Vittorio Bersezio - La plebe, parte II

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– Bene, bene: interruppe padre Bonaventura con qualche impazienza, tamburellando colle dita grassotte sui bracciuoli del seggiolone. Udiamo questa proposta ch'e' vi fece.

– Io, già, sono una povera donna. Ella lo sa; vivo d'elemosina, e questo bardotto qui mi è di un peso… di un peso!..

– Si, sì, me lo avete già detto parecchie volte; ma egli pure vi guadagna qualche solduccio.

– Oh sante piaghe! Gli è così poco… E giusto, gli è a questo riguardo che quel cotale mi fece quella certa proposta.

– Sentiamola dunque, via, questa benedetta proposta.

– E' mi ha domandato s'io non gli avea fatto imparare a Gognino il leggere e scrivere, s'io non lo mandavo a scuola; ed udito che no, mi profferse di darmi egli dieci soldi al giorno, a patto che lo lasciassi andare in casa sua dov'egli avrebbe insegnatogli lettura, scrittura ed abbaco.

– Cospetto! Esclamò il gesuita meravigliato, spalancando tanto d'occhi. E questo per la bella cera di quel martuffino lì?

– Disse che voleva fare quest'opera buona.

– Uhm! E che figura ha egli codestui?

– Non ho potuto nemmanco vederlo bene. E' si teneva in testa un certo cappellaccio colla tesa sugli occhi. Una faccia strana, nè da giovane, nè da vecchio; una voce che ha una certa imponenza; i panni piuttosto da povero che da ricco.

Padre Bonaventura prese fra l'indice e il pollice della mano destra il suo mento grasso a doppia piega, nell'atto della riflessione.

– E voi dunque avete accettato il partito?

– Ho pensato che dieci soldi al giorno non si trovavano mica lì, sotto il primo sasso della strada. Me il bisogno mi perseguita. Mi parve una vera grazia mandatami dalla Madonna del Carmine. E poi ho pensato che Gognino avrebbe così imparato di meglio a servire la messa. Ora son io che debbo fargli entrare nella memoria le parole a forza di recitargliele, e le assicuro che la è una fatica… una fatica. Ho detto di sì… Ho forse fatto male?

– Che intenzioni può egli avere quell'individuo? Diceva il gesuita, come continuando a parole pronunziate le sue riflessioni. A questo mondo non si fa niente per niente. Voi Gattona , vecchia come siete, dovreste saperlo.

– Ho immaginato si volesse con siffatta carità far dei meriti per la vita eterna.

– Eh! che i meriti si acquistano con altri modi, più acconci, chi abbia fede veramente nella nostra santa religione. Scommetto che gli è uno dei moderni disseminatori di falsità e di eresie, uno dei campioni del progresso, come si usano chiamare, il quale vuole guadagnare all'errore un'anima di più.

– Ho dunque fatto male? Esclamò la Gattona con accento spaventato: oh creda, padre Bonaventura, che io subito dopo ho pensato di venirle a raccontar tutto e di pregarla a volermi guidare in proposito. E s'Ella adunque mi dice che ciò non si deve fare, io non manderò a quel cotale, Gognino , nemmanco se mi volesse caricar d'oro… Ci perderò dieci soldi al giorno belli e sicuri; ma che cosa m'importa? Io non guardo a codesto quando si tratta di schivare il male e di obbedire a Lei, padre Bonaventura… benchè io sia miserissima, e debba contare non che i soldi, ma i centesimi. Oh! ci è una Provvidenza lassù; ed io sono tanto divota della Madonna e del Sacro Cuore di Gesù e di Santa Filomena, che non sarò abbandonata, e son persuasa che vostra reverenza medesima, se potrà, troverà modo di compensarmene, facendomi partecipare un po' più alle elemosine di questa parrocchia…

Padre Bonaventura, il mento sempre appoggiato alla mano, guardava la vecchia con i suoi occhi fissi, nella cui espressione non avreste saputo se fossevi ironia o bonarietà.

– Ben sapete: disse a quel punto il frate colla sua voce più melliflua ed insinuante; ben sapete, Modestina, che siete fra le prime nella lista dei poverelli a cui amiamo distribuire i soccorsi delle carità che raccoltiamo.

La Gattona prese la mano sinistra del gesuita che era posata sul bracciuolo e la baciò con divozione; ma padre Bonaventura, a cui non parve molto piacevole quel contrassegno di reverenza, fu lesto ad allontanare la sua mano paffutella, dalle labbra vizze, triate e violacee della vecchia.

– Or dunque, riprese quest'ultima, io mi guarderò bene dal mandar Gognino colà…

– Aspettate: disse vivacemente il gesuita a cui pareva nata una nuova idea. Sarebbe forse meglio far così. Lasciateci pure andare il vostro ragazzo da quest'uomo, ma inculcategli bene di osservar tutto, di tenere a mente tutto ciò che vedrà, che sentirà, che avverrà in ogni modo, e di farvene una relazione esatta giorno per giorno.

– Che io poi mi affretterò di ripetere a Lei: soggiunse la vecchia.

Padre Bonaventura fece un cenno affermativo cogli occhi, che voleva dire: – Ci si intende; e continuò:

– Luca è ben capace di osservare ciò che gli incontra e di saperlo esporre di poi?

– Oh sì, sì, che per la sua età è il più sveglio e il più furbo che ci sia sotto le stelle.

– Benone. Così voi non perderete quel po' di vantaggio che vi fu promesso, e noi, sapendo giorno per giorno come si passan le cose, potremo giudicare delle vere intenzioni di quel cotale; ed appena ci accorgiamo che tenti avviare quest'anima alla strada del male, possiamo porci rimedio. Anzi sarà bene che di quando in quando mi conduciate qui il ragazzo perchè io possa interrogarlo in proposito.

– Sì, Padre.

– Lasciatemi qui questa cartolina coll'indirizzo di quell'uomo. Potrò giovarmene per raccogliere informazioni. Vedrei volontieri un simile originale, e credo sia individuo da tenersi d'occhio.

In quella il sacristano si accostava a padre Bonaventura.

– Le candele sono accese, la messa è suonata, e se la si vuol vestire…

– Gli è tempo eh? Bene, bene, eccomi qua.

Si alzò da sedere, e s'avviò verso il luogo in cui erano spiegate le paramenta pronte ad indossarsi.

– Vieni, Gognino : disse la vecchia incamminandosi, andiamo a sentir la messa del buon padre Bonaventura, e diremo la coronella secondo le sue sante intenzioni.

Paolina era sempre rimasta là nel suo cantuccio, tutto freddolosa, aspettando con ansia insieme e con timidità che il momento venisse di presentarsi ancor essa al gesuita. Ora che la Gattona erasi partita da lui avrebb'ella voluto avanzarsi; ma vedendo il frate accingersi a vestire i sacri arredi aiutato dal sacristano, e borbottando quelle preghiere che si suole in tal caso, non ardiva altrimenti accostarsi.

Uno scoppio violento di quella tosse malvagia che la tormentava rivelò la sua presenza al gesuita, che fino allora non l'aveva vista, od aveva fatto mostra di non vederla. Guardò egli da quella parte, e la povera Paolina fu lesta a fargli una profonda riverenza per saluto.

– Se non m'inganno, disse padre Bonaventura al sacristano, quella donna lì è Paolina la moglie del fabbro Andrea.

– Sì, Padre, la è dessa. Anzi è venuta cercando di Lei.

– Ah ah!

Paolina credette opportuno il momento di farsi innanzi.

– Se mi volesse far la grazia di ascoltare due parole.

Il sacristano la interruppe con burbero accento.

– Eh! vedete bene che ora si veste, e non ha tempo da badare a voi.

Deo gratias! Disse in quel punto alle spalle dei nostri personaggi una voce nasale da frate zoccolante.

Era messer Nariccia che arrivava sollecito e con un occhio guardava indignato Paolina, mentre coll'altro fissava la faccia fresca del gesuita.

– Siete qui, messere: disse Bonaventura sorridendo al nuovo venuto. Temevo già che foste per mancare a servirmi la messa.

– Oh mai, mai! Figuratevi se voglio perdere tal favore. Sapete che questo è anche il mio giorno di confessione.

La presenza del suo padron di casa aveva prima fatto tremar Paolina, poi datole risoluzione. S'ella lasciava sfuggire quell'occasione in cui Nariccia avendo da accostarsi al sacramento della confessione avrebbe più facilmente ceduto alle esortazioni del gesuita, quando questi si decidesse di fargliene in favore della povera famiglia, mai più non si sarebbe presentato un caso tanto favorevole.

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