Un aspetto storico-economico è trattato invece nell’articolo di Lienhard Thaler che presenta un’ampia analisi del valore del denaro tra il 1290 e il 1500. Lo studio su un lungo periodo gli ha offerto la possibilità di approfondire i diversi sviluppi di una regione, il Tirolo, e di collocarli in un contesto più vasto. Inoltre gli ha permesso di comprendere a proposito del valore del denaro quali rapporti economici fossero dominanti e quali conclusioni si possano trarre da essi. In tal modo l’articolo colloca in un contesto europeo lo sviluppo dei prezzi in Tirolo e offre le basi per ulteriori studi futuri sulla storia medievale della moneta, dei prezzi e dei salari.
Nell’articolo di Stefano Mangullo, invece, viene analizzato da una prospettiva innovativa un aspetto centrale della storia italiana successiva al 1945. Esso affronta infatti il “meridionalismo” nell’Italia del Sud subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. L’autore analizza questioni sociali, economiche e politiche che mostrano come dopo la guerra si sia diffuso in Italia meridionale un nuovo, ampio movimento che rispondeva alle richieste di industrializzazione e di sviluppo generale di un territorio ritenuto arretrato. Sullo sfondo dell’interazione tra attori politici di diversa origine, delle istituzioni che si occuparono di queste tematiche e del quadro giuridico del tempo, viene tracciato un quadro complesso di richieste e rivendicazioni, che si propone di spiegare l’originale temporalità dello sviluppo del “Mezzogiorno”.
Molto diversi tra loro per temi analizzati, ambiti cronologici e approcci storiografici, i tre saggi che compongono la parte monografica di questo numero affrontano dunque tre questioni storiografiche: le origini del feudalesimo; il potere d’acquisto della moneta tra basso medioevo e prima età moderna; il meridionalismo. Lo fanno studiando uno o più casi regionali e i tempi della storia a essi collegati.
Giuseppe Albertoni e Karlo Ruzicic-Kessler
1Jürgen OSTERHAMMEL, Die Verwandlung der Welt. Eine Geschichte des 19. Jahrhunderts, München 2010, S. 116.
2Jacques LE GOFF, Must We Divide History Into Periods?, New York 2015, p. 17.
3Cfr. Patrick J. GEARY, The Myth of Nations. The Medieval Origins of Europe, Princeton 2002.
4Carlo GINZBURG, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino 1976 (nuova edizione Milano 2019); Emmanuel LE ROY LADURIE, Montaillou, village occitan de 1294 à 1324, Paris 1977 [ital.: Storia di un paese: Montaillou. Storia di un villaggio occitanico durante l’inquisizione, 1294–1324, Milano 1977].
5Natalie ZEMON DAVIS, The Return of Martin Guerre, Cambridge, MA 1983 [ital.: Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento, Torino 1984]; EADEM, Trickster Travels: a Sixteenth-Century Muslim between Worlds, New York 2006 [ital.: La doppia vita di Leone l’Africano, Roma/Bari 2008].
6Cfr. Chris WICKHAM, Framing the Early Middle Ages. Europe and the Mediterranean, 400–800, Oxford 2005 [ital.: Le società dell’alto medioevo. Europa e Mediterraneo, secoli V–VIII, Roma 2009].
Il beneficium tra trappole fatali e particolarismi regionali
Una proposta metodologica per una nuova periodizzazione di uno strumento di relazione nel regno italico (secc. VIII–X)
Manuel Fauliri
Periodizzare: una trappola fatale?
Negli ultimi decenni, all’interno di vivaci dibattiti storiografici, si è discusso a lungo in merito ai processi di transizione tra periodi diversi della storia medievale e sulle relative trasformazioni riscontrabili a seconda delle aree geografiche indagate. Negli anni Novanta del secolo scorso ad esempio, a seguito del progetto di ricerca internazionale intitolato The Transformation of the Roman World , è stata messa in atto una profonda opera di revisione e di messa in discussione nei confronti di tradizioni storiografiche da tempo consolidate. Nuove proposte interpretative, infatti, hanno permesso di evidenziare gli elementi di fluidità e di continuità tra antichità ed età medievale in contrasto con la lettura tradizionale che vedeva piuttosto una netta cesura coincidente con la caduta dell’Impero romano d’Occidente. 1 Negli stessi anni, d’altro canto, anche un tema come il feudalesimo è stato oggetto di intense discussioni che hanno visto emergere posizioni molto diverse arrivando in alcuni casi a proporre il superamento di tale concetto. 2
In tale cornice storiografica si inserisce anche il tema del beneficium , che tuttavia negli ultimi decenni è stato in parte accantonato dalla ricerca specie per quanto riguarda l’epoca altomedievale. Si tratta di uno strumento impiegato nella creazione di relazioni che tradizionalmente è stato letto come cardine del rapporto vassallatico-beneficiario, impiegato dunque prevalentemente in un contesto militare, e che sarebbe stato introdotto in Italia dai Franchi dopo la conquista del regno longobardo nell’estate del 774. 3 Anche per lo studio del beneficium si pone quindi un problema di periodizzazione, che d’altra parte si presenta in ogni indagine storica. In effetti, come ha ricordato Walter Pohl, “scrivere la storia richiede una riduzione della complessità del passato, che sarebbe altrimenti impossibile da raccontare” 4 , ma lo studioso austriaco ha osservato al tempo stesso che una riduzione eccessiva del passato rischierebbe di essere fuorviante ostacolando di fatto la ricostruzione della complessità storica. Ecco dunque che la periodizzazione è stata percepita da Julia Smith come una “trappola fatale per gli storici” 5 , sebbene tale operazione sia di fatto “indispensabile, quasi un respiro naturale del ragionamento storico” 6 , come ebbe modo di osservare Andrea Giardina in un saggio teso a riflettere sulla diffusione del concetto di tardoantico. Charles S. Maier ha notato, in particolare, come la periodizzazione sia volta a rispondere a una domanda implicita nel suo agire, vale a dire “cosa è importante?”, ma importante in un senso particolare “come nesso decisivo di una catena sequenziale o narrativa di ‘prima e dopo’” 7 , arrivando alla conclusione che la periodizzazione “è un concetto che non ha a che fare con gli avvenimenti, che possono essere separati in qualsiasi punto della loro successione cronologica, bensì con il loro significato.” 8
Appare dunque evidente nelle indagini storiche la necessità di ancorarsi a dei punti fermi, costituiti dalle date e dalle localizzazioni specifiche di determinati eventi, che vanno tuttavia collocati in una più ampia cornice storica sebbene comunque, come sottolineato da Glen Bowersock, “stabilire dove situarli è un atto di interpretazione”. 9 Al problema della periodizzazione si aggiunge quindi anche la questione della differenziazione a livello regionale, altro elemento di cui tenere conto nelle indagini storiche. Nell’analisi dei fenomeni storici entrambe le questioni sono in effetti imprescindibili e con esse lo storico si trova necessariamente a confrontarsi, per non rischiare di appiattire l’indagine su preconcetti temporali o su narrazioni basate su una dimensione nazionale che non tengano conto delle varietà locali. Anche nello studio di una forma di concessione come il beneficium si avverte, infatti, la necessità di esplorare un panorama geografico ampio che consenta comparazioni tra gli usi di tale strumento in vari contesti locali e di individuare riferimenti cronologici che, come si avrà modo di vedere, non siano obbligatoriamente vincolati alle partizioni temporali tradizionali.
In questo articolo intendo dunque analizzare il tema del beneficium nel regno italico di tradizione longobarda tenendo conto delle nuove prospettive storiografiche, non numerose ma significative, che negli ultimi anni sono emerse soprattutto in ambito tedesco e anglosassone. Si tratta di ricerche preliminari che andrebbero ulteriormente sviluppate ma che ho cercato di avviare non tanto per rispondere in maniera netta all’annosa questione relativa alla continuità o discontinuità che la conquista carolingia comportò per il regno italico, ma per provare a comprendere in che modo lo strumento del beneficium , nei primi decenni di occupazione franca e poi nella fase successiva, abbia permesso la formazione di nuove reti di rapporti e in che misura si sia rivelato uno strumento utile per creare una nuova coesione sociale. L’articolo è dunque suddiviso in due parti: la prima dedicata alle questioni storiografiche relative al tema, con particolare attenzione ai più recenti approcci che potrebbero offrire nuovi strumenti per indagare il beneficium anche nel contesto italico; nella seconda invece cercherò di affrontare, alla luce delle questioni discusse nella prima parte, alcuni casi particolarmente significativi per osservare gli usi e le principali caratteristiche dello strumento beneficiario.
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