— Non mi piace niente affatto la vostra Bourienne...
— Oh, ma è così buona, affabile!... E poi, poveretta, non ha nessuno, nessuno al mondo. A dir la verità, a me non mi serve, anzi mi è d’impaccio. Io sono sempre stata una selvaggia, tu lo sai, ed ora peggio che mai. Mi piace star sola... Il babbo le vuole un gran bene. Con lei e con Michele Ivanic è sempre affabile e buono, perchè ha beneficato tutti e due: come dice Sterne: «noi non amiamo tanto gli uomini per il bene che ci fecero, quanto per quello che loro facemmo». Il babbo la raccolse orfana, sul lastrico, ed è buona assai, ti ripeto. Anche il suo modo di leggere gli piace, e la fa leggere tutte le sere ad alta voce. Legge benissimo.
— E tu, Maria, dimmi la verità, tu, credo, soffri qualche volta pel carattere del babbo? – domandò di botto il principe Andrea.
La sorella stupì sulle prime, poi fu quasi atterrita.
— Io? io?... Soffrire io?
— È stato sempre ispido, ma ora mi par divenuto anche pesante.
Voleva, si vede, farla arrabbiare o tastarne l’umore.
— Tu, Andrea, sei buono con tutti, ma hai una certa superbia, una temerità di giudizio, – disse la sorella, seguendo i propri pensieri anzi che il filo del discorso, e questo è un gran peccato. Ti pare che sia lecito giudicare il proprio padre? E dato pure che sia lecito e possibile, quale altro sentimento che la venerazione può destare un uomo come il babbo? Ed io son così contenta, così felice con lui... Piacesse a Dio che foste tutti felici come me!
Il fratello scosse incredulo la testa.
— L’unica cosa che mi addolora, te lo confesso francamente, Andrea, è il modo suo di pensare in materia di religione. Io non capisco come un uomo dotato di tanto ingegno non riesca a vedere quel che è chiaro come la luce del giorno! Questa si è la mia sola infelicità. Ma da poco in qua, fortunatamente, vedo un’ombra di miglioria. I suoi frizzi sono meno velenosi, e c’è anche un certo frate ch’egli ha ricevuto e col quale s’è intrattenuto a lungo.
— Ho paura, cara mia, che tu e il frate sciupiate la vostra polvere...
— Ah! ma io prego Dio con tutta l’anima, e spero che mi esaudirà... Intanto, Andrea, ho da chiederti un gran favore.
— Di che si tratta?
— No, promettimi prima che non mi dirai di no... È una cosa che non ti costerà nessuna fatica; niente che sia indegno di te. Promettimi via, Andreuccio!
Così dicendo, frugò nella sua borsa, e vi prese, senza cavarnelo, un oggetto cui certo si riferiva il favore richiesto. Non osava mostrarlo prima della solenne promessa; volgeva al fratello uno sguardo timido e supplichevole.
— Ancorchè m’avesse a costare una gran fatica...
— Prendila come più ti pare, Andrea... Io so che tu sei lo stesso preciso come il babbo... Prendila come vuoi, ma fallo per me, te ne prego! Anche il nonno, sai, la portò in tutte le guerre... Sicchè, me lo prometti?
— Prometto, sì, ma in somma?
— Andrea, io ti benedico con questa immagine, e tu promettimi che mai mai te la toglierai... Me lo prometti?
— Se non pesa tanto da farmi venire un torcicollo... per farti piacere... Via, via, non andare in collera... Ho scherzato... Sono invece contento, contentissimo.
— Mal tuo grado, senza che tu lo sappia, Egli ti salverà, sarà clemente per te, ti chiamerà a Sè, perchè in Lui solo è la verità, in Lui solo la pace.
Le tremava la voce, mentre in atto solenne con ambo le mani sollevava davanti al fratello un antico medaglione rappresentante il Salvatore, dalla faccia nera, in veste d’argento, attaccato ad una catenina anche d’argento finemente lavorata. Si fece il segno della croce, baciò l’immagine e gliela porse.
— Fallo per amor mio, Andrea.
I grandi occhi, raggianti di bontà e di tenerezza, le illuminavano di una singolare bellezza il viso scarno e sofferente. Il fratello fece atto di prender l’immagine, ma ella lo trattenne. Andrea capì, e consentì subito alla muta preghiera: si fece il segno della croce e baciò l’immagine. Era commosso, eppure alla commozione mescolavasi un’ombra d’ironia.
— Grazie, grazie, Andrea caro!
Lo baciò in fronte, tornò a sedere sul divano; stettero muti per qualche momento.
— Sicchè, io ti diceva, Andrea, sii buono e generoso come sempre fosti. Non esser severo con Lisa... È così cara, così buona, e poi anche il suo stato...
— Ma non mi pare di essere stato scortese con lei, di averle rimproverato qualche cosa. Perchè mi dici questo?
— Io non dico nulla. Ma da altri avrai già saputo... Ed è questo che mi addolora.
La fronte ed il collo le si coprirono di macchie rosse. Volea dire qualche cosa, ma non osò. Il fratello capì a volo: la piccola principessa, dopo il pranzo, avea pianto, avea espresso i suoi timori e il presentimento di un parto non felice, s’era lamentata della sorte, del suocero, del marito. Dopo le lagrime, s’era addormentata. Il principe Andrea ebbe pietà della sorella.
— Dà retta, Maria: io nulla posso rimproverare a mia moglie, nè mai mi accadde o mi accadrà di rimproverarla; e nemmeno me stesso ho motivo di rimproverare nei miei rapporti con lei... E sempre sarà così, quali che siano i casi della mia vita... Ma se proprio vuoi saper la verità, se vuoi sapere se son felice, ebbene, no, non lo sono! E nemmeno lei è felice. Perchè? Lo ignoro.
Si alzò, si chinò verso la sorella e la baciò in fronte. I begli occhi intelligenti gli brillavano d’una insolita luce, ma non che fissarsi su lei, guardavano verso l’ombra di là dall’uscio socchiuso.
— Andiamo da lei, bisogna congedarsi... Anzi no, vacci tu sola, destala, dille che vengo subito... Ehi, Pietruccio – gridò poi al cameriere; – vien qua... Metterai questa roba sul sedile, e questa qui nell’angolo a destra.
La principessina Maria si alzò, andò verso la porta, e si fermò un momento sulla soglia.
— Andrea, se tu avessi fede, ti volgeresti a Dio per pregarlo di darti l’amore che non senti, e la tua preghiera sarebbe ascoltata.
— Sì, non dico di no, – consentì il fratello. – Va, intanto, va, Maria; fra due minuti ti raggiungo.
Traversando la galleria per recarsi dalla sorella, il principe Andrea s’imbattè in madamigella Bourienne, che già per la terza volta in quel giorno gli capitava davanti nei passaggi meno frequentati, sempre vivace e sorridente.
— Ah! – esclamò ella facendosi rossa e abbassando gli occhi; – vi credevo in camera vostra...
Il principe la guardò di sbieco, sulla fronte e sui capelli, non già negli occhi, e con tanto disprezzo, che la vezzosa francese si dileguò senza aprir più bocca. Avvicinandosi alla camera della sorella, udì egli la vocina squillante della moglie che scarrucolava parole su parole. Pareva volersi ricattare del tempo perduto nel forzato silenzio del sonno.
— No, figuratevi!... La vecchia principessa Zubow, coi capelli finti, i denti finti, a far la zitellina... Ah, ah, ah, che ridere, Maria!
Quelle stesse frasi, quelle stesse risa a proposito della Zubow il principe Andrea le avea sentite cinque o sei volte. Pianamente entrò. La principessa, pienotta, rubiconda, con in mano il lavoro, seduta in poltrona, chiacchierava senza posa, rivangando i ricordi, i motti, le parole di Pietroburgo. Il marito le si accostò, la carezzò sui capelli, le domandò se dal viaggio erasi riavuta. Ella rispose, e subito riprese a discorrere.
La carrozza a sei cavalli era già da basso. La notte autunnale avvolgeva tutto nell’ombra, tanto che il cocchiere non riusciva nemmeno a distinguere il timone. Su e giù per le scale si affaccendavano uomini con lanterne. Tutte le alte finestre della casa splendevano di lumi. Nell’anticamera facean ressa i servi, desiderosi di accomiatarsi dal giovane signore. Nella sala, tutte le persone di casa: Michele Ivanic, madamigella Bourienne, la principessina Maria, la principessa Lisa. Il principe Andrea era stato chiamato nello studio del padre per un colloquio di addio a quattr’occhi. Tutti aspettavano che padre e figlio uscissero.
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