Mi alzai senza sentirmi frastornata. Aprii gli occhi, finalmente asciutti, e incontrai il suo sguardo ansioso.
«Ciao», dissi. Avevo la voce roca. Mi schiarii la gola. Non rispose. Mi guardava, in attesa che ricominciassi.
«No, sto bene», giurai. «Non succederà più».
Rispose con uno sguardo di sottecchi.
«Scusa se ti ho costretto ad assistere», dissi. «Non lo meritavi». Mi prese il viso tra le mani.
«Bella... sei sicura di aver fatto la scelta giusta? Non ti ho mai vista così addolorata...». La sua voce si spezzò su quell’ultima parola. In realtà ero sopravvissuta a tormenti anche peggiori. Sfiorai le sue labbra. «Sì».
«Non lo so...». Aggrottò le sopracciglia. «Se soffri così tanto, com’è possibile che sia la scelta migliore?».
«Edward, so a chi posso rinunciare per la vita».
«Ma...».
Scossi la testa. «Non capisci. Tu saresti anche coraggioso o abbastanza forte da poter vivere senza di me, se fosse la scelta migliore. Io non riuscirei mai a sacrificarmi altrettanto. Devo stare con te. Non posso vivere diversamente». Sembrava ancora titubante. Non avrei mai dovuto lasciare che passasse la notte accanto a me. Ma avevo avuto così bisogno di lui...
«Mi dai quel libro, per favore?», domandai, indicando un punto sopra la sua spalla.
Abbassò le sopracciglia, confuso, ma me lo porse alla svelta.
«Ancora questo?».
«Volevo soltanto trovare una parte che ricordavo... per vedere come lo dice...». Sfogliai il libro e trovai subito la pagina che mi serviva. A furia di rileggerla si era formato un orecchio. «Cathy è un mostro, ma qualcosa l’ha capita», mormorai. Leggevo a bassa voce, per me stessa più che per lui.
«"Se tutto il resto perisse, e lui rimanesse, io continuerei a esistere; e, se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo diverrebbe per me un’immensa cosa estranea"». Annuii, sempre a me stessa. «So esattamente cosa significa. E so di chi non posso fare a meno».
Edward mi sfilò il libro dalle mani e lo lanciò dall’altra parte della stanza. Atterrò con un tonfo rumoroso sulla scrivania. Mi strinse le braccia sui fianchi.
Un leggero sorriso accese il suo volto perfetto, ma la preoccupazione gli rigava ancora la fronte. «Anche Heathcliff ha i suoi momenti di gloria», disse. Non aveva bisogno del libro per citare. Mi avvicinò e sussurrò al mio orecchio: «Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza l’anima mia!».
«Ecco», risposi a bassa voce. «È proprio così».
«Bella, non sopporto che tu sia così disperata. Magari...».
«No, Edward. Ho combinato un vero disastro, e mi toccherà farci i conti per tutta la vita. Ma so cosa voglio, di cosa ho bisogno... e cosa devo fare, ora».
«Cosa dobbiamo fare ora?».
La precisazione mi fece ridere appena, poi sospirai. «Andiamo a trovare Alice».
Trovammo Alice seduta sui gradini del portico sul retro, troppo iperattiva per aspettarci al chiuso. Sembrava pronta a lasciarsi andare a una danza di festeggiamento, eccitata com’era dalle notizie che già sapeva.
«Grazie, Bella!», intonò mentre scendevamo dal pick-up.
«Aspetta, Alice», dissi, alzando una mano per placare la sua gioia. «Ho qualche condizione da porre».
«Lo so, lo so, lo so. Dev’essere al più tardi il 13 di agosto, hai potere di veto sulla lista degli invitati e se esagero non mi rivolgerai più la parola».
«Ah, okay. Be’, d’accordo. Vedo che conosci le regole».
«Non preoccuparti, Bella, sarà perfetto. Vuoi vedere il tuo vestito?». Tutto, pur di farla felice , dissi a me stessa.
«Certo».
Lei sorrise maliziosa.
«Ehm, Alice», dissi senza perdere il mio tono disinvolto e spontaneo.
«Quando mi hai comprato un vestito?».
Probabilmente non ero stata convincente. Edward strinse la mia mano. Alice ci guidò all’interno, dritto verso le scale. «Per queste cose occorre tempo, Bella», spiegò. Il suo tono di voce sembrava... evasivo. «Voglio dire, non ero certa che le cose avrebbero preso questa piega, ma c’era una possibilità concreta...».
«Quando?», ripetei.
«Da Perrine Bruyere la lista d’attesa è sempre lunga, ecco», disse, sulla difensiva. «I capolavori di tessuto non si creano in un giorno. Se non ci avessi pensato prima, saresti stata costretta a pescare dal tuo armadio!». Evidentemente non potevo aspettarmi una risposta chiara.
«Perri chi?».
«Non è uno stilista di serie A, Bella, perciò non è il caso di perdere le staffe. Però promette bene, ed è specializzato in ciò che cercavo».
«Non sto perdendo le staffe».
«Certo che no». Osservò con sospetto la mia espressione calma. Poi, prima che entrassimo nella sua stanza, si rivolse a Edward.
«Tu resti fuori».
«Perché?», domandai.
«Bella», sbuffò, «conosci le regole. Non può vedere il vestito fino a quel giorno».
Feci un respiro profondo. «Non m’importa. E poi, l’avrà già visto nei tuoi pensieri. Ma se preferisci...».
Cacciò Edward fuori dalla porta. Lui non le badò: i suoi occhi erano su di me, timorosi, aveva paura a lasciarmi sola.
Annuii, nella speranza che la mia espressione fosse abbastanza tranquilla da rassicurarlo.
Alice gli chiuse la porta in faccia.
«Perfetto!», mormorò. «Forza».
Mi afferrò per un polso, mi trascinò verso l’armadio — più grande di camera mia — e infine verso l’angolo posteriore del mobile, dove una custodia bianca aveva un reparto tutto per sé.
Aprì la zip della custodia con un movimento fluido, e la fece scivolare con cura dalla stampella. Fece un passo indietro, e con una mano indicò il vestito, come fosse la valletta di un gioco a premi.
«Allora?», chiese senza fiato.
Lo osservai per un istante interminabile, per tenerla in sospeso. La sua espressione si fece preoccupata.
«Ah», dissi, e grazie al mio sorriso riuscì a rilassarsi. «Vedo».
«Che te ne pare?», domandò.
Riecco il mio incubo alla Anna dai capelli rossi.
«È perfetto, ovviamente. Va a pennello. Sei un genio». Sorrise. «Lo so».
«Millenovecentodiciotto?».
«Più o meno», disse e annuì. «In parte è un disegno mio, lo strascico, il velo...», parlava sfiorando la seta bianca. «Il pizzo è d’epoca. Ti piace?».
«È bellissimo. Perfetto per lui».
«Ma per te è perfetto?», insistette.
«Sì, penso di sì, Alice. Penso sia proprio ciò di cui ho bisogno. So che farai un gran bel lavoro... se riesci a contenerti».
Si illuminò.
«Posso vedere il tuo vestito?», domandai.
Restò perplessa e impassibile.
«Non hai ordinato anche il vestito da damigella? Non voglio che la mia testimone sia costretta a pescare qualcosa dall’armadio». Finsi una smorfia di orrore.
Lei mi abbracciò. «Grazie, Bella!».
«Com’è possibile che non lo sapessi già?», la stuzzicai, baciandole i capelli spettinati. «Che razza di veggente sei?». Alice si allontanò con un passo di danza, il viso acceso di entusiasmo sincero. «Ho talmente tanto da fare! Vai a giocare con Edward. Devo rimettermi al lavoro». Schizzò fuori dalla stanza, strillando: «Esme!», e sparì. La seguii al mio passo. Edward mi aspettava in corridoio, appoggiato ai pannelli di legno della parete.
«È stato molto, molto gentile da parte tua», mi disse.
«Mi sembra felice».
Sfiorò il mio viso; i suoi occhi — troppo scuri, era passato troppo tempo da quando mi aveva lasciata — scrutarono attenti la mia espressione.
«Usciamo», suggerì di scatto. «Andiamo alla nostra radura». Proposta molto allettante. «Non devo più nascondermi, vero?».
«No. Ormai il pericolo è passato».
Era muto e pensieroso mentre correva. Il vento soffiava sul mio viso, caldo, ora che la tempesta era passata. Le nuvole coprivano il cielo come al solito.
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