Fortunatamente, se il vento fu fortissimo, il mare, protetto dalla costa, non ingrossò molto. Non si ebbero, dunque, a temere le ondate, che sono un gran pericolo per le piccole imbarcazioni. Il Bonadventure non si sarebbe capovolto, giacché era ben zavorrato; ma grossi colpi di mare in coperta avrebbero potuto comprometterlo, se i boccaporti non avessero resistito. Pencroff, da abile marinaio, fronteggiò ogni evento. Certo, aveva una fiducia estrema nella sua imbarcazione; tuttavia, aspettava il giorno con una certa ansietà.
Durante quella notte, Cyrus Smith e Gedeon Spilett non ebbero occasione di parlare fra loro, e nondimeno la frase pronunciata dall’ingegnere all’orecchio del giornalista esigeva che si discutesse ancora circa la misteriosa influenza, che sembrava regnare sull’isola di Lincoln. Gedeon Spilett non cessò di pensare al nuovo fatto inesplicabile, a quell’apparizione d’un fuoco sulla costa dell’isola. Eppure quel fuoco egli l’aveva veduto! E i suoi compagni, Harbert e Pencroff, l’avevano veduto come lui! Quel fuoco aveva loro servito a riconoscere la posizione dell’isola in quella notte oscura, ed essi non potevano pensare che non fosse stata la mano dell’ingegnere ad accenderlo, ed ecco che Cyrus Smith dichiarava formalmente di non aver fatto nulla di simile!
Gedeon Spilett si propose di ritornare sull’incidente appena il Bonadventure avesse fatto ritorno a GraniteHouse, nonché di consigliare Cyrus Smith di mettere tutti i compagni al corrente di quegli strani fatti. Forse allora avrebbero deciso di fare in comune un’investigazione completa di tutte le parti dell’isola di Lincoln.
Comunque sia, quella sera nessun fuoco s’accese sulle rive ancora sconosciute, che formavano l’entrata del golfo, e la piccola imbarcazione continuò a tenersi al largo durante tutta la notte.
Quando le prime luci dell’alba si mostrarono all’orizzonte, il vento, ch’era un poco diminuito, girò di due quarte e permise a Pencroff d’imboccare più facilmente la stretta entrata del golfo. Verso le sette della mattina, il Bonadventure, dopo aver preso l’andatura di buon braccio verso il capo MandibolaNord, entrava prudentemente nello stretto e si arrischiava in quelle acque, chiuse nella più strana cornice di lave.
«Ecco,» disse Pencroff «un tratto di mare che formerebbe una magnifica rada, in cui una flotta potrebbe compiere evoluzioni a suo agio!»
«Quello che è soprattutto singolare,» fece osservare Cyrus Smith «è che questo golfo è stato formato da due colate di lava, eruttate dal vulcano e accumulatesi in seguito a eruzioni successive. Ne risulta che il golfo stesso è completamente riparato da tutti i lati, e ritengo che, anche con il peggior vento, il mare vi sia calmo come un lago.»
«Indubbiamente,» riprese il marinaio «poiché il vento per penetrarvi non ha che questa stretta gola scavata fra i due capi, e inoltre il capo Nord protegge quello Sud, in modo da rendere difficilissima l’entrata delle raffiche. Il nostro Bonadventure potrebbe davvero rimanervi da un capo all’altro dell’anno, senza che la catena dell’ancora venga messa in forza!»
«È un po’ grande per lui» osservò il giornalista.
«Eh, signor Spilett,» rispose il marinaio «penso anch’io che sia un po’ troppo grande per il Bonadventure, ma se le flotte dell’Unione hanno bisogno di un ridosso sicuro nel Pacifico, credo che non troveranno mai luogo migliore di questa rada.»
«Siamo nella gola del Pescecane» fece allora osservare Nab, alludendo alla forma del golfo.
«In piena gola, mio bravo Nab!» rispose Harbert «ma non avete paura ch’essa si chiuda su di noi?»
«No, signor Harbert,» rispose Nab; «eppure questo golfo non mi piace molto! Ha una fisionomia malvagia!»
«Bravo!» esclamò Pencroff. «Ecco Nab che disprezza il mio golfo, proprio mentre io medito di farne omaggio all’America!»
«Ma le acque sono profonde, almeno?» chiese l’ingegnere; «poiché ciò che basta per la chiglia del Bonadventure non basterebbe certo a quella delle nostre corazzate.»
«Si fa presto a verificare» rispose Pencroff.
E il marinaio mise in acqua una lunga corda, che gli serviva da scandaglio, alla quale era dato volta un pezzo di ferro. Essa misurava circa cinquanta braccia, e si svolse tutta senza toccare il fondo.
«Via!» fece Pencroff. «Le nostre corazzate possono entrare! Non s’incaglieranno!»
«Infatti,» disse Cyrus Smith «questo golfo è un vero abisso; ma, tenendo conto dell’origine plutonica dell’isola, non può stupire che il fondo del mare offra simili depressioni.»
«Si direbbe anche» fece osservare Harbert «che queste muraglie siano state tagliate a picco, e sono convinto che ai loro piedi, pur con uno scandaglio cinque o sei volte più lungo, Pencroff non troverebbe fondo.»
«Tutto questo va bene» disse allora il giornalista; «ma farò notare a Pencroff che alla sua rada manca una cosa importante.»
«Quale, signor Spilett?»
«Una spaccatura qualunque, che dia accesso all’interno dell’isola. Non vedo un punto su cui si possa metter piede!»
Infatti, le alte pareti di lava, molto scoscese, non offrivano, su tutto il perimetro del golfo, un solo punto propizio per uno sbarco. Era un’insormontabile cortina, che ricordava i fiordi della Norvegia. Il Bonadventure, pur rasentando quelle alte muraglie fino a toccarle, non trovò nemmeno una sporgenza che potesse permettere ai passeggeri di scendere a terra.
Pencroff si consolò dicendo che, con l’aiuto delle mine, quella muraglia sarebbe stata sventrata quando fosse stato necessario, e poiché non c’era assolutamente nulla da fare in quel golfo, diresse l’imbarcazione verso la stretta imboccatura aperta fra i due promontori e ne uscì verso le due circa del pomeriggio.
«Auf!» fece Nab, mandando un sospiro di soddisfazione.
Si sarebbe proprio detto che il bravo negro non si sentiva a suo agio entro quell’enorme mascella!
Dal capo Mandibola alla foce del Mercy non c’erano che otto miglia circa. Si mise dunque in rotta verso GraniteHouse e il Bonadventure, andando di buon braccio, costeggiò a un miglio da terra.
Alle enormi rocce laviche successero, poco dopo, le dune capricciose, fra cui l’ingegnere era stato tanto singolarmente ritrovato e che gli uccelli marini frequentavano a centinaia.
Verso le quattro, Pencroff, lasciando alla sua sinistra la punta dell’isolotto, entrava nel canale che lo separava dalla costa, e alle cinque l’ancora del Bonadventure mordeva il fondo sabbioso alla foce del Mercy.
Da tre giorni i coloni avevano lasciato la loro dimora. Ayrton li aspettava sulla spiaggia e mastro Jup andò loro incontro allegramente, con grugniti di soddisfazione.
L’intera esplorazione delle coste dell’isola era, dunque, compiuta, e nessuna traccia sospetta era stata rilevata. Se qualche essere misterioso vi risiedeva, non poteva trovarsi che nel fitto dei boschi impenetrabili della penisola Serpentine, là dove i coloni non avevano ancora spinto le loro indagini.
Gedeon Spilett parlò di queste cose con l’ingegnere e tutt’e due convennero di attirare l’attenzione dei loro compagni sullo strano carattere di certi casi avvenuti sull’isola, l’ultimo dei quali era anche il più inesplicabile.
Pure Cyrus Smith, ritornando sul fatto del fuoco acceso da mano ignota sul litorale, non poté fare a meno di chiedere per la ventesima volta al cronista:
«Ma siete sicuro d’aver visto bene? Non si trattava di un’eruzione parziale del vulcano, di una meteora qualunque?»
«No, Cyrus,» rispose il giornalista «era certamente un fuoco acceso dalla mano dell’uomo. Del resto, interrogate Pencroff e Harbert. Essi hanno visto, come ho visto io stesso, e confermeranno le mie parole.»
Ne seguì che, alcuni giorni dopo, il 25 aprile, durante la serata, quando tutti i coloni erano riuniti sull’altipiano di Bellavista, Cyrus Smith prese la parola, dicendo:
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