«Ciao, Jake», mormorai.
Non rispose subito. Mi guardò per un istante interminabile. Poi, con un certo sforzo, aggiustò la propria espressione in un sorriso vagamente strafottente.
«Ecco, mi aspettavo proprio una cosa del genere». Sospirò. «La giornata ha preso proprio una brutta piega, direi. Prima scelgo il posto sbagliato, mi perdo lo scontro più importante e la gloria tocca tutta a Seth. Poi Leah decide di comportarsi da idiota per dimostrarci che è forte come noi, e chi è l’idiota che la salva? E ora, questo». Alzò la mano sinistra verso di me, impalata sulla porta.
«Come stai?», sussurrai. Che domanda stupida.
«Un po’ stordito. Il dottor Canino non conosce la dose giusta di antidolorifici per me, così sta andando avanti a tentativi. Temo che abbia esagerato».
«Però non senti dolore».
«No. Se non altro le ferite non le sento», disse e sorrise, di nuovo ironico. Non sapevo cosa dire. Non ne sarei mai uscita. Perché nessuno cercava mai di uccidermi quando desideravo morire?
L’ironia amara abbandonò il volto di Jacob e i suoi occhi si scaldarono. Corrugò la fronte. «E tu come stai?», domandò, e sembrava davvero preoccupato. «Tutto okay?».
«Io?». Restai a fissarlo. Forse aveva davvero preso troppe medicine.
«Perché?».
«Be’, voglio dire, ero più che sicuro che non ti avrebbe fatto del male, ma non avevo idea di come sarebbe andata. Da quando mi sono risvegliato, ho perso un po’ la testa a furia di preoccuparmi per te. Non sapevo se ti avrebbero dato il permesso di venirmi a trovare, cose del genere. L’attesa è stata terribile. Com’è andata? Se l’è presa molto con te? Scusa se mi sono comportato male. Non avrei mai voluto lasciarti sola in quel frangente. Pensavo di restare...».
Mi ci volle un minuto per iniziare a capire. Continuò a vaneggiare, sempre più goffo, finché non colsi il senso del discorso. Poi mi affrettai a rassicurarlo.
«No, no, Jake! Sto bene. Fin troppo, direi. Certo che non è stato cattivo. Magari!».
Spalancò gli occhi, sembrava disgustato. «Cosa?».
«Non si è arrabbiato con me... e nemmeno con te! Con il suo altruismo mi ha persino peggiorato l’umore. Magari mi avesse urlato dietro, o qualcosa del genere. Non che non mi meriti qualcosa di peggio di una sgridata. Ma a lui non importa. Vuole soltanto che io sia felice».
«Non si è arrabbiato?», domandò Jacob, incredulo.
«No. È stato... fin troppo gentile».
Jacob mi fissò per un altro minuto e all’improvviso si fece scuro in volto.
«Be’, maledizione!», ruggì.
«Cosa c’è che non va, Jake? Ti fa male?». Le mie mani gesticolavano senza meta, mentre cercavo i suoi tranquillanti.
«No», mugugnò disgustato. «Non posso crederci! Non ti ha dato ultimatum o cose del genere?».
«Nemmeno per scherzo... Cosa c’è che non va?».
Si rabbuiò e scosse la testa. «In un certo senso, contavo sulla sua reazione. Accidenti. È più bravo di quanto pensassi». Il tono della sua voce, malgrado la rabbia intensa, mi ricordò che Edward aveva riconosciuto in Jacob uno scarso senso morale. Il che significava che Jake aveva ancora una speranza, era ancora disposto a combattere. Con un fremito, sentii la lama affondare.
«Non sta giocando, Jake», dissi a bassa voce.
«Certo che sì. Sta giocando duro almeno quanto me, soltanto che lui sa cosa fare e io no. Non è colpa mia, se come manipolatore è meglio di me... non ho abbastanza esperienza per smascherare tutti i suoi trucchi».
«Non mi sta manipolando!».
«Invece sì! Vuoi deciderti o no a svegliarti e capire che non è perfetto come pensi?».
«Se non altro non ha minacciato di uccidersi per convincermi a baciarlo», sbottai. Pronunciata l’ultima parola, arrossii di vergogna. «Alt. Come non detto. Mi ero giurata che non ne avrei più parlato». Respirò a fondo. Quando riprese a parlare era più calmo. «Perché no?».
«Perché non sono venuta a incolparti di nulla».
«Però è vero», disse calmo. «È ciò che ho fatto».
«Non m’importa, Jake. Non sono arrabbiata».
Sorrise. «Neanche a me importa. Sapevo che mi avresti perdonato, e sono contento che tu l’abbia fatto. Lo rifarei. Almeno qualcosa mi rimane. Almeno ti ho fatto capire che mi ami. È già qualcosa».
«Davvero? Pensi che vada meglio, ora che sono uscita allo scoperto?».
«Penso che sia giusto che tu conosca i tuoi sentimenti. Così non ti sorprenderai, il giorno in cui sarai una vampira sposata e capirai che è troppo tardi».
Scossi la testa. «No, non mi riferivo a me. È a te che va meglio, dopo avermi fatto scoprire che sono innamorata di te? Tutto sommato, non cambia le carte in tavola. Non ti avrei reso la vita più facile, se non ti avessi dato qualche indizio?». Prese la mia domanda sul serio, come desideravo, e prima di rispondere ci pensò sopra per bene. «Sì, sono contento di avertelo fatto scoprire», concluse infine. «Se non lo avessi capito... avrei continuato ad avere dubbi sulla tua decisione. Adesso lo so. Ho fatto tutto il possibile». Respirò incerto e chiuse gli occhi. A quel punto non resistetti — non era possibile — all’istinto di rassicurarlo. Attraversai la cameretta, m’inginocchiai accanto alla sua testa, senza sedermi sul letto perché temevo di sballottarlo e fargli male, e mi chinai sfiorandogli una guancia con la fronte. Jacob sospirò e con la mano mi toccò i capelli, per trattenermi.
«Mi dispiace tanto, Jake».
«Sapevo che sarebbe stato difficile. Non è colpa tua, Bella».
«No, anche tu», borbottai. «Per favore».
Si allontanò per guardarmi. «Cosa?».
«È colpa mia. Sono stufa di sentirmi dire il contrario». Sorrise. Ma i suoi occhi non si accesero. «Vuoi che ti costringa a stare in ginocchio sui ceci?».
«Be’... lo sono già».
Increspò le labbra mentre valutava la mia sincerità. Un sorriso apparve fugace, ma il suo sguardo si fece subito torvo e grave.
«Restituirmi il bacio in quella maniera è stato un gesto imperdonabile». Mi trafisse con le sue parole. «Se già sapevi che ti saresti ritirata, forse avresti dovuto essere meno convincente». Con un fremito, annuii. «Mi dispiace tanto».
«Dispiacerti non serve a niente, Bella. Cosa ti è passato per la testa?».
«Niente», sussurrai.
«Avresti dovuto mandarmi a morire e basta. In fondo è ciò che vuoi».
«No, Jacob», pigolai combattendo contro le lacrime. «No! Mai!».
«E neppure piangi?», domandò, la voce di colpo normale. Scattò impaziente sul letto.
«Invece sì», borbottai, mentre una debole risata sgorgava con le lacrime che di colpo divennero singhiozzi.
Si spostò, allungando la gamba buona come se cercasse di alzarsi dal letto.
«Cosa fai?», domandai in lacrime. «Stai sdraiato, idiota, o ti farai male!». Scattai in piedi e spinsi giù la spalla buona, con due mani. Si arrese e arretrò, tossì di dolore ma riuscì ad afferrarmi i fianchi e trascinarmi sul letto, accanto al fianco sano del suo corpo. Mi raggomitolai dov’ero e cercai di soffocare quegli stupidi singhiozzi contro la sua pelle calda.
«Non riesco a credere che tu pianga sul serio», borbottò accarezzandomi le spalle. «Ho detto quel che ho detto solo perché lo volevi tu, sai. Non facevo sul serio».
«Lo so». A fatica, respirai a fondo, cercando di controllarmi. Com’era possibile che fossi io quella che piangeva e lui quello che mi tranquillizzava? «Però è tutto vero. Grazie per averlo detto ad alta voce».
«Guadagno qualche punto, visto che ti ho fatto piangere?».
«Certo, Jake». Accennai un sorriso. «Tutti quelli che vuoi».
«Non preoccuparti, piccola. Troveremo un modo».
«Non vedo quale», mugugnai.
Picchiettò sulla mia testa. «Mi farò da parte e mi comporterò bene».
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