieri sera io l'ho interrogata se quel signore che è venuto adesso adesso capitasse talvolta in questa casa, ed Ella me lo ha recisamente negato.
– Quel signore! esclamò la portinaia; ma io non l'ho mai visto, è la prima volta che viene.
Barnaba fissò ben bene la vecchia e le disse, pesando sulle parole:
– Quel signore è il dottor Quercia.
– Me ne rallegro tanto: rispose franca la portinaia: ma io non ho mai avuto il bene di conoscerlo neanco di nome, ed è la prima volta che lo vedo.
Il poliziotto prese la sua aria più tremenda.
– Badate bene! diss'egli. In queste cose non si scherza!.. Abbiamo molte ragioni di dubitare di voi…
– Di me? esclamò sora Ghita mettendosi tuttedue le mani sul petto, coll'accento dell'innocenza meravigliata per una calunnia. Dio buono! Santa Madonna della Consolata! Di me che sono una povera donna che non faccio male a nessuno e che rispetto tutte le autorità… oh domandi, domandi un po' nel quartiere che cosa si dice della Ghita, e sentirà; che una più onesta donna, non fo per vantarmi, ma si trova raramente sotto le stelle.
– Intanto qui in questa casa abitano parecchi giovinetti che non hanno timor di Dio nè rispetto del Governo.
– Ed io che cosa ne posso?.. Non son mica io la padrona di casa da poterneli scacciare.
– E voi li proteggete…
– Io? Benedette le cinque piaghe! Non li proteggo niente affatto. Discorro con qualcheduno di loro quando talvolta, passando, mettono il naso nel camerino; ma io non ci ho nulla, proprio nulla da che fare con essi.
– Sono amici di quel cotale avvocato Benda che è un rivoluzionario di tre cotte; e presso costui è allogato a servire, e gli si dà molta confidenza, vostro marito.
– Ma Lei sa bene che io e mio marito ce la diciamo come l'olio e l'aceto… L'aceto gli è lui… Di tutto quel che faccia o dica quel disgraziato là, io non ne so nulla, non ne voglio saper nulla, non ci entro per nulla.
– Le parole valgon poco, cara sora Ghita, ci vorrebbero i fatti.
– I fatti? Che fatti? Mi dica Lei che cosa ho da fare.
– Al signor Commissario premerebbe assai di essere informato di tutte le volte che quel dottor Quercia, quel signore che avete veduto passare un momento fa, se ne viene in questo luogo.
– Ed io ne lo dovrei informare?
– E sarebbe tanto di meglio se poteste dire, anche soltanto approssimativamente, ciò ch'egli venga a fare costassù con quei giovani.
Sora Ghita capì benissimo che quel cotale stava proponendole onestamente di far la spia, e chinò il capo in una grande perplessità. La cosa non le andava molto a genio, ma d'altronde ella aveva tanta paura della Polizia!
– Come vuole che io faccia per saper di queste cose? balbettò ella. Non posso mica tener dietro a chi viene e sgusciare con loro nei quartieri dove entrano.
– Il pittore Vanardi ha una moglie che chiacchera molto volentieri. Una donna accorta come voi dovrebbe sapere farla parlare.
– Ma… riprese la povera sora Ghita più perplessa che mai.
Il poliziotto non le lasciò aggiungere altre parole.
– Avete questa sola maniera di provare immeritati i sospetti che avete fatto nascere sul vostro conto: diss'egli con accento di autorità imperiosa.
In quel momento un grosso corpo opaco che passava innanzi al finestrino gettò un'ombra nella loggia: i due interlocutori si volsero a guardare chi era e si videro davanti la faccia onesta e il corpo madornale di Bastiano, il portinaio della casa Benda.
Come essi videro lui, così Bastiano vide pure quelli che erano nel camerino, e riconobbe nell'uomo l'agente di Polizia che era stato a fare la perquisizione in casa de' suoi padroni. Gli occhi del buon Bastiano diventarono come quelli d'un mastino che vuol mordere: e' si fermò su due piedi e sembrò volere aprir l'uscio della loggia ed entrarvi, ma poi quasi ravvisatosi, continuò il suo cammino verso la scala.
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