Antonio Ghislanzoni - Racconti politici
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Enrichetta, senza badare alle querimonie di suo padre, che erano il ritornello quotidiano, si avviava per uscire dal salotto – quando il marchese, ingrossando la voce in segno di collera – Ebbene – domandò – cosa si ha da rispondere a quei signori? È ella disposta, la signora marchesina Contareno, a mettersi a tavola domani colla ditta Mauro e compagni?.. Sentiamo!
– Io sono fidanzata al signor Edoardo da oltre cinque mesi – rispose la fanciulla – ecco la sola risposta che io possa darvi. Del resto fate voi!
Il marchese, appena uscita la fanciulla, si accostò allo scrittoio, e sopra un biglietto di visita segnò le seguenti parole:
«Tanto io che mia figlia Enrichetta aderiamo al vostro cortese invito, e domani, all'ora indicata, saremo da voi.»
– Ad ogni modo, non è un cattivo affare – borbottò il marchese deponendo la penna – mia figlia è una testa positiva… essa tende alla aristocrazia dei milioni!
X
Non diremo ciò che avvenisse nelle due famiglie De Mauro e Contareno nel seguito di quella giornata fino alle ore cinque pomeridiane del giorno appresso. Oggimai i nostri lettori conoscono abbastanza i singoli personaggi di questa istoria per indovinare dal loro carattere certi episodii di nessun conto che sarebbe superfluo riferire. – Alle ore cinque pomeridiane la carrozza del marchese Contareno entrò nel palazzo del signor De Mauro. Il ricco industriale discese nel cortile, porse il braccio al marchese per aiutarlo a discendere dalla carrozza, mentre Edoardo, dall'altro lato, stendeva la mano ad Enrichetta colla timidità di un collegiale. – I due amanti si erano già ricambiati da lungi un saluto pieno di tenerezza, ma pure nei loro sguardi non brillava quella gioja serena, quella felicità espansiva, che ordinariamente trabocca dal volto di due giovani innamorati al momento in cui deve decidersi della loro unione indissolubile. – La fronte di Edoardo era ombrata da una ruga quasi impercettibile – gli occhi della fanciulla parevano approfondirsi sotto le palpebre folte. Quando la signora Serafina mosse incontro alla giovane per introdurla nella sala, Edoardo trasse dal petto un lungo sospiro, come se l'intervento di sua madre lo avesse liberato da un grave imbarazzo. Il pranzo non fu molto gaio. Il signor De Mauro sostenne quasi da solo l'incarico della conversazione, non risparmiando di lanciare tratto tratto degli epigrammi all'indirizzo del marchese, il quale divorava a due ganascie colla voracità plebea di un patrizio in bolletta. La mensa fu servita lautamente; la cucina del milionario, con quello sfoggio insolente di prodigalità, perorava cinicamente in favore del positivismo moderno.
Il marchese, verso la fine del pranzo, avea le guancie rifiorite di due rose color pavonazzo – i suoi occhi bigi ridevano e piangevano ad un tempo. – La signora Serafina contemplava la fanciulla con uno sguardo di materna amorevolezza.
– Orsù! disse il signor De Mauro levandosi in piedi per sturare di sua mano una bottiglia di sciampagna – beviamo il bicchiere della alleanza! facciamo un brindisi alla salute… dei nostri figli… e dei figli dei nostri figli, signor marchese!
Erano le prime parole proferite a quella tavola, che suonassero così apertamente allusive al matrimonio di Edoardo e di Enrichetta. I due giovani trasalirono. Edoardo levò il bicchiere spumante, e toccando leggermente a quello della sua fidanzata, con voce commossa si fece ad esclamare: «Io bevo innanzi tutto alla salute della patria, alla fortuna ed alla gloria delle armi italiane!»
La fanciulla si levò in piedi – le sue pupille parvero dilatarsi – la sua bellezza marmorea e severa rifulse di insolita luce – ella accostò il suo calice a quello del giovane, e coll'accento dell'entusiasmo: Bene! gli disse – viva l'Italia e i generosi che vanno a combattere per essa!
Il signor De Mauro potè a stento dissimulare la dolorosa sorpresa che veniva a colpirlo.
Per alcuni minuti regnò nella sala un silenzio solenne.
Appena servito il caffè, il signor De Mauro, sforzandosi a riprendere la disinvoltura dell'uomo d'affari, si volse a suo figlio:
– Ebbene, Edoardo?.. Con buona licenza del signor marchese, non condurresti la signorina a respirare un po' d'aria in giardino? Al punto in cui stanno le cose, signor marchese… E poi non è bene che quelle teste là… prendano parte alle nostre conferenze… Direbbero che noi non sappiamo far altro che spoetizzare il sentimento colla prosa numerica delle cifre!.. Andate, figliuoli!.. Edoardo!.. offri il braccio alla tua bella fidanzata… andate a svolazzare tra i fiori… ad esalare la vostra poesia tra il profumo delle rose e dei giranii… Io spero che al vostro ritorno, fra me ed il signor marchese saranno conclusi i trattati!
Enrichetta ed Edoardo si levarono in piedi – la fanciulla appoggiò confidenzialmente il braccio a quello del giovane – la signora Serafina li accompagnò fino all'anticamera, e di là passò nel suo piccolo appartamento.
– Fatti l'una per l'altro! disse il signor De Mauro al marchese – due teste calde – basta! a noi altri, teste grigie, il provvedere alla loro felicità positiva!
XI
I due giovani attraversarono il gran viale del giardino senza proferire parola.
Giunti all'estremo, laddove sotto un bosco di rubinie erano disposti dei sedili rusticamente foggiati, Edoardo accennò alla fanciulla di sedere. Le finestre del salotto erano aperte, e la voce del signor De Mauro giungeva all'orecchio dei due giovani innamorati.
– Sentite, Enrichetta? – cominciò Edoardo con qualche esitazione – essi trattano del nostro matrimonio!
– In verità, rispose la fanciulla, ciò che è accaduto ieri… ciò che accade in questo momento mi sembra un sogno.
– Un sogno felice, non è vero, Enrichetta?..
– Ma non è dunque vero ciò che mio padre mi diceva?.. Fra quindici giorni?..
– Fra quindici giorni noi dovremmo essere uniti per sempre… Vostro padre non oppone nessuna difficoltà al nostro matrimonio, non è vero, Enrichetta?..
– Voi sapete, Edoardo, che da quella parte non potrebbero sorgere degli ostacoli molto gravi…
– Orbene, Enrichetta, ciò che vi ha di reale, ciò che vi ha di rassicurante per noi in tutto che accadde da ieri fino a questo momento, è che la nostra felicità dipende da noi soli, che il nostro avvenire è assicurato, e quand'anche…
Edoardo esitava a proseguire.
La fanciulla, fissando nel volto del giovane uno sguardo che esprimeva un sentimento indefinibile, ripetè macchinalmente le ultime parole proferite da lui.
– Enrichetta! – proruppe l'innamorato coll'accento della risoluzione – se queste nozze dovessero ritardarsi, se questo ritardo fosse desiderato… richiesto da colui che ti ama… da colui che ti ha consacrato il suo cuore… che darebbe il suo sangue per risparmiarti una lacrima… cosa diresti, Enrichetta? rispondimi: che diresti?..
Le guancie della fanciulla si animarono di un roseo vivace che era la irradiazione di una gioia mal repressa. Pure ella ebbe forza di dominarsi. L'egoismo dell'amore domandava di assaporare a lente stille la voluttà di una rivelazione desiderata. Enrichetta, simulando lo stupore, proferì a voce secca queste sole parole:
– Io non vi comprendo, Edoardo!
– Voi non mi comprendete?.. Eppure avrei sperato… Quest'oggi… nel vostro contegno… nelle vostre parole mi pareva di leggere… Non importa… Poichè dite di non comprendere, converrà che io mi spieghi davvantaggio. Il nostro matrimonio non può effettuarsi entro quindici giorni, come mio padre avrebbe stabilito… Prima di unirmi a voi, Enrichetta, conviene che io parta da Milano, è necessario che io vada laddove in questo momento sono chiamati tutti gli italiani che sentono la voce del dovere… Questa mattina, mentre mio padre stava trattando col vostro della nostra prossima unione, io ho presentato la mia domanda per essere ammesso nelle guide dei volontari.
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