Vittorio Bersezio - La plebe, parte III
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– E la non mi riconosce più? domandò Gian-Luigi con quella sua voce vibrante e melodiosa, che era un'altra delle sue più efficaci seduzioni. Oh che Ella mi avrebbe del tutto dimenticato?
E più abile che un abilissimo commediante, lo scellerato aveva tale un accento di tenerezza, di rincrescimento, di effusione che nemmeno il più diffidente degli uomini ne avrebbe sospettato la sincerità.
Il primo impulso nel vecchio sacerdote fu l'esplosione della sua tenerezza quasi paterna.
– Gian-Luigi! esclamò egli con voce tremante per l'emozione, allargando le sue braccia.
Il giovane mandò un grido di gioia.
– Ah! mi ha ancora riconosciuto!
E si abbracciò con passione al buon parroco, che piangeva – egli – lagrime vere.
Ma dopo un istante la commozione in Don Venanzio lasciò luogo ad altro sentimento che da tempo gli stava nell'animo verso Gian-Luigi. Si sciolse dalle braccia di lui, ed allontanandosene un poco lo guardò dal capo alle piante con subita freddezza, quasi con sospetto, con evidente rimprovero.
– Cospetto! diss'egli: come voi siete vestito da signore! Avete dunque trovato per davvero il modo di arrivare quelle ricchezze, dietro cui anelavate con tanta passione?
Gian-Luigi fece un gesto leggiero e sbadato colla mano, come per dire: – questo per ora è quello che meno importa; e poi rispose con un accento in cui si sarebbe potuto notare un po' d'impazienza, ma tuttavia con inappuntabile rispetto:
– Sì, dopo molte fatiche e dopo molti travagli sono riuscito a raccapezzar qualche cosa e far valere alquanto i fatti miei… Ma di me, se le aggrada, discorreremo fra poco… Ora permetta alla mia impazienza che io la interroghi subito di quella persona che insieme con lei Don Venanzio, mi sta più a cuore, mi sta solamente a cuore, devo anzi dire, in tutto il nostro villaggio… Che nuove ha da darmi della buona Margherita?
Don Venanzio e Maurilio scambiarono un rapido sguardo per comunicarsi la gradita sorpresa che loro faceva questa richiesta sulle labbra di Gian-Luigi. Quanto a costui, nell'accento delle sue parole e nell'espressione del suo viso, mostrava, per colei che domandava, il maggiore interessamento che uom possa sentire per una creatura vivente.
– Ah la povera Margherita? disse il parroco ripetendo questo nome con un'intonazione che era un rimprovero. Vi ricordate adunque ancora un poco di lei?
Gian-Luigi fece un atto di vivacissima protesta.
– Se me ne ricordo!.. Ah voi tutti avete giudicato male di me, pel mio silenzio, pel mio apparente oblio di quell'infelice?.. Anche Lei, Don Venanzio, coll'anima sua sì mite e sì generosa!..
Il sacerdote volle parlare, ma egli non glie ne diede il tempo.
– Oh! non la condanno, nè mi dichiaro offeso… Ella ebbe in parte ragione… Sì, ho fatto male; avrei dovuto io digiunare, io piuttosto morir di fame e mandare a costo di qualunque siasi sacrifizio alcun soccorso a quella santa donna… Ella mi guarda con istupore, mio buon Don Venanzio, Ella non può comprendere com'io, vestito di questi panni, con questo florido aspetto di prosperità, parli di digiuno e di fame… Ma Ella nella sua vita modesta e ritratta non sa, non può nemmanco sospettare i misteri, i dolorosi, talvolta vergognosi misteri della vita cittadina che si nascondono sotto le apparenze d'uno sfoggio d'accatto… Lo dissi ier sera a Maurilio, le cui parole chiaramente mi espressero quelle rampogne cui con tanta mitezza ora mi adombrarono il suo stupore in vedermi, la sua interrogazione, mio buon Don Venanzio; fu un tempo in cui mentre portavo nei salotti eleganti la mia faccia sorridente e le mostre d'una ricchezza che non avevo, più volte mi rodeva le viscere il tormento della fame; e i pochi guadagni ch'io poteva fare, le poche rivalse cui mi riusciva in qualsiasi modo raccogliere, sa Ella come impiegavo? Qualche soldo appena a comprarmi in segreto, la sera, nascondendomi come per commettere una vergognosa azione, un pezzo di pan nero; e il resto a procurarmi guanti color di butirro, stivalini di vernicato e a farmi inanellar la zazzera dal parrucchiere alla moda!.. La mi dirà ch'ero pazzo, che mi facevo martire volontario d'una stupida vanità cui è un adulare il chiamarla ambizione; ma per me, pel mio sogno d'avvenire, pei miei disegni era una necessità. Ridevo crudelmente di me meco stesso, mangiavo con amaro dispetto, quasi con disprezzo di me quel tozzo di pan nero; mi dicevo, imprecandomi, che meglio la esistenza del villano che suda sull'aratro, che dico? meglio quella del galeotto che trascina la sua palla infame; ma non pensavo pure a cambiar di cammino, non pensavo a pentirmi; era mia sorte, era mio dovere continuare, o soccombere come un animale che crepa alla fatica, o riuscire.
«Don Venanzio, bisogna aver compassione di questa mia pazzia – se vuole così chiamarla. Essa è parte essenziale della mia natura: io sono venuto al mondo con essa; e per isradicarla da me avrebbe bisognato ben altra forza, ben altra indole che la mia non sia. Non se ne ricorda? Fin da bambino siffatti istinti si svegliarono nel mio essere e stupirono e spaventarono la sua prudente antiveggenza. Di molto ha Ella fatto per combatterli e vincerli; e nulla potè a ciò riuscire. Io credo che nel mondo conviene prendere gli uomini come sono, colle facoltà, le disposizioni, e quasi direi le attribuzioni che ha loro dato la natura. Da questa varietà di caratteri si genera lo infinito viluppo delle vicende del dramma umano di cui noi non possiamo vedere, nè indovinare, nè anco in alcun modo immaginare lo scioglimento e la ragione. A Lei, Don Venanzio, per parlare il suo linguaggio, dirò come, poichè la Provvidenza manda nel mondo questi varii tipi di individualità differenti, conviene pure che ciascuno abbia una sua parte necessaria nel concerto universale, e che dunque soffocare queste speciali tendenze, ridurre questi particolari caratteri alla norma comune, imbrancandoli nel gregge delle pecore che camminano per una via soltanto, è forse mancare eziandio alla suprema volontà e togliere un elemento al concorso dei molti su cui la sapienza regolatrice ha fatto assegnamento.»
Tentennò il capo Don Venanzio, poco persuaso dalla buona fede di Gian-Luigi in questa teoria delle cause finali.
– La Provvidenza, diss'egli gravemente, ma senza il pedantesco accento del predicatore, ci accorda varii istinti ed attitudini diverse, perchè diversamente possiamo concorrere alla grande e sublime unità dello scopo comune: ma questo scopo è il bene: ed hanno ad essere domati ed altrove rivolti quegli stimoli e quelle tendenze che ci piegano al male. Per questi la risultanza ultima non può essere stimata affatto buona se gli effetti più prossimi ed immediati cominciano per essere cattivi.
Gian-Luigi proruppe con impeto:
– Ah! ci sono certi affetti e passioni che misurarli alla piccola norma comune è errore.
Si raffrenò tosto: riprese la sua calma primitiva e la serenità sorridente.
– Ma io non son venuto qui per discutere: continuò egli. Ho già ammesso fin da principio che ho potuto aver torto. Però quello cui tengo a stabilire si è che il mio torto non fu così grave come Lei, Don Venanzio, e tu stesso, Maurilio, hanno creduto. Mi sarebbe stato possibile con quel modicissimo peculio che mi fu dato dagli eredi del mio protettore avviarmi per una vita rassegnatamente oscura e per ogni verso modesta: ed allora avrei potuto subito soccorrere d'un po' di pane la mia vecchia nutrice. Io volli invece tentare di metter la mano su più splendida sorte, tutto avventurare per tutto acquistare. Quando fossi riuscito non era più un misero soccorso soltanto, ma era la ricchezza ch'io avrei recata alla vecchiaia di quella donna che mi tenne luogo di madre. Come già dissi, ho lottato, ho sofferto, fui sul punto di cadere nella disperazione più volte. La perseveranza, la tenacità e il coraggio mi giovarono pur finalmente. Non sono ancora arrivato dove e come voglio: ma sono sulla strada, inoltrato forse più che della metà. Fra poco tempo – forse dei giorni soltanto – sarò alla meta. E frattanto da quella ricchezza che tanto tempo ostentai, senza possedere, incomincio ad avere favori e larghezze… Sono venuto qui a trovar Maurilio, perch'egli – e' m'era dolce la cosa passasse per le sue mani – facesse avere a Lei, Don Venanzio, questo migliaio di lire per la povera e buona Margherita. Ma la fortuna mi volle essere benigna di tanto da farmi trovar qui Lei medesimo, nostro buon padre, e son lieto di poterla pregare di viva voce di voler accettare quest'incarico di sovvenire con questa somma la mia nutrice.
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