Stephenie Meyer - Eclipse

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Eclipse: краткое содержание, описание и аннотация

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Mentre Seattle è funestata da una serie di strani omicidi e una vampira malvagia continua a darle la caccia, Bella Swan si trova ancora una volta in serio pericolo. È arrivato per lei il momento delle decisioni e dei sacrifici: basterà il fidanzato Edward a farle dimenticare il migliore amico Jacob? Troverà il coraggio necessario a diventare una Cullen? Obbligata a scegliere fra l’amore e l’amicizia, è consapevole che la sua decisione rischia di riaccendere la millenaria lotta fra vampiri e licantropi. Nel frattempo l’esame di maturità è alle porte e per Bella il momento della verità si avvicina...

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«Sì».

«Ti aspetterò sempre, dietro le quinte, Bella», promise in tono più tranquillo e mollò la presa. Mi allontanai, schiacciata da una sensazione di perdita e di vuoto, straziata dalla separazione e dall’addio alla parte di me che restava al suo fianco in quel letto. «Se ti va, avrai sempre una seconda scelta».

Mi sforzai di sorridere. «Finché il mio cuore batterà». Sogghignò. «Sai, penso che potrei accettarti anche dopo, forse. Mi sa che dipende da quanto puzzerai».

«Posso tornare a trovarti? O preferisci di no?».

«Ci penso su e ti faccio sapere», disse. «Potrei aver bisogno di compagnia, per non impazzire. Il magnifico chirurgo vampiro non mi ha ancora dato il permesso di trasformarmi; dice che rischio di rovinarmi le ossa». Jacob fece una smorfia.

«Fa’ il bravo e obbedisci a Carlisle. Guarirai più in fretta».

«Certo, certo».

«Chissà quando succederà», dissi. «Chissà quando incrocerai la ragazza giusta».

«Non sperarci troppo, Bella». Il tono di Jacob si fece improvvisamente amaro. «Certo, per te sarebbe un bel sollievo».

«Forse sì, forse no. Probabilmente penserò che non è quella giusta. Chissà quanto sarò gelosa».

«Magari sarà divertente, no?».

«Fammi sapere se vuoi che ritorni, e sarò qui», promisi. Con un sospiro, mi offrì la guancia.

Mi chinai a baciarla con delicatezza. «Ti voglio bene, Jacob». Fece un risolino. «Io ti amo».

Mi guardò uscire dalla stanza con un’espressione indecifrabile negli occhi.

27

Necessità

Già dopo un breve tratto di strada, guidare divenne impossibile. A un certo punto non vidi più niente e lasciai che fossero le ruote a trovare il ciglio terroso della strada per accostare lentamente. Mi abbandonai sul sedile, a pezzi e in balia della debolezza che avevo combattuto nella stanza di Jacob. Era peggio di quanto pensassi e mi colse con intensità sorprendente. Sì, avevo fatto bene a tenerla nascosta a Jacob. Nessuno doveva vedermi in quello stato.

Ma non restai sola a lungo: Alice impiegò poco ad accorgersi di me ed Edward mi raggiunse nel giro di pochi minuti. La portiera si aprì cigolando e lui mi prese tra le braccia.

Sulle prime mi sentii ancora peggio. Perché c’era quella piccola parte di me — piccola, ma più grande e rumorosa a ogni minuto che passava, infuriata con il resto di me stessa — che agognava un altro paio di braccia. A intensificare il dolore c’era un senso di colpa appena nato. Lui non disse niente, mi lasciò frignare finché non iniziai a biasciare il nome di Charlie.

«Pronta a tornare a casa?», domandò dubbioso.

Dopo parecchi tentativi riuscii a spiegargli che le cose non sarebbero migliorate in fretta. Dovevo raggiungere Charlie prima che si facesse troppo tardi e che lui e Billy si sentissero. Perciò fu Edward ad accompagnarmi a casa e per una volta non tentò nemmeno di sfidare i limiti fisici di velocità del mio pick-up, mentre mi proteggeva con un braccio sulle spalle. Durante il tragitto mi sforzai di mantenere il controllo. Sulle prime mi sembrò un tentativo vano, ma non mi diedi per vinta. Ancora qualche secondo, mi dicevo. Giusto il tempo di inventare una scusa, o una bugia, e avrei potuto crollare di nuovo. Rovistai nella mia mente alla ricerca disperata di una riserva di forze. Ne avevo abbastanza per placare i singhiozzi, o almeno per trattenerli, ma non per metterli a tacere. Le lacrime non accennavano a rallentare. Non trovavo un appiglio che mi aiutasse ad affrontarle.

«Aspettami di sopra», mugugnai quando fummo davanti a casa. Lui mi strinse forte per un minuto, poi sparì.

Entrata, puntai dritta alle scale.

«Bella?», chiamò Charlie dalla sua solita posizione sul divano, mentre gli passavo davanti.

Mi voltai a guardarlo senza parlare. I suoi occhi si spalancarono e balzò in piedi.

«Cos’è successo? Jacob è...».

Scossi la testa con violenza, cercando un po’ di voce. «Sta bene, sta bene», giurai, con voce bassa e rauca. In effetti Jacob stava bene, almeno fisicamente: al momento, era quella l’unica preoccupazione di Charlie.

«Ma cos’è successo?». Mi afferrò per le spalle, lo sguardo sempre ansioso e spalancato. «Cosa ti è successo?». Probabilmente avevo un aspetto peggiore di quanto immaginassi.

«Niente, papà. Io... ho solo dovuto parlare con Jacob... di una faccenda delicata. Sto bene».

L’ansia si placò e fu rimpiazzata dalla disapprovazione.

«Non potevi aspettare un momento migliore?», domandò.

«Probabilmente no, papà, non avevo alternative. Per come si sono messe le cose ero costretta a scegliere... A volte, trovare un compromesso è impossibile». Scosse la testa lentamente. «Come l’ha presa?».

Non risposi. Mi guardò in faccia per qualche istante e annuì. Probabilmente come risposta era più che sufficiente.

«Spero che tu non gli abbia rovinato la convalescenza».

«Guarirà in fretta», mormorai.

Charlie sospirò.

Stavo per perdere il controllo, lo sentivo.

«Salgo in camera», dissi scrollandomi dalla sua presa.

«Va bene», disse Charlie. Probabilmente aveva intuito che la fontana stava per esplodere. Niente lo impauriva più delle lacrime. Mi trascinai in camera, cieca e zoppicante.

Quando entrai, lottai con il fermaglio del mio braccialetto, nel tentativo di aprirlo con le dita tremanti.

«No, Bella», sussurrò Edward stringendomi la mano. «Fa parte di ciò che sei».

Mi accolse nel rifugio delle sue braccia e a quel punto scoppiarono di nuovo i singhiozzi.

La più lunga delle giornate sembrava non finire mai, mai, mai. Come fosse eterna.

Eppure, sapevo che la notte che incombeva senza darmi scampo non sarebbe stata la peggiore della mia vita. Ciò mi diede sollievo. Infine, non ero sola. Altra fonte di grande sollievo.

La sua paura nei confronti delle mie crisi emotive impedì a Charlie di venire a controllarmi, malgrado non fossi tranquilla. Probabilmente non riuscì a dormire neanche lui.

Quella notte, ragionando con il senno di poi, vivevo con una lucidità quasi insopportabile. Avevo ben presente ogni errore commesso, ogni pugnalata inflitta, le piccole e le grandi cose. Ogni tormento scatenato in Jacob, ogni ferita provocata a Edward, accumulati in alte pile che non potevo ignorare né cancellare.

E mi resi conto di essermi sbagliata, quanto alle calamite. Non erano Edward e Jacob i poli che avevo cercato di avvicinare con la forza, ma le due metà di me stessa, la Bella di Edward e quella di Jacob. Purtroppo non potevano coesistere e mai avrei dovuto tentare l’esperimento. Avevo combinato troppi danni.

A un certo punto della nottata ricordai la promessa che mi ero fatta quel mattino, che non avrei mai più permesso a Edward di vedermi versare un’altra lacrima per Jacob Black. Il pensiero scatenò l’ennesima reazione isterica, che spaventò Edward ancora più del pianto. Ma anche quella ebbe il proprio corso e si esaurì.

Edward parlò poco, accontentandosi di abbracciarmi, sul letto, e di lasciare che gli rovinassi la camicia, inzuppandogliela d’acqua salata. Mi occorse più di quanto pensassi per liberarmi, con il pianto, di quella parte di me, piccola e tormentata. Alla fine fui abbastanza esausta da prendere sonno. La perdita di coscienza non placò del tutto il dolore e fu soltanto una pace nebbiosa e vuota, come se avessi preso un tranquillante. Ma rese tutto più sopportabile, senza cancellare niente. Ne ero conscia persino nel sonno e ciò mi aiutò a fare le correzioni di rotta di cui avevo bisogno. Il mattino portò con sé, se non uno sguardo più lucido, perlomeno un briciolo di controllo, di consapevolezza. L’istinto mi diceva che la ferita nel mio cuore sarebbe bruciata per sempre. Ormai era parte di me. Il tempo avrebbe reso tutto più facile — era un luogo comune. Che il tempo potesse guarirmi o no, l’importante era che Jacob stesse meglio. E potesse essere ancora felice.

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