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Federico Moccia: Scusa ma ti voglio sposare

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Federico Moccia Scusa ma ti voglio sposare

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"Sì sì, bravo… te la sei cavata… La prossima volta ti scaravento fuori dalla porta nudo come sei…"

Erica scende dal letto e si rimette davanti al libro. "Mi risenti questo capitolo per vedere se lo so?"

Francesco sbuffa. "No, dai, non mi va… dammi l'iPod che mi ascolto un po'"di musica… e sogno ancora di te…"

Erica sorride. Bè, almeno sa come districarsi con i complimenti. Si allunga sulla scrivania, afferra il lettore e lo lancia a Francesco. Poi guarda il libro. Va bè, ripeterò da sola. Voglio fare una bella figura col prof Giannotti all'esame della prossima settimana. Deve rimanere a bocca aperta. Non che a quell'esame ci tenga particolarmente… è che è proprio troppo fico quel prof! Mi piace un casino. E fare un bell'esame è di sicuro il miglior modo per colpirlo.

Sei

Cristina sta rimettendo a posto alcuni cassetti del mobile della camera da letto. Trova alcune magliette di Flavio piegate. Le prende. Le guarda. Prova tenerezza e rabbia nei confronti di suo marito. Le stringe, le annusa. Ricorda quando le ha comprate, quando gliele ha viste addosso. Ogni momento. Da quanti anni sono sposati ormai? Otto. Hanno superato quella che chiamano la crisi del settimo anno. Ma quelle sono solo dicerie. Leggende metropolitane. Dare un numero all'amore, un'età alla crisi. A che serve? Sciocchi cinismi umani. E improvvisamente ripensa al giorno in cui ha comprato quella particolare maglietta, a quando lui se l'è messa per la prima volta. Poi, nel riporla di nuovo nel cassetto, nota, un po'"nascosta più sotto, una busta. Si stranisce. È di color avorio, stile pergamena. Lì per lì non le rammenta nulla. Poi la apre. Un tuffo al cuore. Riconosce la grafia. Precisa. Asciutta. Appena inclinata sulla destra. Legge la data scritta sulla destra. 2000. Il primo anno del nuovo millennio. 14 febbraio. San Valentino. E comincia a leggerla.

Amore. La parola di San Valentino. La parola di questo giorno appena iniziato. Amore. Il tuo secondo nome. Sono seduto al tavolo in cucina. Tu starai certamente dormendo. È notte. Domattina ti lascerò questa lettera sotto la porta. T'immagino mentre stai per uscire di casa ancora assonnata e la vedi. I tuoi bellissimi occhi che s'illuminano. Tu che ti accucci, la prendi, la apri. E cominci a leggere. E, spero, a sorridere. Una lettera, una piccola lettera che cerca di contenere una grande storia, la nostra. Il mio grazie a te per come mi fai sentire. Sarà impossibile farcela in due fogli ma io ci provo. Perché non posso farne a meno.

Dicono che non si possa parlare d'amore ma solo viverlo. È vero. Ci credo. Se io conosco l'amore è solo perché tu me l'hai fatto vivere e respirare. L'ho imparato con te. E poi ho capito che in realtà non s'impara niente. Si vive e basta, insieme, vicini, complici. L'amore sei tu. L'amore sono io quando sono con te. Felice. Sereno. Migliore. Ricordo ancora la prima volta che ti ho vista. Bellissima. In mezzo alla pista in quella piccola discoteca in Trastevere. Ballavi ridendo, ti muovevi morbida accanto alla tua amica. Avevi un vestitino azzurro con le spalline sottili che dondolava con te. I capelli scuri ricci sciolti sulle spalle, tenevi gli occhi chiusi e seguivi il ritmo. Io ti notai e di colpo non riuscii più a smettere di guardarti. I miei amici volevano continuare il giro e li lasciai perdere. Corsi al bancone del bar, presi da bere per due e scivolando in mezzo alla gente tenendo i bicchieri in alto, sopra la testa perché nessuno li urtasse, mi avvicinai a te, alle spalle, mentre continuavi a ballare. La tua amica se ne accorse, ti fece un cenno col mento e tu ti girasti. E da vicino eri ancora più bella. Ti sorrisi e ti porsi uno dei bicchieri. Tu all'inizio facesti la faccia seria, poi una specie di smorfia e poi un sorriso. Prendesti il bicchiere e brindammo così, due sconosciuti in mezzo a una pista da ballo. E poi parlammo. Non eri solo bella ma anche simpatica. E conoscendoti ho scoperto altre tue mille qualità. Sono fortunato. Molto. E se ripenso a tutto quello che abbiamo fatto insieme sorrido di felicità. La nostra minivacanza a Londra, quando prendemmo l'aereo il venerdì sera e rientrammo la domenica. I giri pazzi per Soho, la cena, fare l'amore in quel parco col rischio di essere scoperti. E ridere. E cercare di parlare bene inglese. E fare gaffe. E poi ancora quella volta che andammo a Stromboli, tenersi per mano camminando per quelle stradine strette, accanto a case bianche e basse, bellissime, piene di piante e fiori. E la scalata al vulcano. E le cene di pesce sulle terrazze dei ristorantini. E ridere di te a cavalcioni su quell'asinello che non ti ascoltava quando volevi che andasse a sinistra, e tu con la faccia buffa, un po'"disperata, di chi si arrende. E poi ancora le nostre serate romane, passeggiare fino a notte fonda senza annoiarsi mai, avere mille cose da dire, raccontare. E poi baciarsi all'improvviso e sentire le tue labbra così morbide appena coperte di lucidalabbra al sapore di frutta, come piace a te. Ogni serata, anche la più semplice, con te diventa speciale. Basta un niente. Non importa dove, a me sembra sempre una festa. E anche quando bisticciamo, poche volte in verità, in fondo mi diverti. Perché dura poco e poi facciamo sempre pace.

Ho mille ricordi splendidi di te. Più il tempo passa, più m'innamoro. Più di quanto credevo possibile. Ti amo quando sorridi. Ti amo quando ti commuovi. Ti amo mentre mangi. Ti amo il

sabato sera quando andiamo al pub. Ti amo il lunedì mattina quando hai ancora sonno. Ti amo quando canti a squarciagola ai concerti. Ti amo al mattino quando abbiamo dormito insieme e non trovi le ciabatte per andare in bagno. Ti amo sotto la doccia. Ti amo al mare. Ti amo la notte. Ti amo al tramonto. Ti amo a mezzogiorno. Ti amo adesso mentre stai leggendo la mia lettera, il mio augurio di San Valentino e magari stai dicendo che sono un po'"matto. Ed è vero. E ora preparati. Esci. Vivi la tua giornata. Goditi il mio pensiero che cerca di rubarti un nuovo sorriso per vederti splendere nella tua bellezza. Auguri, amore… Tra un'ora passo a prenderti. Le sorprese non sono finite!

Dagli occhi di Cristina spuntano due lacrime, rimangono sospese per qualche secondo e poi scivolano sulle guance. Com'era dolce. Com'era tutto diverso. Quanta voglia di sorprendere, di stare insieme, di amarsi. Eravamo speciali. Pensavamo di essere gli unici l'uno per l'altra. Noi. E poi gli altri. Il mondo. E ora? Dov'è finito tutto questo? Dove si è perso? Perché mi sento così? E continua a piangere leggendo la bellezza di quelle parole scritte da Flavio tanti anni prima. Pensando alla loro lunga storia, alla prima volta che lo vide. A quanto le piacque. Era bellissimo. E le sembra impossibile che ora sia tutto così cambiato.

Sette

Il sole cade di taglio sulle rampe del Pincio. Qualche turista in abiti multicolori guarda ammirato piazza del Popolo, additando

via via un particolare, uno scorcio o magari la nuova meta da raggiungere. Una coppia di giapponesi manovra una piccolissima digitale studiando diverse inquadrature e alla fine fa una risatina stridula una volta trovata quella migliore.

"Attenta, gli passi davanti."

"E che mi frega, scusa."

Diletta cammina di colpo un po'"più impettita e con un sorrisetto

beffardo entra perfettamente in mezzo, tra l'obiettivo e il bersaglio

prescelto da immortalare. Il giapponese sorridendo si ferma.

Aspetta. Diletta passa, ricambiando il sorriso. Il giapponese ci

riprova ma è costretto a fermarsi di nuovo.

"Diletta…"

"Oh, mica è colpa mia se mi sono dimenticata di dirti una cosa" e torna indietro, esattamente al punto di partenza, mentre il giapponese inizia a innervosirsi. "Ti volevo dire che…" e gli stampa un bacio in bocca.

Filippo ride. "Certo che sei scema… ma non potevi aspettare, scusa?"

"No. Come si dice: chi ha tempo non aspetti tempo. E chi ha umore non aspetti più!"

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