Giacomo Casanova - Il Duello

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Otto giorni dunque dopo ch'egli giunse in Varsavia ebbe l'onore di cenare in casa del principe Adamo Czartoryski con quel monarca, di cui tutta l'Europa parlava, e ch'egli ardentemente bramava di conoscere.

Alla rotonda tavola, cui sedevano otto persone, tutti poco o molto mangiarono, fuori che il re ed il veneziano, poiché ragionarono sempre e della Russia, molto conosciuta dal monarca, e dell'Italia ch'egli, quantunque d'essa assai curioso, non vide mai. Ciò non ostante molte persone a Roma, a Napoli, a Firenze, a Milano mi dissero di averlo trattato nelle loro case, e lasciai che così dicessero e credessero, poiché corre gran pericolo a questo mondo chi intraprende il difficil mestiere di disingannar gl'ingannati.

Dopo quella cena il veneziano passò tutto il rimanente di quell'anno ed un pezzo del seguente a far omaggio a S. M., a que' principi ed a que' ricchi prelati, essendo egli sempre convitato a tutte le brillanti feste, che si facevano alla corte e nelle magnifiche case de' magnati, e principalmente in quelle della famiglia (così era chiamata per eccellenza l'inclita casa Czartoryski), dove regnava, ben superiore a quella della corte, la vera magnificenza.

Giunse in quel tempo in Varsavia una ballerina veneziana che, con le sue grazie e co' suoi vezzi, si cattivò l'animo di molti, e fra gli altri del gran panattiere della corona Xaverio Braniscki. Questo signore, che oggi è gran Generale, era nel fiore della sua età, bell'uomo che, inclinato fin dalla sua adolescenza al mestier della guerra, avea servito sei anni la Francia. Avea là imparato a sparger il sangue de' nemici senza odiarli, ad andarsi a vendicar senza ira, ad uccidere senza discortesia, a preferire l'onore, ch'è un bene imaginario, alla vita, ch'è l'unico bene reale dell'uomo. La carica dell'ordine equestre di gran Postòli della corona, vocabolo che significa panattiere, l'avea ottenuta dal re Augusto terzo; era decorato dell'ordine insigne dell'Aquila Bianca, ritornava allora dalla corte di Berlino alla quale era stato accreditato dal nuovo re suo amico per certa secreta commissione nota a tutti. Di questo re egli era il favorito, ed a lui dovette in seguito la sua fortuna, poiché ricolmato ei fu di benefici. Vero è anche che il gran favore cui era asceso l'avea meritato col proprio suo valor guerriero, con la fedeltà con la quale gli era stato compagno, quando, qualche anno prima ch'egli fosse eletto re, era stato alla corte di Pietroburgo, dove divenne adoratore delle eminenti qualità, dello spirito e della avvenenza della gran duchessa di Moscova, ora gloriosissima imperatrice. Questo cavaliere meritava realmente la predilezione dell'amico monarca, poiché, come l'era stato quand'egli era suo eguale, così, quando giunse allo splendor del trono, fu sempre pronto e quasi cieco esecutore de' suoi ordini ad ogni occasione, e non con men di fervore, quando si trattava di esporre pei di lui servigio ad evidente rischio la propria vita. Ei fu quell'intrepido, che combatté e si fe' nemica tutta la nazione polacca, e da principio quella considerabil parte, che malcontenta si armò, quando la dieta di convocazione stabilì di porre il diadema reale sulla testa di Stanislao ora regnante, ch'egli adorava. Verso la metà dell'anno 1766 il re gli conferì la molto utile carica di Lofcig, o sia gran cacciatore della corona, mentre giacea ferito dalla pericolosa pistolettata che il veneziano gli die' nel duello di cui siamo per parlare. Per ottenere tal carica, ei lasciò quella di gran panattiere, abbenché di due gradi fosse alla nuova superiore; ma non era lucrativa: il lucro è una sostanza che molti preferiscono ad ogni altra superiorità.

La veneta ballerina non avea bisogno, per farsi rispettare, della protezione del Braniski Postòli della Corona, poiché tutti l'amavano, e godea anche di altre più segnalate protezioni, ma pure il favore dell'intrepido e bravo Postòli, cavaliere risoluto e di non facile accesso, accresceva il di lei credito, e tenea forse in freno quelli che in divisi partiti teatrali sono qualche volta cagioni alle virtuose di non piccioli disgusti.

Il veneziano era per genio e per dovere amico della veneta ballerina, ma non in guisa che per applaudire alla sua danza fosse divenuto nemico di quella di un'altra prima ballerina, fra gli amici della quale esser egli solea, avanti che la veneziana arrivasse alla corte di Varsavia. Ciò era di mal animo da questa danzatrice sofferto. Le sembrava che non le convenisse il soffrire in pace che l'unico suo compatriotta, che trovavasi in Varsavia, fosse nel drappello di quelli che applaudivano alla sua rivale, piuttosto che nel suo. Una donna di teatro, che sostiene una concorrenza, aspira alla vittoria con tanta ansietà, che è nemica dichiarata di tutti quelli che non le prestan mano a soggiogare chi vuol starle in competenza ed a trionfare. Questo e' il modo di pensare di tutte le eroine della scena; dominate dall'ambizione e dall'invidia, non sanno perdonarla a quelli che sostengono l'emula, siccome non v'è favore che non sieno pronte ad accordare in premio dell'abbandono a chiunque riescano ad allontanare da' ferri dell'altra, se possano imaginarsi contribuire molto quel tale a mantenere l'altalena della bilancia.

Erasi ella molte volte lagnata col suo Postòli, alla testa allora del suo partito, dell'ingratitudine del veneziano; ma egli non sapea che fare: solamente le promise che, se l'occasione se gli presenterà, saprà mortificarlo, nel modo medesimo che ne' passati giorni avea mortificato altra persona che non potea naturalmente esser d'essa parziale. L'occasione, benché strascinata pel collo, non tardò molto a presentarsegli.

Il 4 di Marzo, giorno di San Casimiro, fu solennizzato da gala di corte, per chiamarsi con questo nome il principe gran ciambellano fratello del re. Dopo il pranzo S. M. disse al veneziano che avrebbe piacere di udire cosa egli pensasse della commedia polacca che per la prima volta avea fatto che in quel giorno con attori, come già s'intende, polacchi, venisse rappresentata sul suo teatro di Varsavia. Il veneziano promise al re di essere tra' spettatori, supplicandolo a non voler poi ch'egli ne dia parere, poiché quella lingua gli era affatto ignota. Sorrise il monarca, e tanto bastò perché il veneziano abbia in quell'augusta assemblea ricevuto un grande onore. Quando i monarchi si trovano corteggiati in pubblico dalla numerosa assemblea de' loro ministri, degli ambasciatori e de' forestieri, hanno attenzione ad indirizzare una qualche domanda a tutti quelli che vogliono che sieno sicuri che la maestà loro si avvede che trovansi a lei presenti; quindi pensano a quale specie di questione possan fare a questo o a quello cui vogliono fare l'onore del colloquio, la quale sia non suscettibile di seria riflessione, non equivoca, non tale che l'interrogato possa rispondere che non sa; e sopratutto parlano schietto e preciso, poiché non dee mai avvenire che la persona, chiamata dalla voce regia a parlare, abbia a rispondere: Sire, non ho inteso ciò che V. M. mi ha detto; questa risposta farebbe ridere l'assemblea, poiché assurda è l'idea che offre o un re che non fu inteso per non aver saputo spiegarsi, o un cortigiano che non intende un re che gli parla. Il cortigiano, nel caso che non abbia inteso, o abbassa con un gesto di riconoscenza il capo, o risponde ciò che gli viene in bocca, e, a proposito o no, va sempre bene.

Le parole poi che il sovrano dice in pubblico a qualcuno debbono esser freddure; ma qualche cosa dee dire; se no l'affare è notato, e tutta la città sa, la mattina seguente, che un tale è mal veduto in corte, poiché il re a cena non gl'indrizzò mai il discorso. Queste bazzecole sono notissime a tutti i sovrani, compongono anzi uno de' più importanti articoli del loro catechismo, poiché con occhi d'Argo fino al più piccolo de' loro gesti è attentamente dagli astanti esaminato; le loro parole poi, per poco che ne siano suscettibili, sono soggette a cento differenti interpretazioni.

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