1 ...7 8 9 11 12 13 ...17 Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza. E chi sa mai perchè il tuo corpo ha proprio bisogno della tua migliore sapienza?
Il tuo essere deride il tuo Io e i suoi salti orgogliosi. «Che cosa significano questi salti e questi voli del pensiero? – si dice. Soltanto un sentiero per giungere al mio scopo. Io sono il filo che lega l'Io e che gli inspira i suoi concetti».
L'essere dice all'Io: «Qui prova dolore!» Ed allora esso soffre e pensa come potrebbe cessar di soffrire – e appunto per questo deve pensare.
L'essere dice all'Io: «Qui prova piacere!» Allora esso si rallegra e pensa al modo di rallegrarsi spesso – e appunto a ciò deve pensare.
Voglio dir una parola agli sprezzatori del corpo. Il loro disprezzo è ciò che fa il loro valutare. Chi creò la stima e il disprezzo, la volontà e il valore?
L'essere creatore creò, per sè stesso, la stima e il disprezzo, la gioia e la pena. Il corpo creatore creò, per sè stesso, lo spirito, come una mano della sua volontà.
Perfino nella vostra follia e nel vostro disprezzo, voi siete servi del vostro essere, o sprezzatori del corpo. Io vi dico: il vostro stesso essere vuol morire e si distacca dalla vita.
Esso non può far più ciò che amerebbe far sempre: creare all'infuori di sè stesso. Ecco il suo desiderio più caro e fervente.
Ma è ormai troppo tardi, per lui: – il vostro essere vuol perire, o sprezzatori del corpo.
Il vostro essere vuole perire, perciò diveniste sprezzatori del corpo! Giacchè non v'è più possibile crear nulla all'infuori di voi.
E per questo voi odiate ora la vita e la terra. C'è un'invidia incosciente nell'occhio torvo del vostro disprezzo.
Non seguo la vostra via, o sprezzatori del corpo! Voi non siete per me i ponti verso il superuomo!
– Così parlò Zarathustra.
DEI PIACERI E DELLE PASSIONI
Fratello, se possiedi una virtù, e questa virtù è tua, tu non l'hai in comune con nessun altro.
Ma tu vuoi chiamarla per nome e vagheggiarla: vuoi prenderla per le orecchie e trastullarti con lei.
Ed ecco!
Ora hai in comune con gli altri il suo nome, e sei divenuto popolo e gregge con la tua virtù!
Faresti meglio a dire: «Ciò che fa il tormento e la dolcezza dell'anima mia è ineffabile, ed è anche ciò che desta la fame dei miei visceri».
Sia la tua virtù troppo elevata per la volgarità dei nomi: e se devi parlarne non ti vergognare che il tuo labbro balbetti.
Parla dunque e balbetta: «questo è il mio bene, che io amo; è così che mi piace appieno; così soltanto io voglio il bene.
Non lo voglio come legge d'un Dio, non lo voglio come legge o necessità umana: non mi sia guida al di là della terra e al paradiso.
È una virtù terrena quella ch'io amo: v'è in essa poca prudenza e ancor meno senso comune.
Ma quest'uccello costruì in me il suo nido: perciò lo amo e l'ho caro – siede ora in me su le sue uova dorate».
Così devi balbettare e lodar la tua virtù.
Una volta avevi passioni e le chiamavi cattive. Ma ora hai soltanto le tue virtù: esse crebbero sulle tue passioni.
Tu collocasti il tuo scopo più alto nell'intimo di quelle passioni: divennero così le tue virtù e le tue gioie.
E quando tu pure fossi della razza degli irosi o dei voluttuosi, o dei maniaci religiosi o dei vendicativi.
Tutte le tue passioni finirebbero per divenire virtù, angeli tutti i demoni.
Avevi un tempo cani selvaggi nei tuoi sotterranei: si mutarono alfine in uccelli e in graziose cantatrici.
Dai tuoi veleni stillasti il tuo balsamo; hai munto la tua vacca – ora tu bevi il dolce latte delle sue poppe.
E nulla di cattivo crescerà più da te, se non il male che nasce dalla lotta delle tue virtù.
Fratello, se hai fortuna, hai una virtù e non altro: così più facilmente passerai sopra il ponte.
È gran dignità posseder molte virtù, ma sorte pesante; e parecchi andaron nel deserto e s'uccisero perchè stanchi d'esser campo di battaglia alle virtù.
Fratello, è un male la guerra e la battaglia? Ma è un male necessario, e necessaria è l'invidia, la diffidenza e la calunnia fra le tue virtù.
Guarda, come ogni tua virtù brama ciò che v'è di più eccelso: essa vuole tutto il tuo spirito, affinchè questo sia il suo araldo, essa vuole l'intera tua forza nella collera, nell'odio e nell'amore.
Ogni virtù è gelosa delle altre e la gelosia è una cosa terribile. Le stesse virtù possono perire per causa della gelosia.
Chi è circondato dalla fiamma della gelosia rivolge infine contro sè stesso, come lo scorpione, l'aculeo avvelenato.
Ah, fratello mio, non vedesti tu mai una virtù calunniare e trafiggere sè stessa?
L'uomo è qualcosa che dev'essere superato: e perciò tu devi amare le tue virtù: – perchè perirai a causa di esse. –
Così parlò Zarathustra.
Voi non volete uccidere, giudici e sacrificatori, prima che la vittima non abbia accennato col capo? Ecco, il pallido delinquente, ha accennato: gli parla negli occhi un grande disprezzo.
«Il mio Io è qualcosa che deve essere superato: il mio Io è il mio grande disprezzo dell'uomo». Così dice il suo sguardo.
Il suo momento supremo fu quello nel quale egli giudicò sè medesimo: non lasciate che il sublime ricada nella bassezza!
Non v'è altra redenzione, per chi soffre tanto a causa di sè, che una sùbita morte.
Il vostro omicidio, o giudici, dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete badate a giustificare la vita!
Non basta riconciliarvi con colui che uccidete. La vostra tristezza sia l'amore del superuomo, così vi giustificherete di sopravvivere!
«Nemico» dovete dire, ma non «scellerato». «Malato» dovete dire, ma non «furfante»; «demente» ma non «peccatore».
E tu, rosso giudice, se volessi dire ad alta voce tutto ciò che hai già commesso nei tuoi pensieri: ognun griderebbe «via questa immondizia e questo veleno!».
Ma altra cosa è il pensiero, altra cosa l'atto, ed altra l'imagine dell'atto. La ruota della causalità non gira tra di esse.
Un'imagine rese pallido quell'uomo. Egli era degno della sua azione allorchè la commise: ma non ne sopportò l'imagine allorchè l'ebbe compiuta.
Rivide sempre sè stesso quale autore d'un fatto. Io chiamo questo follia; l'eccezione divenne natura.
Una linea paralizza la gallina: il colpo da lui eseguito paralizzò la sua povera ragione – io chiamo ciò follie dopo l'atto.
Udite, o giudici! Vi è ancora un'altra follia: è quella prima dell'atto. Ah, voi non penetraste a fondo in quell'anima!
Così parlò il rosso giudice: «Perchè questo delinquente ha ucciso? Voleva rubare». Ma io vi dico: la sua anima era assetata di sangue, non di rapine: egli aveva sete della voluttà del coltello.
Ma la sua ragione non comprendeva una tale follia e lo persuase. «Che importa il sangue? disse; non vuoi tu almeno, in questo momento, rubare? O fare vendetta?».
Ed egli ascoltò la sua povera ragione: le sue parole pesavano su di lui come piombo – e allora rubò mentre uccideva. Egli non voleva vergognarsi della sua follia.
E nuovamente pesava ora su di lui il piombo della sua colpa, e una volta ancora la sua povera ragione è così intorpidita, così paralizzata, così pesante.
Potesse egli almeno scuoter la testa, crollerebbe il suo peso: ma chi scuote quel capo?
Che cos'è quest'uomo? Una quantità di malattie che agiscono mediante lo spirito sul mondo esteriore e vogliono farsi un bottino.
Che cos'è quest'uomo? Un groviglio d'irrequieti serpenti che di rado si sopportano insieme – allora vanno, ognuno da sè, a cercare la preda nel mondo.
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