Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«‘Vuoi dire che possiamo vivere di animali?’ domandai.

«‘Sì’. Lo bevve tutto e poi, come niente fosse, scagliò il bicchiere contro il caminetto. Diedi un’occhiata ai frammenti. ‘Non ti spiace, vero?’ chiese accennando al bicchiere rotto, con un sorriso sarcastico. ‘Spero proprio che non ti spiaccia, anche perché non ci puoi fare proprio niente’.

«‘Posso sbattere fuori te e tuo padre da Pointe du Lac, se mi va’ risposi. Credo fosse la prima volta che mi mostravo in collera.

«‘Perché dovresti farlo?’ chiese con aria fintamente allarmata. ‘Hai ancora molte cose da imparare… non è vero?’ Rideva, camminando lentamente per la stanza. Fece scorrere le dita sulla rifinitura di seta della spinetta. ‘Tu suoni?’ mi chiese.

«Io ringhiai qualcosa come: ‘Non toccarla!’ e lui mi rise in faccia. ‘La tocco finché mi pare’ ribatté. ‘Tu non sai, per esempio, tutti i modi in cui puoi morire. E morire adesso sarebbe così spiacevole… non trovi?’

«‘Ci sarà pure qualcun altro al mondo in grado di insegnarmi queste cose’ dissi. ‘Non sarai mica l’unico vampiro! E tuo padre avrà forse settant’anni: non puoi essere un vampiro da molto tempo, avrai pure avuto qualcuno che ti ha istruito…’

«‘E tu credi di riuscire a trovare degli altri vampiri da solo? Loro potrebbero vederti arrivare, mio caro, ma tu non li vedresti. A me non sembra che tu abbia molte alternative. Io sono il tuo maestro e tu hai bisogno di me, ti piaccia o no. E tutti e due abbiamo della gente a cui badare. Mio padre ha bisogno di un dottore, e ci sono tua madre e tua sorella. Non avere la malaugurata idea di andargli a dire che sei un vampiro; tu preoccupati di loro e di mio padre: domani notte farai meglio a uccidere alla svelta e dedicarti subito alla piantagione. Adesso, a letto! Dormiremo nella stessa stanza: è molto meno rischioso’.

«‘No. La stanza da letto tientela per te. Non ho alcuna intenzione di stare nella stessa camera con te!’

«Lestat andò su tutte le furie. ‘Ti proibisco di fare stupidaggini, Louis. T’avverto: non c’è niente che tu possa fare per difenderti una volta che sorge il sole, niente. Stanze separate vuol dire difese separate. Doppie precauzioni e doppie possibilità d’essere scoperti’. Poi elencò una serie di minacce spaventose per convincermi, ma era come se parlasse a un muro. Lo guardavo assorto, ma non lo ascoltavo. Lo vedevo fragile e stupido, un uomo fatto di ramoscelli secchi con una voce sottile, lagnosa. ‘Dormo da solo’ dissi, e spensi piano, una a una, le fiamme delle candele, soffocandole nella mano. ‘È quasi mattino’ insistette lui.

«‘Allora chiuditi dentro’ gli risposi. Abbracciai la bara, la sollevai e la trasportai giù per le scale di mattone. Sentivo lo scatto delle serrature delle porte-finestre di sopra, e il fruscio dei tendaggi. Il cielo impallidiva ma era ancora spruzzato di stelle, e un’altra pioggia leggera soffiava col vento del fiume chiazzando il selciato. Aprii la porta della cappella di mio fratello, spingendo indietro le rose e le spine che l’avevano quasi sigillata, e deposi la bara sul pavimento di pietra davanti all’inginocchiatoio. Riuscivo quasi a scorgere le immagini dei santi sulle pareti. ‘Paul’ dissi piano, rivolgendomi a mio fratello, ‘per la prima volta nella mia vita non provo niente per te, per la tua morte; e per la prima volta sento per te ogni cosa, sento il dolore della tua perdita come mai prima sapevo sentire’. Capisci…»

Il vampiro si volse verso il ragazzo. «Per la prima volta adesso ero pienamente e completamente un vampiro. Serrai perfettamente le imposte di legno delle finestrelle con le sbarre e sprangai la porta. Poi salii nella bara foderata di raso riuscendo a stento a vedere il luccichio della stoffa nell’oscurità, e mi ci chiusi dentro. È così che sono diventato un vampiro».

«E così lei era lì» disse il ragazzo dopo una pausa, «insieme a un altro vampiro che odiava».

«Eppure dovevo stare con lui: come ti dissi, m’aveva messo in una posizione di grande svantaggio nei suoi confronti. Mi aveva convinto che c’erano molte cose che ancora non sapevo e solo lui era in grado d’insegnarmi. In realtà invece la maggior parte di quello che imparai erano consigli pratici a cui sarei potuto arrivare facilmente anche da solo: per esempio, che avremmo potuto viaggiare per nave e farci trasportare le bare raccontando che contenevano le spoglie dei nostri cari spedite per essere sepolte; che nessuno avrebbe osato aprirle, e che avremmo potuto uscircene di notte per ripulire la nave dai topi — cose di questo genere. Poi c’erano i negozi e i commercianti di sua conoscenza che ci facevano entrare molto dopo l’orario di chiusura per vestirci secondo i canoni della più raffinata moda parigina, e gli agenti disposti a trattare questioni finanziarie nei ristoranti e nei cabaret. In tutte queste faccende mondane, Lestat era un discreto maestro. Che specie di uomo fosse stato nella vita, non ero in grado di dirlo, né m’importava; ma adesso sembrava sotto tutti i rispetti appartenere alla mia stessa classe, il che significava ben poco per me, se non che le nostre esistenze procedevano un po’ più tranquillamente di quanto sarebbe potuto accadere altrimenti. Aveva un gusto impeccabile, anche se per lui la mia biblioteca era solo ‘un mucchio di polvere’, e più d’una volta mi parve s’imbestialisse vedendomi leggere un libro o scrivere qualche osservazione su un diario. ‘Sciocchezze da mortale’ mi diceva, e nel frattempo spendeva tanti di quei soldi, soldi miei, per arredare sontuosamente Pointe du Lac, che persino io, che non sono per niente avaro, avevo dei momenti di perplessità. E quando intratteneva i visitatori di Pointe du Lac — quegli infelici viaggiatori che risalivano la strada del fiume a cavallo o in carrozza e chiedevano ospitalità per la notte, sfoggiando lettere di presentazione di altri coloni o di ufficiali di New Orleans — con questi era tanto gentile e garbato da rendermi molto più facile sopportarlo, sebbene mi sentissi irrimediabilmente legato a lui e fossi sempre più esasperato dalla sua perversità».

«Ma a questi uomini non faceva del male?» chiese il ragazzo.

«Oh sì, spesso. Ora ti rivelerò un piccolo segreto, se mi permetti, che riguarda non solo i vampiri, ma generali, soldati e re. Alla maggior parte di noi è più gradito vedere qualcuno morire che essere fatto oggetto di scortesie sotto il nostro tetto. Strano… sì. Ma molto vero, ti assicuro. Che Lestat andasse a caccia di mortali ogni notte, lo sapevo; ma se si fosse comportato in modo incivile o sgradevole con la mia famiglia, coi miei ospiti o coi miei schiavi, non lo avrei sopportato. Invece no. Sembrava dilettarsi particolarmente dei visitatori. E diceva che non bisognava badare a spese quando si trattava delle nostre famiglie. Faceva vivere suo padre in un lusso che sfiorava il ridicolo: quel vecchio cieco si sentiva continuamente raccontare quanto fossero belli e costosi i suoi abiti e le sue giacche da camera, quali tessuti d’importazione fossero stati appena sistemati sul suo letto, quali vini francesi e spagnoli avessimo in cantina, e quanto producesse la piantagione anche nelle annate cattive quando tutti meditavano di abbandonare completamente la produzione di indaco e di darsi allo zucchero. Altre volte invece Lestat faceva il prepotente col vecchio. Dava in tali escandescenze che il poveretto si metteva a piangere come un bambino. ‘Non ti faccio vivere in un lusso principesco?’ gli gridava Lestat. ‘Non provvedo a tutti i tuoi bisogni? Smettila di frignare che vuoi andare a messa o a trovare i vecchi amici! Che sciocchezze! I tuoi vecchi amici sono morti! Perché non muori anche tu, così lasci in pace me e le mie finanze!’ Il vecchio piagnucolava a voce bassa che quelle cose significavano così poco per lui, alla sua età; che lui si sarebbe accontentato della sua piccola fattoria, per sempre. Desiderai spesso chiedergli: ‘Dov’era questa fattoria? Da dove venite?’ per ottenere qualche informazione sul posto in cui Lestat poteva aver conosciuto un altro vampiro. Ma non osai sollevare la questione per paura che il vecchio attaccasse a piangere e Lestat andasse su tutte le furie. Ma questi scatti non erano più frequenti dei periodi di gentilezza quasi ossequiosa in cui Lestat portava il vassoio della cena a suo padre e lo nutriva pazientemente intrattenendolo sul tempo, su cos’era successo a New Orleans e sulle attività di mia madre e di mia sorella. Era evidente che c’era un abisso tra padre e figlio, sia per educazione che per sensibilità, ma non riuscivo a immaginarmi come fosse potuto succedere. E verso questa faccenda riuscii ad assumere un distacco in qualche modo coerente.

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