Vittorio Bersezio - La plebe, parte II

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Di sè poco le importava: oh! se essa sola avesse potuto soffrire, e con ciò togliere a quei tormenti i figli, la carne della sua carne!.. Ma gli era questi esseri supremamente diletti ch'ella vedeva contorcersi nel dolore, che udiva gemicolare nell'agonia!..

Donne felici e liete di beltà e di ricchezza, che siete nate e vivete nel prospero ambiente degli agi; mogli e figliuole di arricchiti, a cui le avventurate speculazioni del marito e del padre mettono in potere le enormi somme che vi costano i vostri abiti, le vostre trine, i vostri scialli, i vostri diamanti; non pensate voi mai, in mezzo al tripudio d'una festa, che in quello stesso momento forse – e senza forse – qualche povera madre in una diserta soffitta piange e s'affanna per non aver pane da dare ai suoi figli, per non aver calore da sgranchirne i gracili corpi, per non avere un obolo che ne assicuri il domani?

Oh! pensateci qualche volta!

Ma un'altra immagine eziandio appariva alla fantasia o, dirò meglio, alla memoria dell'infelice, una lieta immagine, ma pur tuttavia non meno, anzi forse più dolorosa ancora della prima: la visione della quieta felicità d'un tempo, ora da parecchi anni perduta. Paolina rivedeva se stessa ricca dell'amore, dell'onestà, dell'abile lavoro di suo marito, felicemente orgogliosa de' primi suoi nati; allora il fiore della salute rallegrava le sue fresche guancie, ed anco il fior della bellezza, s'ella aveva da credere allo specchio ed agli sguardi ed alle susurrate parole con cui la salutavano sul suo passaggio i giovani signori ch'ella non curava; allora la sua mite anima non sapeva che cosa fosse amarezza e il suo sorriso e la sua canzone erano i più allegri del mondo. La si rivedeva al cader del giorno seduta presso la finestra della pulita cameretta, dar gli ultimi punti nel suo cucito, aspettando il ritorno di Andrea, e cullando col piede il bambino – fresco, roseo che pareva un amorino. Poi Andrea rientrava; il lavoro era finito anche per lei, i panni si gettavano in tutta fretta nella cesta, ed ella scattando da sedere si slanciava al collo di lui a dargliene il bacio del ritorno. Il marito divideva i suoi baci fra lei e il figliuolo: poi questo nutrito del latte materno si riaddormentava sorridente in mezzo a loro…

E quei tempi erano iti, e non sarebbero tornati mai più!

Paolina ricordò Marcaccio, il tristo amico d'Andrea, che era venuto a tôrre quest'ultimo ai suoi più sacri doveri, e un odio immenso assalse quella povera anima infelice.

Lunga, tremendamente lunga fu quella fredda notte insonne alla moglie di Andrea; ma pur finalmente ebbe fine ancor essa. Appena un po' di luce diurna si fu messa in quella nuda soffitta pei cristalli della finestra, molti dei quali erano sostituiti da fogli di carta, Paolina svegliò il marito che dormiva tuttora del sonno pesante dell'ebbrezza. I bambini dormivano eziandio, aggruppati ancora tutti insieme, per riscalducciarsi l'un l'altro sotto i diversi panni che la madre aveva rammontati su di loro. Erano pallidi pallidi e livide avevano le occhiaie affondate in cui stavan chiuse le palpebre; e quella dubbia luce del crepuscolo e il biancolastro riflesso della neve dai tetti circostanti accrescevano ancora quel pallore e quella lividezza. L'aspetto loro era tale da serrare il cuore d'un estraneo non che d'una madre.

Andrea, svegliato, si stirò, mandò un'esclamazione che si convertì in isbadiglio, e levandosi a sedere di mala voglia sul suo strammazzo, disse con lingua ancora impacciata per la cotta presa la sera innanzi:

– Che cosa c'è? È già dì?.. Brrrr! Fa un freddo indemoniato questa mattina… Non hai tu più manco una scheggia di legna da fare un po' di fiammata?

Paolina non rispose altrimenti che scuotendo desolatamente la testa.

– Ebbene, potevi lasciarmi dormire: riprese il marito con accento di rimbrotto ed oscurandosi nell'aspetto: almanco non avrei sentito così presto il freddo. Perchè svegliarsi? perchè alzarsi? Non ho dove andare a lavorare io; meglio dormire. Potessi dormire per sempre!

– Più sottovoce: disse la moglie mestamente, pianamente, ma con un certo accento di comando: più sottovoce per non destare i bambini. Loro sì che bisogna lasciarli dormire, perchè non tornino da svegli a sentir la fame, essi che non possono e a cui non tocca provvedere ai loro bisogni: ma noi… noi che dobbiamo pensare e fare… noi si conviene non dormire.

– Ah! Esclamò Andrea recandosi le mani alla fronte, come per raccogliervi le idee.

La memoria degli avvenimenti della sera innanzi glie ne tornò a quel punto: ma le impressioni che egli ne aveva ricevute erano state così annebbiate dai vapori dell'ebbrezza, ch'e' non sapeva se quelle erano vaghe reminiscenze di sogni oppure ricordi veri di fatti.

– Che cos'è dunque avvenuto? Diss'egli quasi esitante. Aiutami un po' a ricordarmene, Paolina. Ieri sono uscito di qua mezzo disperato per andare a cercar lavoro e pane pei bambini.

– E non sei tornato più: disse amaramente la moglie: e noi abbiamo passato eterne ore ad aspettarti invano, i piccini piangendo, io non sapendo più a che santo votarmi per farli acchetare.

Un'ombra di confusione passò sulla fronte di Andrea.

– Che cosa vuoi? Riprese egli, non senza impaccio. Ho girato mezza città per trovar lavoro; ho battuto a un centinaio di porte, e sempre inutilmente. Ero disperato. Non osavo ricomparirvi dinanzi per dirvi: non ho nulla, non ho trovato nulla, non vi ho portato nulla. Giravo senza saper più dove batter del capo, quando ho trovato Marcaccio.

Una fiamma passò negli occhi di Paolina.

– Ed io, non vedendoti tornare, ho indovinato tutto: interruppe ella. Quando la sera fu venuta corsi all'osteria di Pelone. Sapevo che mentre noi spasimavamo qui, tu eri colà…

– Paolina! Esclamò il marito con accento di profonda vergogna, abbassando la testa.

La moglie si arrestò; guardò con occhio pietoso la vergogna del marito ed ebbe la generosità di non dir più che queste parole:

– E là ti ho trovato.

Andrea allora ebbe come un barlume di memoria che nella taverna era avvenuto qualche cosa fra sè e la moglie; gli tornò ad un tratto preciso il ricordo del modo crudele con cui egli l'aveva trattata, del colpo violento datole da lui, della caduta di essa. Levò gli occhi in volto a Paolina, come per vedere in quello se ciò era vero. L'aspetto, lo sguardo, il mesto sorriso medesimo cui abbozzarono le labbra scolorate della donna gli dissero eloquentemente che sì. Non si parlarono in quel punto, ma si compresero ambedue: eravi il più profondo pentimento dall'una parte, il più generoso perdono dall'altra.

Andrea mandò un'esclamazione soffocata e nascose nelle sue mani la faccia.

Paolina lo lasciò un istante alla sua meditazione; quindi, mettendogli dolcemente una mano sulla spalla, riprese a parlare.

– Ma non è del ieri che dobbiamo ora occuparci, gli è dell'oggi che ci si presenta più terribile che mai. Tu non hai mezzo alcuno nè speranza alcuna di trovar lavoro e guadagni…

Il marito scosse dolorosamente la testa.

– Ai bambini conviene assolutamente dar pane…

Andrea levò con impeto la testa, contratti spaventosamente i lineamenti del viso.

– E l'avranno: esclamò egli: l'avranno… dovessi rubarlo.

Paolina gli mise una mano sulla bocca.

– Oh taci!

Vi fu il silenzio d'un minuto; un penoso silenzio in cui non si udiva che l'affannoso respiro della povera Paolina.

Fu questa a ravviare il discorso.

– Il padron di casa, diss'ella abbassando ancora la voce, ha minacciato mandarci via se non gli paghiamo entr'oggi la pigione.

– Gli è dunque vero anche codesto? Esclamò Andrea, il quale erasi lusingato sino allora di aver solamente sognata una sì brutta novella.

La moglie curvò il capo in segno di dolorosa affermazione.

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