Vittorio Bersezio - La plebe, parte III

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– Ora ci conviene ancora fare un bel tratto di cammino prima di giungere all'entrata del luogo dove ho da condurvi; datemi la mano e venite senza timore. Per ora la via è tutta piana; quando vi sarà da discendere, ve ne avvertirò.

Lo prese per mano e lo fece avviarsi. Ad Andrea parve di andare, andare per lunga tratta, udì aprirsi e richiudersi diverse porte, e quando il suo conduttore gli disse poi: – Eccoci ora all'ingresso del nostro rifugio; – egli credeva d'essere di molto lontano da quella scura stanza di retrobottega, in cui gli avevano bendati gli occhi. Il vero era invece ch'egli non n'era punto uscito e che altro non gli si era fatto fare che dar le volte colà dentro, aprendosi e chiudendosi di quando in quando sempre la medesima porta che era quella per cui dalla retrobottega medesima si penetrava nel piccolo andito, dove un uscio accuratamente dissimulato metteva sulla scala per scendere nel sotterraneo.

Qui Graffigna lo fece scender piano piano dopo aver accuratamente chiuso alle loro spalle l'usciolo segreto, e traverso il lungo corridoio sotterra lo condusse in Cafarnao , dove finalmente gli levò la fascia dagli occhi.

Andrea guardò stupito intorno a sè. La luce che vi ho detto penetrare in quel luogo da certe feritoie onde si rinnovava l'aria eziandio, in quel momento per l'ora del giorno già avanzata faceva difetto del tutto: il luogo non era illuminato più che dalla lampada pendente dal mezzo della vôlta.

– Or su, qui non c'è tempo da perdere nè da stupirsi: disse bruscamente Graffigna ad Andrea: ecco qui tutti gli strumenti che vi possono occorrere pel vostro mestiere. Qui potete lavorare con tutta tranquillità, sicuro che nessuno verrà a disturbarci il meno del mondo. Io vi aiuterò ad accendere il fuoco e tirerò il mantice. Eccovi le impronte di cera; mettetevi di buon animo all'opera e fatevi onore.

S'erano appena messi alla bisogna, quando, come per contraddire alle parole di Graffigna, all'uscio ch'egli aveva chiuso dietro di sè (quell'uscio che per alquanti scalini metteva nella rotonda in cui facevano capo i tre sotterranei) s'udì un picchiare con un dato numero di colpi ed a certi intervalli.

Andrea fece un trasalto e impallidì.

– Non temete di nulla, gli disse Graffigna sorridendo, qui non ci può penetrare nemico nessuno, e quel modo di battere rivela un amico dei più intimi.

Andò ad aprire e si trovò in faccia la Maddalena affannata dall'essere corsa con tanta sollecitudine.

– Che cosa c'è? domandò Graffigna.

– Il medichino è qui? di rimbalzo interrogò Maddalena.

– No. Per che cosa siete venuta a cercarlo?

Maddalena gli disse la ragione.

– Collo da forca! esclamò Graffigna tutto lieto. La cosa non potrebbe andar meglio. È a me che tocca esaminare il muso di quel coso là. Il medichino me lo ha specialmente raccomandato, e mi preme farmi onore levandocelo dai piedi. Brava la mia ragazza. Voi tornate a casa vostra per la strada da cui siete venuta: io m'affretto pel corridoio al mio posto d'osservazione.

Maddalena partì com'era arrivata, e Graffigna disse ad Andrea:

– Io mi allontano di qui per pochi minuti soltanto, voi continuate allegramente nell'opera vostra e non abbiate timore nessuno che non tarderò a ritornare e con delle buone provvigioni per darvi forza al lavoro e passare allegramente i momenti di riposo.

Nel partire chiuse dentro a chiave il fabbro e pel corridoio sotterraneo corse dietro l'assito della stanza riposta dell'osteria di Pelone.

Appena ebbe posto l'occhio al bucherello per cui si vedeva entro la stanza, gli comparve innanzi la faccia sbarbata di Barnaba.

– Buono! diss'egli fra se medesimo. Nè il nome, nè la faccia non mi scappano più.

Stette ascoltando. Il poliziotto si offeriva d'entrare nell'associazione dei malfattori.

– Che stupido! pensò Graffigna crollando le spalle. Ed ei si pensa che noi diam dentro in simil rete grossolana?

Quando Barnaba fu uscito, Graffigna aperse pian piano l'usciolo nascosto nell'intavolatura, e sgusciato nel camerino, comparve poi, come vedemmo, agli occhi di Pelone che chiamò perchè gli andasse a parlare.

L'oste si recò con premura nel camerino.

– Avete udito quel che qui si è detto? domandò egli a Graffigna non senza una certa ansietà.

– In parte… Quel Barnaba ha detto che sarebbe tornato qui stassera sul tardi: è quello che ci vuole. Bisogna che voi troviate modo di farlo fermarsi qui il più tardi possibile…

– Come ho da fare? domandò Pelone, che guardava il suo interlocutore con una specie di paura.

– Che? Non sapreste da voi stesso trovare un espediente per ciò? Ditegli, per esempio, che avete comunicato la sua proposta a certuni, i quali desiderano parlare con lui direttamente e verranno qui dopo la mezzanotte…

– Ma codesto gli è confessare che io conosco quella certa gente.

Graffigna si strinse nelle spalle.

– Trovate voi qualche cosa di meglio. L'importante è che costui non esca di qua se non dopo la mezzanotte. Prima di quell'ora le strade non sono ancora ben sicure per un colpo, e poi c'è grande adunanza stassera e ci avrò da fare. Ch'egli si avventuri in queste strade dopo mezzanotte, e il suo conto sarà saldato.

Pelone fu preso da un accesso di tosse, il che lo esentò dal manifestare in qualunque modo una sua idea.

– Siamo dunque intesi: soggiunse Graffigna, che prese il silenzio dell'oste per un assentimento, e se la cosa mi va male per colpa tua, guai a te!.. Ora dammi un paio di bottiglie di quel suggellato e qualche coserella da mettere sotto il dente, che ci ho là un operaio da mantenere in buona voglia e in buon umore.

Prese vino, pane e salame e tornò pel sotterraneo presso Andrea, che continuava nella sua opera di fabbricar le chiavi.

Barnaba intanto, uscito dall'osteria di Pelone, diresse i suoi passi verso la più vicina bottega da tabaccaio a cui pensava che quell'imbecille di Meo doveva essere andato. Lo incontrò diffatti a pochi passi da quella bottega, che veniva di ritorno alla taverna.

– Meo, gli disse arrestandolo, vieni un momento qui sotto questa porta che ti ho da dire due parole.

Il giovinastro seguì Barnaba sotto la vôlta d'un portone lì presso, e quando furono colà trasse di tasca i due sigari che aveva comperato e i due soldi che glie n'eran rimasti.

– To'; eccole la sua roba: diss'egli.

Barnaba prese i sigari e respinse la mano che teneva le due monete di rame.

– Que' soldi tientili; e' son per te.

Lo scimunito allargò tanto d'occhi a quel dono che era molto lontano dall'aspettarsi, e mise in tasca i due soldoni con una certa vivacità che svelava come la sua grossa natura non fosse inaccessibile alla seduzione del denaro.

– Bisogna che io ti parli a lungo e sul sodo di certe cose che ti interessano e ti toccano da vicino più che non credi: così continuava il poliziotto: ma bisogna che ciò avvenga in segreto, senza che alcuno possa sospettare, e tanto meno Pelone e la Maddalena. Per ora tu sei atteso in bottega e non ti conviene soverchiamente indugiarti; ma questa sera bisogna che tu prenda un'occasione qualunque di scappolartela e di venire ad un convegno ch'io ti darò per sentire ciò che occorre… Hai capito?

Meo guardava chi gli parlava colla sua solita aria melensa e non faceva la menoma parola nè il menomo atto di intelligenza e di risposta.

Barnaba lo prese ai panni e scuotendolo un poco quasi per destarne gli spiriti, ripetè:

– Hai tu capito?.. Ho cose gravissime da dirti che t'interessano… Potrai guadagnare delle belle somme…

Accostò le labbra all'orecchio di Meo e soggiunse:

– E vendicarti di Maddalena e del suo amante.

Gli occhi di vetro dell'imbecille Meo all'udire accennate le somme ch'ei poteva guadagnare, mandarono un baleno, ma a quest'ultime parole si accesero vieppiù e sfavillarono come se ad un tratto si fosse suscitata dietro di loro la fiamma dell'intelligenza.

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