Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Oh!» Il ragazzo schiacciò veloce il filtro nel portacenere. «Vuol dire che quando si annullò la distanza fra di voi, lui perse tutto… il suo fascino?» I suoi occhi erano inchiodati sul vampiro e le sue mani estraevano sigaretta e fiammifero con molta più disinvoltura di prima.

«Proprio così» assentì il vampiro con evidente soddisfazione. «Il viaggio di ritorno a Pointe du Lac fu esaltante. Ma l’interminabile cianciare di Lestat fu senz’altro la cosa più noiosa e sgradevole che mi sia mai capitata. Certo, come ho detto, ero ancora lontano dall’essere uguale a lui. Dovevo lottare ancora contro il mio corpo che mi stava abbandonando. E incominciai quella notte stessa, quando dovetti eseguire il mio primo omicidio».

Il vampiro allungò il braccio attraverso il tavolo e tolse delicatamente della cenere dal bavero del ragazzo; questo, allarmato, fissò con gli occhi sgranati la mano che si ritraeva. «Scusami» disse il vampiro. «Non volevo farti paura».

«Mi scusi lei» ribattè il ragazzo. «Ho solo avuto l’impressione che il suo braccio fosse… stranamente lungo. È arrivato così lontano senza muoversi!»

«No» spiegò il vampiro, appoggiando ancora le mani sulle gambe accavallate. «Mi sono spostato tanto velocemente che tu non hai potuto vedermi. Era un’illusione».

«Lei si è spostato? Ma no, è rimasto seduto dov’è adesso, appoggiato allo schienale della sedia».

«No» ripeté il vampiro con voce ferma. «Mi sono proprio spostato. Così». E lo rifece. Il ragazzo lo osservò, tra il confuso e l’impaurito. «Non l’hai visto neanche questa volta» disse il vampiro. «Ma osserva il mio braccio: vedi? così disteso è di lunghezza normale, vero?» E sollevò il braccio, con l’indice puntato verso il cielo come se fosse un angelo che stava per annunciare il Verbo del Signore. «Hai avuto un’idea della differenza fondamentale tra il tuo modo di vedere e il mio. A me il mio gesto è apparso lento, quasi languido. E il rumore del mio dito che ti toglieva la cenere dalla giacca era del tutto udibile: forse adesso puoi capire perché il mio ritorno a Pointe du Lac fu una festa di nuove esperienze, il semplice oscillare di un ramo nel vento una vera delizia».

«Sì» fece il ragazzo; ma appariva ancora molto turbato. Il vampiro lo guardò un istante, poi disse: «Ti stavo dicendo…»

«Del primo omicidio».

«Sì. Innanzitutto nella piantagione s’era scatenato un pandemonio: il corpo del sorvegliante era stato scoperto, e così pure, nella stanza da letto principale, quel vecchio cieco, di cui nessuno sapeva spiegarsi la presenza. E nessuno era riuscito a trovarmi a New Orleans; mia sorella s’era messa in contatto con la polizia: quando arrivai a Pointe du Lac trovai parecchi poliziotti. Naturalmente era già buio; Lestat mi spiegò in fretta che non dovevo farmi vedere dalla polizia nemmeno alla luce più debole, tanto meno ora, che mi trovavo in condizioni così particolari. Parlai con loro nel viale delle querce davanti alla casa della piantagione, ignorando le richieste di entrare in casa; spiegai che la notte prima ero stato a Pointe du Lac e il vecchio cieco era mio ospite. Quanto al sorvegliante, non era stato lì quella notte: s’era recato a New Orleans per affari.

«Sistemata questa faccenda, nella quale il mio nuovo distacco dalle emozioni umane mi servì a meraviglia, mi si presentò il problema della piantagione. I miei schiavi versavano in uno stato di confusione totale, in tutta la giornata non si era lavorato per niente. Avevamo un grosso impianto per la produzione di tintura di indaco; per questo la direzione del sorvegliante era stata quanto mai importante. Ma disponevo di parecchi schiavi in gamba che avrebbero potuto sostituire il sorvegliante egregiamente già molto tempo prima, se solo ne avessi riconosciuto l’intelligenza e non ne avessi temuto l’aspetto e i modi africani. Ora li studiai attentamente e affidai a loro l’incarico dell’amministrazione. Al migliore promisi la casa del sorvegliante. Scegliemmo due giovani donne dai campi che si prendessero cura del padre di Lestat; dissi loro che esigevo la massima discrezione per la mia vita privata e che sarebbero stati tutti ricompensati non solo per il servizio, ma anche per non disturbare né me né Lestat. Allora non mi rendevo conto che questi schiavi sarebbero stati i primi — e probabilmente gli unici — a sospettare che io e Lestat non eravamo esseri normali: non avevo pensato che la loro conoscenza del soprannaturale era di parecchio superiore a quella dei bianchi; inesperto com’ero, li concepivo ancora come infantili selvaggi appena addomesticati dalla schiavitù. Mi sbagliavo di grosso. Ma fammi continuare la mia storia… stavo per raccontarti il mio primo omicidio: Lestat me lo rovinò con la sua tipica mancanza di buon senso».

«Lo rovinò?»

«Non avrei mai dovuto incominciare con gli esseri umani. Ma anche questa è una cosa che ho dovuto imparare da solo. Lestat volle che ci precipitassimo nelle paludi subito dopo che le faccende con la polizia e gli schiavi furono sistemate. Era molto tardi e le baracche degli schiavi erano completamente buie. Presto non vedemmo più le luci di Pointe du Lac e io cominciai ad agitarmi. Era di nuovo la stessa storia: timori portati dalla memoria, turbamento. Lestat, se avesse avuto un minimo di sensibilità, avrebbe potuto spiegarmi le cose con pazienza e gentilezza: che non era proprio il caso che temessi le paludi, che ero assolutamente invulnerabile ai serpenti e agli insetti, e che dovevo concentrarmi sulla mia nuova facoltà di vedere nella completa oscurità. Invece mi vessava coi rimproveri. Si interessava soltanto alle nostre vittime, a portare a termine la mia iniziazione e non pensarci più.

«Così, quando incontrammo le nostre vittime, Lestat mi spinse subito all’azione. Era un piccolo campo di schiavi fuggitivi: Lestat li aveva già visitati e ne aveva sterminati circa un quarto, aspettando nel buio che qualcuno di loro si allontanasse dal fuoco, o assalendoli nel sonno. Non s’erano mai accorti della presenza di Lestat. Dovemmo stare appostati per più di un’ora prima che uno degli uomini — erano tutti uomini — lasciasse finalmente la radura inoltrandosi appena nel bosco. Qui si slacciò i calzoni ed espletò una normale necessità fisiologica; ma quando si voltò per andarsene Lestat mi scosse e disse: ‘Prendilo’». Il vampiro sorrise notando gli occhi atterriti del ragazzo. «Credo di aver sentito lo stesso orrore che forse provi tu ora. Ma non sapevo di poter uccidere animali anziché uomini. Dissi precipitosamente a Lestat che non avrei mai potuto assalire quell’uomo. E lo schiavo sentì la mia voce: si voltò, la schiena rivolta al fuoco lontano, e cercò nel buio. Poi, rapido e silenzioso, estrasse dalla cintura un lungo coltello. Tranne i calzoni e la cintura, era nudo: un giovane alto, robusto, pelle lustra. Disse qualcosa in dialetto francese, poi avanzò. Mi resi conto che, benché io lo potessi vedere chiaramente nel buio, lui non vedeva noi. Mi lasciò esterrefatto la velocità con cui Lestat gli fu addosso, agganciandolo per il collo e bloccandogli contemporaneamente il braccio sinistro. Lo schiavo si mise a gridare e cercò di liberarsi da Lestat, che gli affondò i denti nel collo: l’uomo si irrigidì come morso da un serpente. Cadde in ginocchio, e Lestat lo finì alla svelta perché alcuni schiavi stavano accorrendo. ‘Mi disgusti’ disse tornando da me. Eravamo come neri insetti, perfettamente mimetizzati nella notte, che osservavano gli schiavi muoversi, ignari della nostra presenza, scoprire l’uomo ferito, portarselo via, sparpagliarsi tra il fogliame alla ricerca dell’aggressore. ‘Su, dai, dobbiamo trovarne un altro prima che tutti facciano ritorno al campo’ disse Lestat. E rapidamente ripartimmo dietro a un uomo rimasto isolato dagli altri. Io ero ancora terribilmente agitato, convinto che non ce l’avrei fatta ad aggredirlo e senza alcun desiderio di farlo. C’erano parecchie cose, come ho accennato, che Lestat avrebbe potuto dire e fare. Avrebbe avuto mille maniere di rendere questa esperienza più preziosa per me. Ma non fece nulla».

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