Vittorio Bersezio - La plebe, parte II
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Vittorio Bersezio
La plebe, parte II
CAPITOLO I
Ad un lembo estremo della città, verso il fiume, delle cui acque si serviva per forza motrice, siedeva la fiorente officina di lavori di ferro dei signori Giacomo Benda e comp.
Verso la strada, fiancheggiata dai viali di olmi che cingevano da ogni parte Torino, sorgeva la casa in cui abitavano la famiglia del principale ed alcuni dei primi capi-officina, de' quali due erano a parte, secondo una certa misura, nei guadagni dell'impresa.
Attraversato un cortile, nel cui mezzo eravi uno strato di erba ed alcuni alberi che nella bella stagione rallegravan la vista col verde delle loro fronde, trovavasi il vasto, oblungo, affumicato casamento in cui erano le varie officine che tutto il giorno mandavano per gli alti camini il denso fumo del coke e per le numerose e larghe finestrone l'incessante rumore del lavoro.
Alla destra di questo cortile stavano le rimesse ampie e ben costrutte, dove, insieme con i diversi carri necessari allo stabilimento pel trasporto delle merci, eranvi pure una modesta ma comoda carrozza per la famiglia, un elegante tilbury , che il ricco industriale aveva regalato al suo figliuolo avvocato, unico di maschi, ed una tromba idraulica, opportuna cautela pei casi d'incendio.
Di faccia si trovavano le scuderie, nelle quali, oltre i cavalli forti e robusti da attaccarsi ai carri di trasporto, facevano bella mostra di sè colle loro fine e svelte forme alcuni cavalli di prezzo che servivano al giovane avvocato da sella e pel tilbury .
Per ora non esamineremo la officina. Mentre noi ci intromettiamo in questi locali sono presto le quattro mattutine di una fredda notte d'inverno, in cui lenta ed abbondante fiocca sopra Torino la neve. Il casamento dei laboratorii dorme, per dir così, in una compiuta oscurità sotto la guardia di due mastini che, abbaiando ad ogni menomo rumore, girano per la neve, la quale copre il selciato del cortile. Avremo forse occasione di entrare colà dentro di poi per andarvi ad assistere ad alcune delle scene del nostro racconto.
Anche la casa di abitazione della famiglia Benda è avvolta nell'oscurità, eccetto che due fiochi raggi di luce filtrano da due finestre, trammezzo alle imposte rabbattute. Una di queste finestre è al pian terreno presso al portone, ed è quella della stanza del portinaio; l'altra è al piano superiore verso l'angolo della casa, a destra di chi vi accede.
Un giovane di belle forme avviluppato in un pastrano impellicciato viene pel viale verso la casa di cui ho detto. La sua andatura dinota in lui un forte turbamento morale. Ora cammina a passi speditissimi, come uomo cui preme giungere dov'è diretto; ora invece il suo piede si rallenta come di chi si reca in alcun luogo di troppo mala voglia; ed ora si arresta del tutto tenendo le scarpine lucide da ballo, di cui è calzato, nella fredda umidità della neve senza punto badarci. Tronche parole ed esclamazioni gli escono tratto tratto dalle labbra frementi, a dinotare come una qualche soverchia passione gli occupi l'animo; e gesti violenti, quasi di minaccia, accompagnano le sue voci interrotte.
A seconda che egli si veniva avvicinando alla casa, le esitazioni parevano crescere. Chi gli fosse stato presso avrebbe potuto udirlo ad un punto pronunziare le seguenti parole, fissando il suo sguardo sulla casa che oramai gli si mostrava distintamente, anche nello scuro di quella notte invernale, fra le roste assecchite degli alberi:
– Potessi rientrare senza che mia madre mi udisse! Con qual fronte vederla? Come avere il coraggio di darle tranquillamente il saluto ed il bacio? Essa certo mi leggerà nel viso il mio turbamento; e che cosa dirle? Povera madre mia! Se sapesse la verità!.. E se mai domani mi succedesse disgrazia!..
Si fermò sui due piedi, sentendo la sua passione, che era un complesso di varii sentimenti, tutta fondersi in una potente commozione che gli mandava le lagrime agli occhi.
– Ella mi ama tanto!.. Ed anche mio padre!.. Ah, se voglio aver coraggio, bisogna che non li veda…
In quella vennero a ferirgli lo sguardo i due raggi di luce che partivano dalle finestre che ho detto.
Egli fissò i suoi occhi rimbamboliti su quella del primo piano, con una espressione d'immenso affetto. Era la finestra della camera di sua madre.
– La mi aspetta come sempre!.. S'io non sono rientrato in casa, la buona mamma non può riposar tranquilla… E s'io non avessi da rientrar più mai?!..
Un brivido gli corse per tutto il corpo; stette un poco immobile ove si trovava, come senza risoluzione di sorta; poi si passò le mani sulla faccia quasi per condurre l'usata calma sui suoi lineamenti conturbati, e disse seco stesso:
– Andiamo; farò di tutto per non farmi sentire, e s'ella pure mi ode, allora, viso fermo, e metterò l'espressione della mia fisionomia in conto della stanchezza, del sonno e d'una leggiera indisposizione.
Camminò risolutamente verso la casa; giunto al portone, trasse fuori di tasca la chiave ed aprì con ogni maggior cautela per non far rumore, quindi per lo sportello s'intromise chetamente; ma i cani abbaiarono ed il portiere che vegliava si mosse.
– Chi va là? Gridò egli con voce stentorea dall'interno della sua stanza che si trovava a destra del portone, e tosto dopo la sua grande e grossa persona comparve sul passo dell'uscio, tutto avvolta in un vecchio, lungo pastranone, con una lucerna da una mano ed un buon randello dall'altra.
– Zitto Bastiano: disse il giovane entrato, nel riconoscere il quale i cani già si erano acchetati e gli facevano festa; non far rumore, sono io.
– Che? Gli è Lei sor avvocato? A piedi e tutto solo! E la carrozza?
– Ah! la carrozza… Esclamò il giovane, come ricordandosi allora di cosa che avesse affatto dimenticata. L'ho lasciata là in piazza ad aspettarmi. Avevo bisogno di prender aria, e son venuto a piedi.
– Biagio non sa dunque niente ch'Ella sia qui?.. Ed è capace di star là fino a mezzogiorno.
– È vero… Povero Biagio! Disse il giovane con tono di rincrescimento. Sì che la notte è fredda! Non ci ho pensato… Vuoi farmi un piacere Bastiano?
– Comandi.
– Corri in Piazza S. Carlo e cerca di quel povero diavolo: digli come io sia già rientrato e fallo venire a casa.
– Subito.
– Mi rincresce farti prendere questo freddo…
– Che? La mi burla. Tanto tanto ero deciso di star su tutta notte per aspettar che la carrozza rientrasse affine di aprire il portone. Correrò per la strada e mi scalderà ancor di più che non a stare accoccolato presso il mio caminetto.
– Da bravo!.. E per iscalducciarti di meglio, to' qualche cosa da berne un bicchierino.
Pose in mano del portinaio che riluttava un bello scudo d'argento.
– Ma no: esclamava Bastiano. Si figuri se gli occorre, sor Francesco… Sor avvocato, voglio dire.
– Chiamami pure semplicemente Francesco; mi è più caro…
– O sor Francesco, o sor avvocato, per Lei, come per tutta la sua famiglia, già lo sa, io mi getterei nel fuoco al menomo cenno, altro che andare a scalpitare un po' di neve…
E voleva respingere ancora la moneta che il padroncino lo costrinse a ritenere.
– Come la vuole, e grazie mille. Vado a farle lume su per la scala e poi corro laggiù.
– Vai, vai pure. Io monterò su per la scaletta piano piano, e su nella stanza di passaggio troverò preparato lume e zolfini.
Il portinaio entrò nella sua loggia, depose la lanterna, si calcò in testa un cappellaccio e tirato su il bavero del suo pastranone, una pipa accesa in bocca, il suo buon randello in mano, uscì del portone e chiuso dietro sè lo sportello con un colpo che rimbombò per tutta la casa.
– Il grossolano! Borbottò fra i denti Francesco, che con passo leggerissimo saliva su della scaletta di servizio, cercando di fare il meno rumore che si potesse. Se mia madre non mi avesse udito entrare, ecco che questo fracasso la mette in sull'avviso, od almeno nella curiosità di sapere chi sia venuto. Come fare a sottrarmi alla sua vista?
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