Vittorio Bersezio - La plebe, parte II
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– Alla croce di Dio! Proruppe l'uomo. Tu vedi bene che non c'è più scampo alcuno per noi!
– Forse sì che c'è ancora: rispose Paolina. Ho pensato a codesto tutta la notte, ed ho pregato Iddio, ho pregato tanto che spero non ci mancherà il suo aiuto.
Andrea scosse le spalle in modo che dinotava nutrir egli assai poca fiducia in quell'aiuto supremo.
– Il signor Nariccia, continuava la donna, è un uomo religioso.
– È un impostore.
– Ah! non giudichiamo male del prossimo. Pregandolo in nome di Gesù Cristo, chi sa che non si pieghi a concederci un po' di respiro. Egli va tutte le mattine al Carmine ad udire la prima messa detta da padre Bonaventura, che è suo confessore, e che ha una grande influenza su di lui. Ho pensato dunque d'andar io pure colà, di raccomandarmi a padre Bonaventura di pregare lui messer Nariccia per le cinque piaghe ad averci compassione.
– E fa pur così, poichè te n'è nata l'idea: disse il marito con tono di scoraggiamento; ma non fondarci su molte speranze, chè il cuore di messer Nariccia è di bronzo, e l'anima di quel gesuita è più nera della sua sottana… Del resto poi, mettiamo pure che la tua Madonna del Carmine faccia il miracolo d'intenerire quei sassi, sarebbe già molto, ma ciò non darebbe ancora per oggi, nè per l'avvenire il pane ai nostri figliuoli.
– Anche a ciò ho pensato. Dopo la messa del Carmine andrò al palazzo del marchese di Baldissero…
– Ah! il marchese; disse Andrea con esitazione. Egli ha protestato che non ci avrebbe mai più dato soccorso nessuno… Egli ti strapazzerà, povera Paolina… Egli ti dirà un mondo di male de' fatti miei.
– Il marchese è di cuore così generoso, che, non ostante tutte le sue minaccie di non sovvenirci più in nulla, quando sapesse le tristi nostre condizioni, pur tuttavia non mancherebbe di aiutarci. Ma però ho pensato di non rivolgermi a lui… Duole anche a me sentire a dir male de' fatti tuoi… e non poterti difendere… C'è in quella casa una angelica creatura, la quale non può a meno d'aver pietà di noi: madamigella Virginia; ed ho pensato di parlare a lei.
– Sì, sì: disse Andrea con vivace premura che provava quanto più gli piacesse che se ne parlasse alla signorina che non allo zio marchese; sì, rivolgiti a madamigella Virginia. Oh ella non ti respingerà di sicuro. Anco se messer Nariccia non volesse menomamente cedere alle tue preghiere, come son sicuro pur troppo che avverrà, da quella brava signorina potrai avere, per poco che tu sappia fare, fin anco i denari della pigione.
– Non ne dubito. Ma questo, anche succedendo, come speriamo, se ci trae dalle tremende strette del momento, non ci salva ancora per l'avvenire.
– È vero: disse il marito con voce appena intelligibile, curvando più basso di prima la testa.
– Codesta salute, per noi, continuava la donna, non può venirci da altri che da te. Sei tu che hai da restituire nelle condizioni d'un tempo la tua famiglia, tornando, come già un tempo, al lavoro.
Andrea non osò ancora levare il capo, nè lo sguardo verso sua moglie.
– Ma se di lavoro non posso trovarne a niun modo: diss'egli con voce soffocata.
– Ne troveresti cambiando costumi. Sei tu ben deciso a cessare da questo modo di vita che ha tratto a sì mal passo la tua famiglia?
– Oh sì: rispose il marito.
– Posso io sicuramente prometterlo per te?
– Certo.
– Ebbene, dopo che sarò stata al palazzo Baldissero, correrò all'officina Benda.
– Ah! il sig. Benda è un uomo ostinato: mi ha già scacciato due volte dai suoi lavoratoi, non mi riprenderà più la terza.
– Anche colà mi rivolgerò alle donne della casa. La moglie e la figliuola del signor Benda sono due pietose creature ancor esse.
– Puoi provare: disse Andrea scoraggiatamente: e se riuscirai tanto meglio.
– Non muoverti dunque di casa fin ch'io ritorni. Se i bambini si svegliano, prometti loro che alla mia venuta avranno cibo. Di certo non tornerò senza recare per essi del pane.
E avviluppatasi la testa in un misero fazzoletto, Paolina uscì frettolosa che era l'alba appena.
CAPITOLO IV
Per prima cosa, Paolina, secondo quel che aveva detto, corse alla chiesa del Carmine, ed entrò diviata in sacristia. L'oscurità di quel luogo non era rotta che da un lucernino pendente da un braccio di ferro: un sacrestano sonnacchioso preparava sulla tavola della credenza i paramenti pel celebrante della messa, mentre un bambino, inginocchiato presso un largo braciere di ferro messo entro un recipiente di legno, ne smuoveva la semispenta carboncina e vi scaldava sopra le sue mani gonfie dai geloni.
Un alto silenzio regnava colà dentro, e si udiva soltanto il suono della campana che giusto allora dava i tocchi della prima messa.
Paolina si accostò un po' timorosa e titubante al sacrestano.
– Scusi, padre Celso: cominciò ella a dire, interrotta tosto da uno scoppio di quella sua tosse dolorosissima.
Il padre , a quel signor sacrestano che era un frate laico, poteva dirsi una piacenteria: ma Paolina voleva rendersi benevolo il fiero uomo, e sapeva che egli ci teneva maledettamente a quell'appellativo.
Padre Celso si volse con mossa solenne, e guardò con piglio altezzoso la povera donna che stavagli in aspetto supplichevole innanzi.
– Ah siete voi, Paolina. Ebbene, che cosa volete?
Quasi tutti gli uomini hanno un superbo concetto delle funzioni che sono incaricati d'esercitare, e nell'esercizio di esse quanto più sono basse, tanto più d'ordinario si mostrano orgogliosi. Andate a parlare ad un misero impiegatuzzo alla sua scrivania nel ministero; domandate ai coscritti che cosa sono i caporali che fan da capo di posto ad una guardia; entrate senza una particella nobiliare al vostro nome e senza l'aspetto d'un milionario nella anticamera d'un riccone ed affrontate l'impertinente sicumera dei lacchè in livrea; abbiate a che fare con uscieri, portinai, custodi e va dicendo, ed avrete i più notevoli esempi della sciocca superbia dell'uomo da nulla che si attribuisce appetto a voi una importanza che non ha; ma la impertinenza orgogliosa di tutti costoro che ho nominato è niente in paragone di quella d'un sacrestano. Hannovi le sue brave eccezioni, ci s'intende: ma il tipo dell'orgoglio impertinente e senza ragione bisogna andarlo a cercare sotto la cotta di solito bisunta d'uno spazzino di sacristia.
Il tono con cui un idalgo spagnuolo del seicento accoglieva un marrano era più cortese di quello che fosse il modo onde padre Celso parlava e sogguardava la povera Paolina.
– Vorrei parlare a padre Bonaventura: disse quest'essa tutto umile.
– Egli non è ancora disceso: rispose col medesimo accento di prima il villano vestito da frate. Discenderà a momenti, ma avrà altro da fare che dar retta a voi. Ha da dir la messa, e poi dopo andrà in confessionale.
Volse le spalle alla poveretta, e continuò la sua bisogna con quell'aria che potrebbe avere chi fosse in via di salvare il mondo.
Paolina si ricantucciò da una parte, e stette là, tutta abbrividendo, ad aspettare.
Poco stante, ecco entrare una vecchia che a primo vederla ciascuno avrebbe riconosciuta per una di quelle pitocche beghine che stanno tutto il giorno sulle porte delle chiese, negli anditi delle sacristie ad elemosinare biascicando pater ed ave e mormorazioni, spiando e divulgando gli affari della gente e facendo anche di peggio mestieri alla vista meravigliosa d'una moneta d'argento.
Costei diffatti, oltre la grinta bassamente ipocrita e furbescamente improntata di affettata divozione, che è propria di quella razza di donne, portava tra mano la vera insegna del suo mestiere, un mazzettino di piccoli candelotti di cera, avvolti dalla metà in giù in un pezzo di carta straccia di color bleu ; al braccio aveva passato pel manico un veggio di terra cotta, e coll'altra mano si traeva dietro, mezzo riluttante, mezzo ancora addormentato, un ragazzo di circa dieci anni.
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