Vittorio Bersezio - La plebe, parte II

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– Oh a strappi che la è una compassione, precisamente com'era quando Madama le ha dato le vesti.

– Vedi! E se mai tu entrassi nella soffitta di quella gente, vedresti i bambini senza uno straccio di camicia addosso. Ora vuoi tu sapere che cosa ne fu di tutta quella roba che le hai dato? Sor Andrea l'ha venduta per pochi soldi affine di andarsi ad ubbriacare. Ora io mi domando se non è un alimentare il vizio il far carità a quella razza di gente.

Teresa non pareva molto convinta di quell'argomentazione del marito, ma non sapeva trovare una parola da opporvi; ben la trovò Maria che vivacemente proruppe:

– Ah babbo!.. E i bambini?

Giacomo guardò sua figlia come sovraccolto; stette un poco e poi disse:

– Hai ragione. I bambini non ci hanno colpa e qualche cosa per essi non convien rifiutarlo.

Teresa colse a volo questa più esplicita permissione maritale, sorse lesta e frugando nelle profonde saccoccie del grembiale che portava dinanzi, ne trasse un pizzico di monete che andò a porre nella mano del domestico.

– Prendete, recatele codesto.

Quando il domestico fu uscito. Maria disse a mezza voce:

– Sarebbe forse stato meglio che l'avessimo ricevuta quella povera donna.

Il padre che udì quelle parole si volse alla figliuola con qualche vivacità:

– Avresti udito dei piagnistei che ti avrebbero commossa inutilmente.

– Perchè inutilmente?

– Perchè rimediare a quei mali ti sarebbe impossibile…

– Impossibile! Esclamò la ragazza crollando la testa. Non siamo noi ricchi?

Giacomo sorrise.

– Bambina! La nostra ricchezza non tarderebbe a sfumare, se tu volessi riparare dalla miseria i poveri che ti domandano soccorso. L'elemosina non può che recare un rimedio temporaneo; e dev'essere così, altrimenti non ci sarebbe giustizia, ed una malintesa carità premierebbe l'infingardaggine. Dà retta. Io credo usare assai meglio dei miei capitali impiegandoli nella mia industria e facendo così guadagnare il vitto a tante famiglie di laboriosi operai, che non se dividessi le mie sostanze con tre o quattro miseri per farli vivere nell'ozio in un'agiata mediocrità.

Maria non capì bene del tutto la teoria economica cui adombravano le parole di suo padre, ma sentì pur tuttavia che in esse vi era un fondo di vero. Stava per muovere una sembianza d'obbiezione affine di farsi spiegar meglio la cosa, quando il domestico si presentò di nuovo all'uscio.

– Quella donna, diss'egli, ringrazia con tutto calore Madama della sua carità, ma insiste, piangendo, perchè voglia farle la grazia di riceverla, e dice che questa sarà una carità più fiorita ancora.

Teresa, avvezza a dipendere in ogni cosa dalla volontà di suo marito, volse verso di lui uno sguardo interrogatore; ma quella petulantella d'una Maria, senz'attendere dell'altro, esclamò tutto animata:

– Oh sì, sì, bisogna riceverla… Fatela venire… Non è vero, mamma, non è vero, babbo, che bisogna farla venire?

Il padre fra il pollice e l'indice della mano destra prese il mento di Maria e disse scherzosamente:

– Che testolina che vuol fare a suo modo!.. Ricevete pure quella povera donna. Voi siete due buone anime pietose, ed è anche necessario che si dia alimento alla vostra pietà. Badate però che non bisogna mai credere tutto quello che contano i poveri per eccitare la compassione altrui…

S'interruppe come pentito d'essersi lasciato sfuggire queste parole.

– Però, riprese, non è mai in codesto che il lasciarsi ingannare sia colpa nè disdoro.

Il domestico era ito a prender la donna; Giacomo s'avviò alla porla che metteva nella sua stanza e nel suo studiòlo.

– Vi lascio in santa libertà.

Era già mezzo fuor dell'uscio, quando il bravo uomo si rivolse indietro a soggiungere:

– Quella poveretta, venendo fin qua per questo tempo, sarà tutta immollata. Potreste darle la tazza di caffè che non ha presa Francesco.

E sparì chiudendo l'uscio dietro sè.

– Com'è buono il babbo! Esclamò Maria. Con tutte le sue teorie utilitarie ha un cuore più tenero del nostro.

E chi avesse voluto in quel medesimo istante avere una prova del cuore tenerissimo che albergava in quel corpo di grossolano aspetto, non avrebbe dovuto che seguire il buon Giacomo quando uscì della stanza di sua moglie.

Egli s'era avviato verso il suo studiòlo, ma non aveva fatto la metà del cammino che aveva cambiato direzione e s'accostava alla camera in cui credeva che dormisse il figliuolo. Giuntone all'uscio, si fermò, stette un momento ascoltando, posò piano piano la destra sulla gruccia della serratura ed aprì, poi spinse il battente e cacciò dentro lo sguardo: la stanza era tutto scura da non potercisi vedere null'affatto. Volendo ficcare in mezzo ai battenti la sua testa, Giacomo spinse ancora un poco l'uscio, e questo mandò uno scricchiolìo. Il brav'uomo trasalì, come spaventato, rimase immobile a quel posto un istante, e poichè nulla udì muoversi tuttavia, mandò un sospiro, richiuse piano piano la porta e disse seco stesso:

– Per fortuna non s'è desto. Povero Cecchino! Lasciamolo dormire.

E se ne andò adoperando ogni possibil cautela per ammorzare il suo passo pesante.

Paolina frattanto era stata introdotta nella camera della signora Teresa, dove quest'essa e la figliuola Maria stavano aspettandola.

Nella prima parte di questo racconto, abbiamo visto la infelice donna andar cercando suo marito Andrea nella ignobile taverna di mastro Pelone, affrontare i mali trattamenti di Andrea e le insolenze del perfido amico di lui, Marcaccio, ma riusciva pur tuttavia a trarsi seco il suo uomo per ricondurlo alla denudata soffitta dove aspettavano pane i loro figliuoli. Abbiamo visto come fosse tale il miserevole aspetto di questa donna da ispirar compassione a chiunque la mirasse; livida, macilenta, strappata, senza forze qual essa era 1 1 Vedi I Derelitti , capitolo VII. ; ora, nel momento in cui timorosa, tremante per emozione e per freddo, gli occhi rossi, ella si presentava sulla soglia della stanza della signora Teresa, la notte che era trammezzata, pareva aver condotto sul capo a quella infelice un doppio cumulo di anni, di stenti, di dolori e di fisica infermità. Paolina si fermò un istante come per prender fiato; il petto le ansimava penosamente; la sua tosse profonda suonava più cupa e più dolorosa che mai ad udirsi; le sue povere vesti, sottili pel rigore di quella stagione, le stavano serrate addosso sulle gracili membra, immollate com'erano dalla neve piovutale su per la lunga tratta di cammino che la misera aveva fatto a venir sin lì. Girò essa gli occhi intorno quasi smarrita; volle parlare per dare un saluto, ma dalle tremole labbra allividite non uscì che un balbettìo di debol voce; esitò, fece uno sforzo ancora per avanzarsi e parlare; e ruppe in pianto disperatamente.

Teresa e Maria le furono accosto con affettuosa premura; la presero per quelle mani magre, quasi diafane, fredde come ghiaccio e la trassero vicino al fuoco; le dissero generose e soavi parole di incoraggiamento, d'interesse e di compianto.

– Sedete qui, povera donna; e Teresa le additava la bassa seggiola, su cui stava poc'anzi ella stessa: riscaldatevi un po'… Santa Madonna della Consolata, come siete tutta fradicia!.. Lì, così: via, calmatevi; abbiate coraggio… Vi è capitata qualche disgrazia?.. Fiducia nella Provvidenza, mia cara, e rassegnazione ai voleri di Dio.

Maria frattanto, con quella leggiadra lestezza di mosse che le era particolare, aveva riempito di caffè una delle tazze che col vassoio si trovavano tuttavia sul tavolino, ed agitando in essa il piccolo cucchiaio d'argento per farvi fondere lo zuccaro, la porgeva a Paolina, la quale invano si sforzava di frenare le lagrime ed i singhiozzi.

– Prendete, bevete questo po' di caffè caldo: diceva la ragazza colla sua voce così dolce e simpatica; ciò vi renderà un po' di calore in corpo.

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