— Ah, amica cara! – rispose la principessina Maria, – vi ho già pregata di non parlarmi mai dell’umore del babbo. Io non mi permetto di giudicarlo, e non vorrei che altri lo facesse in vece mia.
Ciò detto, guardò all’orologio, e visto che erano già passati cinque minuti dall’ora degli esercizi musicali, entrò contrita e trepidante nel salotto. Da mezzogiorno alle due, secondo l’ordine prefisso, il principe riposava e la principessina suonava il pianoforte.
Il vecchio cameriere incipriato se ne stava a sedere dormicchiando e prestando ascolto al russar del principe nello studio. Dal fondo della casa, attraverso le porte chiuse, udivansi ripetere venti volte di fila i difficili passaggi della sonata di Dusset.
Si arrestarono in questo punto davanti alla scalea d’ingresso una carrozza e un carrozzino. Discese dalla carrozza il principe Andrea, porse la mano alla moglie perchè smontasse e la fece passare avanti. Il vecchio Ticone, sporto il capo in parrucca dalla porta del vestibolo, comunicò con un fil di voce che il principe riposava, e subito tornò a richiudere. Sapeva Ticone che nè l’arrivo del figlio, nè altri quali che fossero straordinari eventi, doveano turbare l’ordine stabilito. Il principe Andrea, si vede, lo sapeva anche: guardò all’orologio, come per vedere chi sa mai le abitudini del padre fossero mutate da che non lo vedeva, e accertatosi di no, si volse alla moglie.
— Fra venti minuti si alza. Andiamo da Maria, – disse.
La piccola principessa s’era alquanto arrotondata; ma gli occhi le brillarono lo stesso di allegria e il breve labbro coi baffetti si sollevò con l’usata grazia sorridente.
— Ma questo è un castello! – esclamò guardandosi intorno con quella espressione ammirativa con cui si loda chi abbia dato un gran ballo. – Su, presto, presto!
E sorrideva a Ticone, al marito, al maestro di casa.
— È Maria che si esercita, la cognatina. Andiamo adagio... Facciamo che non ci veda.
Il principe Andrea la seguiva, in aspetto rispettoso e melanconico.
— Ci facciamo vecchi, caro il mio Ticone, – disse al servo che gli baciava la mano.
Nella camera precedente il salotto, dal quale giungevano sempre gli accordi musicali, da un uscio laterale balzò fuori la bionda e vezzosa francese. Madamigella Bourienne pareva impazzita dal giubilo.
— Oh, che felicità per la principessina! – esclamò. – Finalmente! Bisogna avvertirla.
— No, no, di grazia, – pregò la principessa, baciandola. – Voi siete madamigella Bourienne... Io già vi conoscevo per l’amicizia che ha per voi la mia cognatina... Essa non ci aspetta!
Si avvicinarono alla porta del salotto, dal quale si udiva la ripetizione insistente di un medesimo passaggio. Il principe Andrea si fermò e corrugò la fronte, quasi aspettandosi qualche cosa di spiacevole.
La principessa entrò. Il passaggio si troncò a mezzo, e subito dopo, un grido, i passi pesanti della principessina Maria, uno scocco di baci. Quando il principe Andrea varcò la soglia, la moglie e la sorella, che solo una volta s’eran viste per un momento a tempo del suo matrimonio, si tenevano strette per le mani e premevano forte le labbra qua o là, dovunque capitava loro di posarle. Madamigella Bourienne, ritta vicino a loro, si comprimeva con le mani il cuore, sorrideva di tenerezza, era pronta a dare in un diluvio di lagrime o in uno scroscio di risa. Il principe Andrea scrollò le spalle e aggrottò le sopracciglia, come un dilettante di musica che sia ferito da una stonatura. Le due donne si lasciarono; poi di nuovo, quasi paurose di non fare in tempo, si afferrarono per le mani, ripresero a baciarsi, si staccarono, si riabbracciarono, si ribaciarono sulle guance, scoppiarono in pianto e tornarono ai baci. Madamigella Bourienne piangeva per consenso. Il principe, evidentemente, si sentiva a disagio; ma alle due donne pareva naturalissimo quel pianto, nè ammettevano che quell’incontro potesse avvenire altrimenti.
— Ah, Lisa cara!... Ah, Maria! – dicevano ad una voce e ridevano. – Io vi ho sognata. – Sicchè non ci aspettavate? – Ah, Maria, come siete dimagrata!
— E voi invece ingrassata...
— Io ho subito riconosciuto la principessa, – venne su madamigella Bourienne.
— Ed io non lo sospettavo nemmeno! – esclamò la principessina Maria. – Ah, Andrea, io non t’aveva visto.
Il principe Andrea scambiò un bacio con la sorella stringendole la mano, e le disse di averla trovata sempre la stessa piagnona. Ella si volse, e lo sguardo affettuoso, timido eppure ardente dei suoi begli occhi – grandi e luminosi in quel momento, – brillò fra le lagrime e si fermò sul fratello. La principessa parlava senza un minuto di riposo. Il breve labbro ornato di baffetti si abbassava e si alzava, mettendo in mostra i denti bianchissimi. Sorrideva la bocca, sorridevano gli occhi. Se sapessero che incidente era loro successo sulla montagna del Salvatore! che pericolo per una donna nella sua condizione!... Avea poi lasciati a Pietroburgo tutti i suoi vestiti, e Dio sa che roba avrebbe indossato qui, in campagna... Andrea era diventato tutt’un altro uomo... Titina Odinzova avea sposato un vecchio... Ma per lei, per la cara Maria, c’era in campo uno sposo per davvero. – Ma di questo discorreremo poi...
La principessina Maria seguitava a guardare il fratello, e gli occhi di lei esprimevano l’affetto e la tristezza. Oramai, si vedeva, s’era formato un concetto a sè, indipendente affatto dai discorsi della cognata. A metà d’un racconto sulle ultime feste di Pietroburgo, si volse al fratello.
— E tu, Andrea, hai proprio deciso di partir per la guerra? – domandò sospirando.
Lisa trasse anch’ella un sospiro.
— Parto domani, – rispose il principe.
— Mi lascia me qui, e Dio lo sa il perchè, mentre potrebbe anche ottenere una promozione...
La principessina Maria, seguendo il corso dei propri pensieri, non le diè di compir la frase, e accennò con uno sguardo affettuoso al grembo di lei.
— Proprio? – domandò.
— Sì, proprio, – rispose la principessa, facendosi seria. – Ah! che cosa terribile.
E si strinse col viso al viso della cognata, e tornò a piangere come prima.
— Ha bisogno di riposo, – disse il marito con piglio annoiato. – Non è vero, Lisa? Conducila da te, in camera tua, mentre io vado dal babbo. Che fa? sempre lo stesso?
— Sempre, sempre, checchè tu ne pensi, – rispose tutta lieta la sorella.
— Le stesse ore? le passeggiate pei viali? il tornio? – domandò il principe con un sorriso impercettibile, dal quale travedevasi che l’amor filiale e la stima pel padre non gl’impedivano di vedere e capire certe debolezze.
— Le stesse ore, lo stesso tornio, e poi la matematica e le mie lezioni di geometria, – rispose sempre allegra la principessina Maria, come se quelle sue lezioni di geometria costituissero una delle massime gioie della sua vita.
Passati i famosi venti minuti, Ticone venne a chiamare il giovane principe da parte del padre. In onore del figlio, il vecchio avea permesso, con una infrazione delle abitudini consacrate, che lo si facesse entrare, mentre egli si vestiva per la solennità del pranzo. Il principe vestiva all’antica, cioè in pastrano e cipria. Quando il figlio entrò (non già con la espressione di noncuranza che assumeva nei salotti, ma con la medesima vivacità che lo aveva animato nel discorrer con Piero), il padre sedeva in un seggiolone di cuoio, in accappatoio, abbandonando la testa nelle mani di Ticone.
— Ah, ah! l’uomo di guerra! Vuoi andare a batterti con Bonaparte, eh? – disse, scotendo la testa incipriata, per quanto glielo permetteva il codino che Ticone andava intrecciando. – Dagli sodo, veh, se no, prima o poi, ci scriverà anche noi fra i suoi sudditi. Benvenuto!
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