Jules Verne - L’Isola Misteriosa

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L’Isola Misteriosa: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo straordinario romanzo presenta non poche analogie con Robinson Crusoe, dello scrittore inglese Defoe, di cui Verne era un grande ammiratore. Anche qui, la situazione è press’a poco la stessa: alcuni naufraghi approdano fortunosamente su un’isola deserta e lottano disperatamente per sopravvivere. Ma se Robinson, di fronte alla natura selvaggia, incarnava l’uomo del ‘700, che si industria come può, ricorrendo ai piccoli espedienti suggeritigli dalla ragione, senza altri strumenti che le proprie mani, i cinque naufraghi protagonisti di questo libro incarnano la nuova idea dell’uomo «scientifico» qual era concepito nella seconda metà dell’800, l’uomo che domina ormai la natura in virtù di una tecnologia progredita che gli permette di trasformare rapidamente un’isola selvaggia in una colonia civile. Non a caso Robinson è un uomo comune, un marinaio, ed è solo, a lottare contro le forze cieche della natura, mentre qui siamo dì fronte a una vera e propria équipe, composta da persone di estrazione e di competenze diverse, ma guidata da un ingegnere e scienziato, Cyrus Smith…

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Il Bonadventure passò davanti a quella costa alla distanza di mezzo miglio. Fu facile vedere che si componeva di massi delle più svariate dimensioni, da venti fino a trecento piedi di altezza, e di tutte le forme, cilindrici come rulli, prismatici come campanili, piramidali come obelischi, conici come ciminiere di fabbriche. Una banchisa di mare glaciale non sarebbe stata più capricciosa nel suo sublime orrore! Qui, ponti gettati da uno scoglio all’altro; là, arcate disposte come quelle di una navata di cattedrale, di cui lo sguardo non poteva scoprire la profondità; in un punto, larghi incavi, le cui volte avevano un aspetto monumentale; in un altro, una vera folla di punte, di piccole piramidi, di guglie, come nessuna cattedrale gotica ha mai potuto vantare. Tutti i capricci della natura, più variati ancora di quelli dell’immaginazione, ornavano il litorale grandioso, che si prolungava per una lunghezza di otto o nove miglia.

Cyrus Smith e i suoi compagni guardavano con un sentimento di sorpresa, che confinava con la stupefazione. Ma se essi rimanevano muti, Top non si peritava di emettere latrati, che destavano i mille echi della muraglia basaltica. L’ingegnere osservò che quei latrati avevano qualche cosa di strano, proprio come quelli fatti udire dal cane alla bocca del pozzo di GraniteHouse.

«Andiamo ancora sotto costa» disse.

E il Bonadventure andò a randeggiare lungo gli scogli. Esisteva forse là qualche grotta, che conveniva esplorare? Ma Cyrus Smith non vide nulla: non una caverna, non un’anfrattuosità, che potesse servire di rifugio a un essere qualsiasi, poiché la base delle rocce era sotto il livello delle acque. Poco dopo i latrati di Top cessarono e l’imbarcazione tornò in rotta ad alcune gomene dal litorale.

Nella parte nordovest dell’isola, il lido ridivenne piano e sabbioso. Rari alberi si profilavano sopra una terra bassa e paludosa, che i coloni avevano già intravista, e, con contrasto violento con l’altra costa deserta, la vita vi si manifestava con la presenza di miriadi d’uccelli acquatici.

La sera, il Bonadventure ormeggiò in un piccolo seno della costa, a nord dell’isola, vicino a terra, talmente le acque erano profonde in quel punto. La notte passò tranquillamente, perché la brezza cessò con le ultime luci del giorno e non riprese che con le prime sfumature dell’alba.

Siccome era facile prendere terra quella mattina, i cacciatori ufficiali della colonia, cioè Harbert e Gedeon Spilett, andarono a fare una passeggiata di due ore e ritornarono con parecchie filze di beccaccini e anatre. Top aveva fatto prodigi e non un capo di selvaggina era andato perduto, grazie al suo zelo e alla sua destrezza.

Alle otto del mattino, il Bonadventure salpava e filava rapidissimamente verso il capo MandibolaNord, andando in fil di ruota mentre il vento tendeva a rinfrescare.

«Del resto,» disse Pencroff «non mi meraviglierei che si preparasse qualche burrasca da ovest. Ieri il sole è tramontato su un orizzonte molto rosso e stamane vedo delle «code di gatto» che non promettono nulla di buono.»

Le «code di gatto» erano cirri lunghi e sottili, sparpagliati allo zenit, e la cui altezza sul livello del mare non è mai inferiore ai cinquemila piedi. Si sarebbero detti leggeri batuffoli di ovatta, e la loro presenza annuncia generalmente l’approssimarsi di qualche perturbazione atmosferica.

«Bene,» disse Cyrus Smith, «spieghiamo tutta la tela possibile e andiamo a ridosso nel golfo del Pescecane. Credo che il Bonadventure vi si troverà al sicuro.»

«Benissimo» rispose Pencroff; «d’altronde, la costa nord è formata di dune di scarso interesse.»

«Non mi dispiacerebbe» soggiunse l’ingegnere «passare non solo la notte, ma anche tutta la giornata di domani in questa baia, che merita d’essere esplorata con ogni cura.»

«Credo che vi saremo costretti, lo vogliamo o no» rispose Pencroff; «giacché l’orizzonte comincia a diventare minaccioso verso ovest! Guardate come s’oscura!»

«A ogni modo, abbiamo vento favorevole per raggiungere il capo Mandibola» osservò il giornalista.

«Vento buonissimo» rispose il marinaio; «ma per entrare nel golfo, bisognerà bordeggiare, e mi piacerebbe vederci chiaro in quei paraggi che non conosco!»

«Paraggi che devono essere seminati di scogli,» aggiunse Harbert «se dobbiamo giudicare da quanto abbiamo veduto sulla costa sud del golfo del Pescecane.»

«Pencroff,» disse allora Cyrus Smith «fate ciò che credete meglio. Ci rimettiamo a voi.»

«State tranquillo, signor Cyrus,» rispose il marinaio «non mi esporrò senza necessità! Preferirei una coltellata nella mia opera viva, che andare su uno scoglio con quella del mio Bonadventure!»

Ciò che Pencroff chiamava opera viva era la parte immersa dello scafo, alla quale egli teneva più che alla sua stessa pelle!

«Che ora è?» chiese Pencroff.

«Le dieci» rispose Gedeon Spilett.

«Che distanza ci separa dal capo, signor Cyrus?»

«Circa quindici miglia» rispose l’ingegnere.

«È questione di due ore e mezzo» disse allora il marinaio. «Saremo all’altezza del capo fra mezzogiorno e l’una. Sfortunatamente, la marea diventa discendente in quel momento, e il riflusso uscirà dal golfo. Temo molto che sarà difficile entrarvi, avendo vento e mare contrari.»

«Tanto più che oggi è luna piena» fece osservare Harbert; «e le maree d’aprile sono fortissime.»

«Bene, Pencroff,» domandò Cyrus Smith «non potete dare fondo alla punta del capo?»

«Gettare l’ancora vicino a terra, con cattivo tempo in vista?» esclamò il marinaio. «Ci pensate, signor Cyrus? Sarebbe proprio voler finire in costa!»

«Allora, che cosa farete?»

«Cercherò di tenermi al largo fino all’ora del flusso, vale a dire sino alle sette della sera; e poi, se sarà ancora abbastanza chiaro, tenterò di entrare nel golfo; altrimenti, ci terremo sui bordi per tutta la notte ed entreremo domani al sorgere del sole.»

«Ve l’ho detto, Pencroff, ci rimettiamo a voi!» disse Cyrus Smith.

«Ah!» fece Pencroff «se ci fosse un faro su questa costa, sarebbe più comodo per i naviganti!»

«Sì» rispose Harbert; «ma questa volta non avremo l’ingegnere compiacente che ci accenda un fuoco per guidarci in porto!»

«To’! È vero, caro Cyrus,» disse Gedeon Spilett «non vi abbiamo mai ringraziato; ma, francamente, senza quel fuoco, non avremmo mai potuto raggiungere…»

«Un fuoco?» chiese Cyrus Smith, meravigliatissimo delle parole del cronista.

«Vogliamo dire, signor Cyrus,» spiegò Pencroff «che fummo assai preoccupati a bordo del Bonadventure durante le ultime ore che precedettero il nostro ritorno, e saremmo passati sottovento all’isola, se non fosse stato per la precauzione da voi presa, la notte dal 19 al 20 ottobre, di accendere un fuoco sull’altipiano di GraniteHouse.»

«Ah, si, si! Ebbi proprio una felice idea in quell’occasione!» rispose l’ingegnere.

«Ma questa volta,» seguitò il marinaio «a meno che questo pensiero non venga ad Ayrton, non ci sarà nessuno che ci renda questo piccolo servigio!»

«No! Nessuno!» rispose Cyrus Smith.

Ma pochi istanti dopo, trovandosi solo con il giornalista sulla prua dell’imbarcazione, l’ingegnere si chinò al suo orecchio per dirgli:

«Se c’è al mondo una cosa sicura, Spilett, è che io non ho acceso nessun fuoco nella notte dal 19 al 20 ottobre, né sull’altipiano di GraniteHouse, né in alcun’altra parte dell’isola!»

CAPITOLO XX

LA NOTTE IN MARE «IL GOLFO DEL PESCECANE» CONFIDENZE «PREPARATIVI PER L’INVERNO» PRECOCITÀ DELLA CATTIVA STAGIONE «GRANDI FREDDI» LAVORI INTERNI «DOPO SEI MESI» UN NEGATIVO FOTOGRAFICO «AVVENIMENTO INATTESO»

LE COSE andarono come aveva previsto Pencroff, giacché i suoi presentimenti non potevano sbagliare. Il vento rinforzò, e da teso passò allo stato di temporale moderato, acquistò, cioè, una velocità da quaranta a quarantacinque miglia l’ora, per cui un bastimento in alto mare avrebbe serrato i velacci e fatto prendere tutte le mani dei terzaroli. Ora, siccome erano circa le sei quando il Bonadventure giunse all’altezza del golfo, e appunto allora il riflusso si faceva sentire, fu impossibile entrarvi. Bisognò quindi tenersi al largo, perché, anche se l’avesse voluto, Pencroff non avrebbe potuto raggiungere la foce del Mercy. Per cui, dopo aver alzato il fiocco all’albero maestro a guisa di trinchettina di fortuna, attese mettendo la prora verso terra.

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