Ebbero luogo anche alcune belle cacce, durante i grandi freddi, nelle vaste paludi delle tadorne. Gedeon Spilett e Harbert, aiutati da Jup e da Top, non fallivano un colpo in mezzo a quella miriade di anatre, di beccaccini, di arzavole, di codoni e di vanelli. L’accesso a quel territorio, così ricco di selvaggina, era facile, del resto, sia per la strada di Porto Pallone, passato il ponte del Mercy, sia girando le rocce della punta del Relitto. I cacciatori non s’allontanavano mai da GraniteHouse più di due o tre miglia.
Così passarono i quattro mesi dell’inverno, che furono veramente rigidi, cioè giugno, luglio, agosto e settembre. Ma, insomma, GraniteHouse non soffri troppo delle, inclemenze del tempo e lo stesso poteva dirsi del recinto, il quale, meno esposto dell’altipiano e protetto in gran parte dal monte Franklin, non riceveva i colpi di vento, se non smorzati dalle foreste e dalle alte rupi del litorale. I guasti furono, quindi, poco importanti e la mano operosa e provetta di Ayrton bastò a ripararli rapidamente, quando, nella seconda quindicina d’ottobre, egli ritornò per alcuni giorni al recinto.
Durante quell’inverno non avvenne alcun nuovo fatto inesplicabile. Nulla di strano accadde, benché Pencroff e Nab stessero attenti a cogliere i fatti più insignificanti, che avessero potuto collegarsi a una causa misteriosa. Nemmeno Top e Jup giravano più attorno al pozzo, né davano segno d’inquietudine. Pareva, dunque, che la serie degli incidenti soprannaturali si fosse interrotta, quantunque se ne discutesse spesso durante le serate a GraniteHouse, e rimanesse definitivamente convenuto che l’isola sarebbe stata frugata sin nelle sue parti più difficili a esplorarsi; Ma un avvenimento della più alta importanza, le cui conseguenze avrebbero potuto riuscire funeste, venne a distogliere momentaneamente dai loro propositi Cyrus Smith e i suoi compagni.
Era il mese di ottobre. La bella stagione ritornava a gran passi. La natura si rinnovava sotto i raggi del sole, e in mezzo al fogliame perenne delle conifere che formavano il lembo dei boschi, apparivano già le foglie nuove dei bagolari, delle banksie e dei deodora.
Si ricorderà che Gedeon Spilett e Harbert avevano preso più volte delle vedute fotografiche dell’isola di Lincoln.
Ora, il 17 di ottobre, verso le tre del pomeriggio, Harbert, sedotto dalla purezza del cielo, pensò di ritrarre tutta la baia dell’Unione di fronte all’altipiano di Bellavista, dal capo Mandibola fino al capo Artiglio.
L’orizzonte era mirabilmente nitido e visibile, e il mare, ondulato da una debole brezza, presentava sullo sfondo l’immobilità delle acque d’un lago, picchiettate qua e là di pagliuzze luminose.
L’obiettivo era stato collocato a una delle finestre del salone di GraniteHouse e, di conseguenza, dominava la spiaggia e la baia. Harbert procedette come di solito, e, ottenuto il negativo, andò a fissarlo per mezzo delle apposite sostanze, ch’erano depositate nella camera oscura di GraniteHouse.
Tornato in piena luce, Harbert esaminò bene il suo negativo e vi scoperse un puntino quasi impercettibile, che macchiava l’orizzonte del mare. Provò a farlo sparirei lavando ripetutamente, ma non vi riuscì.
«È un difetto del vetro», pensò.
E allora ebbe la curiosità d’esaminare quel difetto con una forte lente, che svitò da uno dei binocoli.
Ma appena ebbe guardato, cacciò un grido, e poco mancò che il negativo gli sfuggisse di mano.
Correndo subito nella camera ove si trovava Cyrus Smith, porse il negativo e la lente all’ingegnere, indicandogli la piccola macchia.
Cyrus Smith esaminò quel punto; poi afferrando il suo cannocchiale, si precipitò alla finestra.
Il cannocchiale, dopo aver percorso lentamente l’orizzonte, si fermò alla fine sul punto sospetto, e Cyrus Smith, abbassandolo, pronunciò questa sola parola:
«Nave!»
Infatti, una nave era in vista dell’isola di Lincoln!
FINE DELLA SECONDA PARTE
Parte Terza
IL SEGRETO DELL’ISOLA
CAPITOLO I
ROVINA O SALVEZZA? «AYRTON RICHIAMATO» DISCUSSIONE IMPORTANTE «NON È IL «DUNCAN»«BASTIMENTO SOSPETTO «PRECAUZIONI NECESSARIE» LA NAVE SI AVVICINA «UNA CANNONATA» IL BRIGANTINO GETTA L’ANCORA IN VISTA DELL’ISOLA «.CALA LA NOTTE»
DA DUE ANNI e mezzo i naufraghi del pallone erano stati gettati sull’isola di Lincoln e nessuna comunicazione era stata ancora possibile fra essi e i loro simili. Una volta il giornalista aveva tentato di mettersi in contatto con il mondo abitato, affidando a un uccello uno scritto rivelante il segreto della loro situazione, ma si trattava di una probabilità sulla quale era impossibile fare un serio assegnamento. Solo Ayrton, nelle note circostanze, era venuto ad aggiungersi ai membri della piccola colonia. E ora, ecco che quel giorno, il 17 ottobre, altri uomini apparivano inopinatamente in vista dell’isola, su quel mare costantemente deserto!
Nessun dubbio era possibile! Laggiù v’era una nave! Ma sarebbe passata al largo o avrebbe approdato? Da li a poche ore, evidentemente, i coloni avrebbero saputo a che partito appigliarsi.
Cyrus Smith e Harbert avevano subito chiamato Gedeon Spilett, Pencroff e Nab nel salone di GraniteHouse e li avevano informati di quanto accadeva. Pencroff, afferrando il cannocchiale, percorse rapidamente l’orizzonte, e fermandosi sul punto, che aveva prodotto l’impercettibile macchia sulla negativa fotografica:
«Per mille diavoli! È proprio una nave!» disse con voce che non esprimeva una eccessiva soddisfazione.
«Viene verso di noi?» domandò Gedeon Spilett.
«Non è ancora possibile precisar nulla,» rispose Pencroff «perché solo la sua alberatura è visibile sull’orizzonte e non si scorge nessuna parte dello scafo.»
«Che cosa bisogna fare?» domandò il ragazzo.
«Aspettare» rispose Cyrus Smith.
E per non breve spazio, di tempo i coloni rimasero silenziosi, in preda a tutti i pensieri, a tutte le emozioni, a tutti i timori, a tutte le speranze, che poteva far nascere in loro quell’avvenimento, il più grave che fosse accaduto dal loro arrivo all’isola di Lincoln.
I coloni, certo, non erano nella situazione di naufraghi abbandonati su di uno sterile isolotto, che disputano la loro miserabile esistenza a una natura maligna e sono incessantemente divorati dal bisogno di rivedere le terre abitate. Pencroff e Nab soprattutto, che si sentivano felici e ricchi a un tempo, non avrebbero lasciato l’isola senza rammarico. Del resto, erano fatti apposta per quella vita nuova, in quella terra che la loro intelligenza aveva, per così dire, incivilito! Ma, insomma, quella nave era, in ogni caso, apportatrice di notizie del continente; era, forse, un lembo di patria che veniva loro incontro! Essa portava degli esseri simili a loro, e si comprende che i loro cuori avessero vivamente trasalito alla sua vista.
Di tanto in tanto Pencroff riprendeva il cannocchiale e si metteva alla finestra. Di là, esaminava con estrema attenzione il bastimento, che era a una distanza di venti miglia a est. I coloni non avevano, dunque, ancora alcun mezzo per segnalare la loro presenza. Una bandiera non sarebbe stata scorta; una detonazione non sarebbe stata udita; un fuoco non sarebbe stato visto.
Tuttavia, era certo che l’isola, dominata dal monte Franklin, non poteva essere sfuggita alle vedette della nave. Ma perché la nave stessa avrebbe atterrato là? Non era un semplice caso, che la spingeva in quella parte del Pacifico, ove le carte non menzionavano alcuna terra, salvo l’isolotto di Tabor, ch’era esso pure fuori delle rotte ordinariamente seguite dalle navi di altura degli arcipelaghi polinesiani, della Nuova Zelanda e della costa americana?
A questa domanda, che ciascuno faceva a se stesso, Harbert diede subito una risposta.
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