Il colonnello lo scongiurò di tornare indietro, visto il pericolo del posto. «Per amor di Dio, eccellenza!» e si volgeva, per trovare appoggio, ad un ufficiale del seguito, il quale non gli diè retta. «Ma non vedete? non vedete?» e tendeva il dito alle palle che assiduamente sibilavano e stridevano loro intorno. Parlava in quel tono di preghiera e di rimprovero, con cui un legnaiuolo dice al signore: «Lasciate star la scure; noi altri la si conosce; ma voi non ne caverete che dei calli alle mani.» Parlava come se per sè personalmente le palle fossero innocue, e gli occhi suoi a mezzo coperti dalle flosce palpebre conferivano alle parole una più persuasiva espressione. L’ufficiale di stato maggiore si unì alle istanze del colonnello; ma Bagration non rispose verbo. Ordinò bensì di cessare il fuoco e di far posto ai due battaglioni che si avanzavano. Mentre così disponeva, un soffio di vento lacerò a destra la cortina grigia del fumo, e di botto si scoperse evidente l’altura opposta sulla quale i Francesi movevansi. Tutti gli occhi si volsero a quella colonna, che veniva avanti serpeggiando per le sinuosità delle rocce. Già si scorgevano i berrettoni di pelo, già si distinguevano gli ufficiali dai soldati, già si vedea sbattere contro l’asta la stoffa della bandiera.
— Marciano stupendamente! – disse qualcuno del seguito di Bagration.
La testa della colonna arrivava in quel punto sul piano. Lo scontro era imminente.
Gli avanzi del nostro reggimento, riordinandosi, appoggiarono a destra; di dietro a loro, spingendo via i più lenti a muoversi, si avanzavano compatti i due battaglioni del sesto cacciatori. Prima ancora di giungere fino a Bagration, udivasi lo strepito cadenzato del passo pesante di tutta la massa. Sul fianco sinistro, dalla parte di Bagration, incedeva il comandante, robusto, dalla faccia tonda e soddisfatta, quel medesimo che era sbucato in fretta dalla baracca. Non pensava ad altro, si vede, in quel momento, che a passar bravamente, in atteggiamento marziale, sotto gli occhi del superiore. Camminava molleggiandosi sulle gambe muscolose, come se galleggiasse, senza nessunissimo sforzo, distinguendosi così dal passo greve dei soldati. Teneva la sciabola dalla lama sottile con la punta in giù lungo la gamba (una lama ricurva che non somigliava ad un’arme), e volgendosi ora al generale, ora indietro, piegavasi svelto con tutto il busto poderoso, senza mai perdere il passo. Tutte le forze dell’animo avea concentrate nel far bella figura, e sentiva di farla, ed era felice. A sinistra, a sinistra, a sinistra! parea dire dentro di sè ad ogni passo; e in concorde cadenza, sul passo di lui, inoltravasi un muro fitto di figure soldatesche, diverse e severe, sotto il peso degli zaini e dei fucili; e pensavasi in vederle, che ciascuno di quegli uomini mentalmente ripetesse, come a portar la battuta: a sinistra... a sinistra... a sinistra... Un maggiore corpulento, che avea perduto il passo, girava ansimando intorno ad un cespuglio; un soldato rimasto indietro raggiungeva spaventato e di corsa la compagnia. Un proiettile, fendendo e premendo l’aria, volò sulla testa di Bagration e del seguito, e quasi accompagnando col sibilo acuto le parole: a sinistra... a sinistra... cadde nel folto della colonna. «Stringete le file!» suonò la voce squillante del comandante. I soldati procedettero, facendo arco intorno a quel posto dove la palla era caduta, e un vecchio sottufficiale, fermatosi un momento presso i morti, raggiunse la sua fila, mutò di piede con un salto, riprese il passo e si voltò indietro irritato. A sinistra... a sinistra... a sinistra... pareva venir fuori dal silenzio minaccioso di cento bocche, dallo strepito greve e monotono di centinaia di piedi.
— Bravi, ragazzi! – disse il principe Bagration.
— Evviva il generale! – si levò un sol grido dalle file. Un soldato dalla faccia burbera, pur gridando con gli altri, volse gli occhi a Bagration come per dirgli: «Lo sappiamo da noi che siam bravi»; un altro, senza voltarsi, per paura di distrarsi, spalancò la bocca, gridò e passò oltre.
Fu ordinato di fare alto e di deporre gli zaini.
Bagration percorse a cavallo le file, e poi smontò di sella. Diè ad un cosacco le briglie, si tolse e gli diè anche la casacca, stirò le gambe, si aggiustò in capo il berretto.
La testa di colonna francese, con gli ufficiali davanti, sbucò dal basso dell’altura.
— Con Dio! – gridò Bagration con voce sonante, volgendosi un momento al fronte dei battaglioni. Poi, leggermente dondolando le braccia, col passo disadatto del cavallerizzo, quasi a fatica, andò avanti sul terreno ineguale. Il principe Andrea si sentì afferrato e tratto da una forza invincibile, e provò in quell’istante una gioia ineffabile. 6
I Francesi erano già vicini, e il principe Andrea che andava a fianco di Bagration, distingueva chiaramente le sciarpe, i cinturini, le spalline rosse, i visi. Notò perfino un vecchio ufficiale, che veniva avanti a fatica, con le punte dei piedi volte in fuori, e afferrandosi qua e là ai cespugli. Bagration non diè altro comando; avanzava sempre in silenzio alla testa della colonna. Di botto fra le file dei Francesi scoppiò una scarica, una seconda, una terza, e un alto fumo le avvolse e parve che le travolgesse. Caddero dei nostri alcuni uomini, e fra essi il comandante dalla faccia marziale e paffuta. Nel punto stesso, che la prima scarica rompeva l’aria, Bagration si voltò indietro e gridò: «Urrà!»
«Urrà!» suonò alto il grido per tutta la linea, e passando oltre a Bagration, correndo gli uni sugli altri, in massa confusa ma impetuosa ed esultante, si precipitarono i nostri dietro le truppe francesi in pieno sbaraglio.
L’attacco del sesto cacciatori assicurò la ritirata del fianco destro. Al centro, la batteria dimenticata di Tuscin aveva appiccato il fuoco al villaggio ed arrestato il movimento dei Francesi. Occupati a spegnere l’incendio, che il vento facea divampare, i Francesi dettero tempo alla ritirata. La ritirata del centro attraverso il burrone si compì in fretta, rumorosamente, ma senza disordine. Ma il fianco sinistro, attaccato ed aggirato dalle forze soverchianti di Lannes, fu messo in rotta. Era costituito dai reggimenti di fanteria di Azow e di Podolia e dagli ussari di Paulograd. Bagration spiccò Gercow dal loro generale con l’ordine di ritirarsi immediatamente.
Gercow salutò militarmente, diè di sprone, e via come il lampo. Se non che, allontanatosi di poco, si sentì venir meno le forze. Una paura invincibile lo invase, e gl’impedì di correre dove il pericolo era imminente.
Arrivato in prossimità del fianco sinistro, si arrestò fuori tiro, e si diè a cercare il generale e gli altri capi, dove umanamente non potevano essere. Così, l’ordine di ritirata non fu trasmesso.
Il comando del fianco sinistro spettava per anzianità a quel medesimo comandante che, a Braunau, avea presentato a Kutusow il reggimento. In questo era incorporato Dolochow. Il comando poi dell’estrema sinistra era affidato al colonnello degli ussari di Paulograd, fra i quali serviva Rostow. I due comandanti erano irritatissimi l’uno contro l’altro, e mentre l’azione ferveva sul fianco destro, essi non erano occupati che a bisticciarsi e a scambiarsi ingiurie. I reggimenti, così di fanteria come di cavalleria, erano tutt’altro che preparati all’azione. Dall’ultimo soldato al generale, nessuno si aspettava un attacco. Tutti tranquillamente attendevano alle varie faccende, al foraggio, alla legna, alle caldaie.
— Il vostro capo è anziano di servizio, – diceva, rosso dalla stizza, il Tedesco che comandava gli ussari ad un aiutante mandatogli dall’altro comandante. – Faccia come gli pare. Io non sacrifico i miei uomini. Trombettiere! suonate la ritirata!
L’azione però incalzava. Tuonava a destra ed al centro il cannone; i tiragliatori di Lannes aveano oltrepassato la diga del mulino e si schieravano dalla nostra parte a due tiri di fucile. Il generale di fanteria si accostò con passo pesante al cavallo, montò in arcioni, si raddrizzò, galoppò verso il comandante degli ussari. Si vennero incontro l’un l’altro con inchini ossequiosi e col fiele nell’anima.
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