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Federico Moccia: Scusa ma ti chiamo amore

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Prima. Acceleratore. E riparte. Grande notte. E grande sicurezza anche nella guida.

Un gatto bicolore cammina felpato e curioso. È rimasto nascosto finché quell'auto non se n'è andata via. Poi è saltato fuori e con un balzo preciso ha iniziato la sua passeggiata di cassonetto in cassonetto. Qualcosa attrae la sua attenzione. Si avvicina. Inizia a strusciarsi, a osservare, continua ad annusare. Si gratta un orecchio passando più volte accanto allo spigolo del monitor. Davvero uno strano rifiuto, quello.

La musica esce robusta e profonda dalle casse della Aixam. "A Naomi!" "Vado forte, eh..." Niki sorride, Diletta beve un sorso di

birra.

"Dovresti fa sul serio la modella."

"Tempo un anno e si ingrassa..."

"Olly, ma sei davvero una rosicona... Ti scoccia che andavo forte sul pezzo, eh? Ma lo sai che è forte, questa, come si chiama?"

"Alexz Johnson."

"Eh, ci si sfila proprio bene sopra! Guarda, vado bene anch'io..." e Olly arriva in fondo al marciapiede, appoggia la mano sull'anca destra, piega un po la gamba e si ferma, guardando fissa di fronte a sé. Poi fa una giravolta, manda i capelli indietro con un rapido movimento della testa e torna indietro.

"Oh, sembri vera!" e tutte l'applaudono.

"Modello n. , Olimpia Crocetti!"

"A Giuditta, altro che Crocetti!" e tutte si mettono a cantare quel pezzo, chi meglio, chi peggio, chi conoscendo davvero le parole, chi inventandosele di sana pianta. "I know how this ali must look, like a picture ripped from a story book, l've got it easy, l've got it made..." e giù un ultimo, fresco sorso di birra.

"A Valenti, Arma, Dolce e Gabba, finita la sfilata. Se mi volete ingaggiare mi trovate qua!" e Olly fa un inchino alle altre Onde. "Sentite, che si fa? Mi sono rotta di stare qui..."

"Andiamo all'Eur oppure, che ne so, da Alaska! Sì, facciamo qualcosa!"

"Ma abbiamo appena fatto qualcosa! No, dai ragazze, io vado a casa. Domani ho l'interrogazione, sennò mi fa nera. Devo recuperare il e mezzo."

"E dai però! Che pizza! Non torniamo tardi. E poi che te frega, scusa, ti alzi prima domattina e dai una scorsa, no?"

"No. Ho bisogno di dormire, sono tre sere che mi fate fare tardi, mica so di ferro!"

"No, infatti sei di coccio! Va be, fa un po come ti pare, noi andiamo. Ci si vede domattina!"

E ognuna col suo passo si avvicina al proprio mezzo. Tre dirette chissà dove e una verso casa. Le quattro bottiglie di Corona sono ancora lì, sopra il marciapiede, vuote come conchiglie abbandonate sulla spiaggia dopo una mareggiata. Ma guarda che casino che hanno lasciato. E certo, tanto la precisina sono io... E le raccoglie. Si guarda in giro. Alcuni cassonetti in fila sono illuminati dal lampione. Meno male, c'è anche la campana verde per il vetro. Certo, che schifo la gente, quant'è disordinata. Guarda quanti sacchetti lasciati per terra. Facessero almeno la raccolta differenziata. Ma che non lo sanno che il pianeta è nelle nostre mani? Prende le bottiglie e le infila a una a una nell'apposita fessura tonda. E i tappi? Dove vanno messi i tappi? Non sono mica di vetro... Forse dove si buttano anche le lattine e i barattoli. Però ce lo potrebbero anche scrivere sopra, con un adesivo o un bel disegno. Qui tappi. Poi si ferma e si mette a ridere. Com'era quella vecchia battuta di Groucho? Ah, sì...

"Pà, è arrivato l'uomo della spazzatura."

"Digli che non ne vogliamo."

Precisa, butta anche una busta rimasta fuori dal cassonetto. Poi lo vede. Si avvicina timorosa. Non ci credo. Era proprio quello che mi serviva. Vedi, a volte a essere precisi.

Più tardi nella notte. La macchina frena quasi sgommando. Il guidatore scende veloce e si guarda in giro. Sembra uno di quei

personaggi alla Starsky e Hutch. Ma non deve sparare a nes suno. Guarda ai piedi di quel cassonetto. Dietro, sopra, sotto, per terra. Niente. Non c'è più. "Non ci credo. Non ci credo. Nessuno pulisce mai, nessuno si preoccupa di chi lascia le buste per terra e stasera proprio io dovevo incontrarne uno preciso e pignolo sul mio cammino... E Carlotta mi ha dato pure buca. Ha detto che finalmente si è innamorata... Ma di un altro..."

E non sa che, per colpa di ciò che ha perso, un giorno Ste fano Mascagni sarà felice.

Due

Due mesi dopo. All'incirca.

Non ci posso credere. Non ci posso credere. Alessandro cammina per casa. Sono passati due mesi e non riesce ancora a farsene una ragione. Elena mi ha lasciato. E la cosa peggiore è che lo ha fatto senza un perché. O almeno senza dire a me, quel perché. Alessandro si affaccia alla finestra e guarda fuori. Stelle, bellissime stelle. Nude stelle in quel cielo notturno. Lontane stelle. Dannate stelle che sanno. Esce sul terrazzo. Copertura in legno, grillage, negli angoli splendidi vasi antichi, lisci, e così all'entrata di ogni grande finestra. Poco più in là, lunghe tende dal colore leggero, pastello, sfumature che seguono il sorgere e il tramontare del sole. Come un'onda che circonda la casa, che lenta si perde all'entrata di ogni stanza, e poi dentro, quella stessa onda ripresa perfino dal colore dei muri. Ma tutto ciò fa solo più male.

"Aaah." Improvvisamente Alessandro urla come un pazzo: "Aaah". Ha letto che sfogarsi fa bene.

"Ahò, hai finito?" Un tipo si affaccia dal terrazzo di fronte. Alessandro si nasconde subito dietro un grande cespuglio di gelsomini del terrazzo. "Allora, hai finito o no? Ahò, a bello, guarda che te vedo, che stai a gioca a guardie e ladri?"

Alessandro si sposta un po per coprirsi dalla luce.

"Tana! T'ho visto, preso. Guarda che sto vedendo un film, quindi se te rode vatte a fa 'na passeggiata..."

Il tipo rientra in casa e fa scorrere velocemente una grande

vetrata, poi chiude le tende. E di nuovo silenzio. Alessandro si tiene basso e rientra piano piano in casa.

Aprile. Siamo ad aprile. E sono incavolato nero. E quel cafone poi... Mi son fatto un attico nel quartiere Trieste e ho beccato l'unico cafone di fronte a casa mia. Suona il telefono di casa. Alessandro corre, attraversa il salotto e si mette in attesa, con un po di speranza. Uno squillo. Due. Entra la segreteria. "Risponde il numero ..." e va avanti, "lasciate un messaggio..." Che sia lei? Alessandro si avvicina alla segreteria con un po di speranza. "... dopo il segnale acustico." Chiude gli

occhi.

"Ale, tesoro. Sono io, la tua mamma. Ma che fine hai tatto?

Anche sul telefonino non rispondi."

Alessandro va verso la porta di casa, prende il giubbotto, le chiavi dell'auto e il Motorola. Poi se la sbatte alle spalle, mentre sua madre continua a parlare.

"Allora?" Il messaggio nella segreteria continua: "Perché non vieni a cena da noi la prossima settimana, tu ed Elena magari? Te l'ho già detto, mi farebbe piacere... È tanto che non

ci vediamo...".

Ma lui è già davanti all'ascensore, non ha fatto in tempo a sentirla. Non sono ancora riuscito a dire a mia madre che io ed Elena ci siamo lasciati. Che palle. Si apre la porta, entra e sorride guardandosi allo specchio. Spinge il pulsante T. Un po di ironia ci vuole in questi casi. Tra poco avrò trentasette anni e sono di nuovo single. Che strano. La maggior parte dei ragazzi non aspetta altro. Tornare single per divertirsi un po e iniziare una nuova avventura. Già. Non so com'è ma non riesco a prenderla bene. C'è qualcosa che non mi torna. Negli ultimi giorni Elena era strana. Aveva un altro? No. Me l'avrebbe detto. Be, non ci voglio più pensare. Per questo l'ho comprata. Brumm. Alessandro è sulla sua macchina nuova. Mercedes-Benz mi Cdi. Ultimo modello. Una nuova jeep, perfetta, immacolata, comprata un mese fa per colpa di quel dolore causato da Elena. O meglio di quel "disprezzo sentimentale" che poi lui ha provato. Alessandro comincia a guidare. Poi un ricordo. L'ul

tima volta che sono uscito con lei. Stavamo andando al cinema. Poco prima di entrare Elena ha ricevuto una telefonata e l'ha rifiutata, ha spento il telefonino e mi ha sorriso. "Niente, lavoro. Non mi va di rispondere..." Anch'io le ho sorriso. Che bel sorriso aveva Elena... Perché sto usando il passato? Elena ha un bel sorriso. E così dicendo sorride anche lui. O almeno si sforza di farlo e prende una curva. A tutta velocità. E un altro ricordo. Quel giorno. Questo fa più male. Ce l'ho stampata sul cuore quella chiacchierata, come fosse ieri, cazzo. Come se fosse ieri.

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