Io voglio insegnare agli uomini il senso della loro vita: chi è il superuomo, il lampo di quella oscura nube che è l'uomo.
Ma sono ancor lungi da essi e il senso mio non parla ai loro sensi. Per gli uomini io sono ancora un punto centrale tra pazzo e cadavere.
Buia è la notte, buie sono le vie di Zarathustra. Vieni, rigido e freddo compagno. Ti conduco al luogo ove ti seppellirò con le mie mani».
Allorchè Zarathustra ebbe detto questo al suo cuore, si caricò il cadavere sulle spalle e si pose in cammino. E non aveva ancora fatto cento passi, quando un uomo gli si avvicinò e gli sussurrò nell'orecchio – e vedi! Colui che parlava era il buffone della torre.
«Vattene via da questa città, o Zarathustra, diss'egli; qui troppi ti odiano. I buoni e i giusti ti odiano e ti chiamano loro nemico e spregiatore; ti odiano i credenti della vera fede e ti chiamano il pericolo della folla. Fu tua fortuna che si ridesse di te: e veramente tu parlavi a guisa di un buffone. Fu tua fortuna che tu ti accompagnassi al cane morto; abbassandoti così ti sei salvato per oggi. Ma vattene via da questa città; altrimenti domani io salterò sopra di te, un vivente sopra un cadavere». E quando ebbe detto ciò, disparve, l'uomo; ma Zarathustra continuò il cammino attraverso le vie tenebrose. Alle porte della città s'incontrò coi becchini: essi alzarono le fiaccole per vederlo in viso, riconobbero Zarathustra e si burlarono molto di lui. «Zarathustra porta con sè il cane morto: bravo, Zarathustra divenne becchino! Giacchè le nostre mani sono troppo pulite per questa vivanda. Vuol forse Zarathustra rubare la preda al diavolo? Ebbene! Buon appetito pel desinare! Purchè il diavolo non sia miglior ladro di Zarathustra! – Egli ruba entrambi, entrambi divora!». Ed essi ridevano fra di loro e bisbigliavano.
Zarathustra non disse parola e proseguì la sua via. Come ebbe camminato due ore lungo boschi e paludi, l'aver troppo a lungo udito l'urlo dei lupi destò anche in lui la fame. Si fermò quindi a una casa isolata, dove ardeva una luce.
«La fame mi assale come un brigante, disse Zarathustra. La fame mi assale tra i boschi e le paludi, nella notte profonda.
Meravigliosi capricci ha la mia fame. Sovente essa non mi viene che dopo il pasto, ed oggi non mi è venuta in tutto il giorno: dove s'è dunque indugiata?».
E Zarathustra picchiò alla porta della casa. Apparve un vecchio che portava il lume e chiese: «Chi viene a me e al mio cattivo sonno?»
«Un vivente ed un morto, disse Zarathustra. Datemi da mangiare e da bere, me ne dimenticai durante il giorno. Chi dà da mangiare agli affamati ristora la propria anima: così parla la sapienza».
Il vecchio si allontanò, ma tornò tosto indietro ed offerse a Zarathustra pane e vino. «È una cattiva contrada per gli affamati, diss'egli; per questo abito qui. Bestie e uomini vengono a me, solitario. Ma invita anche il tuo compagno a mangiare e a bere, egli è più stanco di te». Zarathustra rispose: «Morto è il mio compagno, e ve lo deciderei difficilmente». «Questo non mi riguarda, disse il vecchio arcigno; chi bussa alla mia porta deve prendere anche ciò che gli offro. Mangiate e state bene!».
Zarathustra camminò poi nuovamente per due ore, affidandosi alla via ed al chiaror delle stelle: giacchè egli era solito andar di notte, e amava guardare in faccia tutto ciò che dorme. Ma quando cominciò a spuntare il giorno, Zarathustra si trovò in un profondo bosco e non vide più alcun sentiero. Allora depose il morto nella cavità di un albero, all'altezza della sua testa – poichè voleva proteggerlo dai lupi – e si sdraiò per terra sul musco. E subito s'addormentò, stanco il corpo, ma con l'anima imperturbata.
A lungo dormì Zarathustra, e non l'aurora soltanto, ma anche il mattino gli passò sul volto. Gli si apersero gli occhi alla fine: meravigliato guardò Zarathustra nella foresta e nel silenzio, meravigliato guardò entro di sè. Poi s'alzò svelto, come il marinaio che vede improvvisamente la terra, e mandò un grido di giubilo poichè egli vedeva una nuova verità.
E così parlò quindi al suo cuore:
«Una luce è sorta in me: ho bisogno di compagni e di compagni viventi – non compagni morti e cadaveri, che porto con me dove voglio.
Ho bisogno di compagni viventi, i quali mi seguano, perchè vogliono seguire sè stessi – e là dove io voglio.
Una luce è sorta in me: Zarathustra non parli al popolo ma ai compagni! Zarathustra non deve essere il pastore e il cane di una mandra!
A distogliere molti dalla mandra – a questo io venni. Il popolo e la mandra devono irritarsi con me: il pastore mi chiamerà ladro.
Io dico pastori, ma essi si dicono i buoni e i giusti. Io dico pastori: ma essi si dicono i credenti della vera fede.
Guarda i buoni e i giusti! Chi odiano essi di più? Colui che spezza le loro tavole dei valori, il distruttore, il corruttore: – ma questi è colui che crea.
Compagni cerca colui che crea e non cadaveri e neppur mandre e credenti. Creatori come lui cerca il creatore, i quali scrivano nuovi valori su nuove tavole.
Compagni cerca il creatore, e mietitori che mietano con lui: giacchè in lui tutto è maturo per la messe. Ma a lui mancano le cento falci: sì che egli strappa irato le spiche.
Compagni cerca il creatore, e tali che sappiano affilare le proprie falci. Saranno chiamati distruttori e spregiatori del bene e del male. Ma essi sono i mietitori e i festeggiatori.
Zarathustra cerca compagni che con lui creino, mietano e facciano festa: che cos'ha egli di comune con le mandre, i pastori e i cadaveri?
E tu, mio primo compagno, riposa in pace! Ti seppellii bene nella cavità dell'albero, e bene ti nascosi ai lupi.
Ma io mi separo da te. Il tempo passa. Fra aurora e aurora mi giunse una nuova verità.
Non pastore debbo essere, non becchino. Non voglio parlare nuovamente al popolo: per l'ultima volta parlai a un morto.
Voglio accompagnarmi a chi crea, a chi miete, a chi festeggia: voglio mostrar loro l'arcobaleno e tutte le scale del superuomo.
Canterò la mia canzone ai solitari e a quelli che sono due nella solitudine; a chi ha ancora orecchie per l'inaudito, a questi voglio opprimere il cuore con la mia felicità.
Io tendo alla mia mèta, seguo la mia strada; salterò oltre gli esitanti e i lenti. Sia così mio il cammino la loro distruzione!».
Zarathustra aveva detto questo al suo cuore, quando il sole era a mezzogiorno: allora egli guardò in alto interrogando – poichè udiva sopra di sè l'acuto grido di un uccello. Ed ecco! Un'aquila volava a larghi cerchi per l'aria, e da essa pendeva un serpente, non come una preda ma come un amico: giacchè essa lo teneva avvolto intorno al collo.
«Ecco i miei animali!» disse Zarathustra, e si rallegrò di cuore.
«Il più superbo animale sotto il sole, e l'animale più astuto – sono andati ad esplorare.
Essi vogliono accertarsi se Zarathustra viva ancora. In verità vivo io ancora?
Trovai maggiori pericoli fra gli uomini che fra gli animali; per vie pericolose va Zarathustra. Possano guidarmi i miei animali!».
Allorchè Zarathustra ebbe detto ciò, ricordò le parole del santo nel bosco, e sospirando disse al suo cuore:
«Potessi essere più accorto! Potessi essere accorto, nel profondo, come il mio serpente!
Ma io chiedo l'impossibile; pregherò il mio orgoglio di accompagnarsi sempre alla mia saggezza!
E se mi abbandonasse un giorno la mia saggezza – ah, purtroppo essa ama volarsene via! – possa allora il mio orgoglio volarsene insieme con la mia follia!».
Così cominciò la discesa di Zarathustra.
I DISCORSI DI ZARATHUSTRA
DELLE TRE METAMORFOSI
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