Anne Rice - Intervista col vampiro
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- Название:Intervista col vampiro
- Автор:
- Издательство:Salani
- Жанр:
- Год:1977
- Город:Firenze
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Il viso del ragazzo era teso, tra il confuso e lo sbigottito. «Così decise di diventare un vampiro?» azzardò. Il vampiro rimase in silenzio per un momento.
«Decisi. Non è la parola giusta. Eppure mentirei se dicessi che fu inevitabile a partire dal momento in cui lui entrò nella stanza. No, non fu inevitabile; e non posso nemmeno dire che lo decisi; diciamo che quando ebbe finito di parlare, non mi rimaneva alcun’altra decisione possibile, e proseguii per la mia strada senza mai voltarmi indietro. Tranne una volta».
«Una volta? Quale?»
«La mia ultima aurora. Quella mattina non ero ancora un vampiro. E vidi la mia ultima aurora.
«Me ne ricordo perfettamente; il buffo è che non mi pare di ricordare nessun’altra aurora prima di quella. Rammento che la luce apparve prima in cima alle porte-finestre: un chiarore dietro le tende di merletto, poi un bagliore a chiazze tra le foglie degli alberi, sempre più luminoso. Infine il sole irruppe dalle finestre e ombre di merletto si distesero sul pavimento di pietra e su tutta la sagoma di mia sorella, che dormiva ancora, ombre di merletto sullo scialle che le copriva le spalle e la testa. Appena sentì caldo, respinse lo scialle senza svegliarsi; poi, la piena luce del sole si posò sui suoi occhi, e lei serrò le palpebre. Il sole brillava sul tavolo dove lei riposava, la testa sulle braccia; brillava, fiammeggiava nell’acqua della brocca. Lo sentivo sulle mie mani stese sul copriletto, poi sul viso. Restai a letto a ripensare a tutte le cose che m’aveva detto il vampiro, poi dissi addio all’aurora e diventai un vampiro. Fu… la mia ultima aurora».
Di nuovo lo sguardo del vampiro vagava fuori della finestra; quando smise di parlare, il silenzio calò così improvviso che al ragazzo sembrava palpabile. Poi udì i rumori della strada. Il rombare assordante di un camion. Il cordone della lampada si mosse per la vibrazione. Il camion passò.
«Ne sente la mancanza?» domandò con voce flebile.
«Non direi» rispose il vampiro. «Ci sono tante altre cose… ma dove eravamo rimasti? Vuoi sapere come fu che diventai un vampiro?»
«Sì. Come avvenne il cambiamento in lei, esattamente?»
«Non posso veramente raccontartelo; posso parlarti della cosa, racchiuderla in parole che potranno spiegarti il valore che ha per me, ma non riuscirò a descriverla esattamente. Sarebbe come se ti volessi raccontare l’esperienza sessuale senza che tu l’abbia mai vissuta».
Improvvisamente un’altra idea parve illuminare il giovane, ma prima che potesse parlare il vampiro riprese: «Come dicevo, questo vampiro, Lestat, voleva la mia piantagione: una ragione piuttosto banale, senza dubbio, per concedermi una vita che durerà fino alla fine del mondo; ma lui non era una persona che andava tanto per il sottile, non considerava la piccola popolazione mondiale di vampiri come un circolo di eletti, direi. Aveva problemi umani, un padre cieco che ignorava che suo figlio era un vampiro e non doveva scoprirlo. La vita a New Orleans era diventata troppo difficile per lui, tenuto conto dei suoi bisogni e della necessità di prendersi cura del padre, perciò voleva Pointe du Lac.
«La sera seguente ci recammo subito alla piantagione, sistemammo il padre cieco nella stanza da letto principale, e cominciò la mia trasformazione. Non posso dire che sia consistita in un passo determinato, sebbene ci sia stato un passo oltre il quale non potevo più tornare indietro. Furono necessarie diverse azioni, tra cui anzitutto la morte del sorvegliante. Lestat lo assalì nel sonno. Io dovevo assistere e approvare, essere testimone della soppressione d’una vita umana per dimostrare il mio impegno e la mia trasformazione in atto. Questo fu senza dubbio il momento più difficile per me. Prima t’ho detto che non avevo paura di morire, solo un certo ribrezzo all’idea del suicidio. Ma avevo un grandissimo rispetto per la vita altrui, e un terrore della morte che si era sviluppato di recente, a causa di mio fratello. Fui costretto invece a osservare il sorvegliante che si destava di soprassalto, che cercava, invano, di liberarsi di Lestat respingendolo con ambo le mani, per poi ricadere, lottare sotto la stretta di Lestat, e infine afflosciarsi, dissanguato. E morire. Non morì subito. Restammo in quella angusta stanza da letto a vederlo agonizzare per quasi un’ora. Questa operazione era necessaria per la mia trasformazione, altrimenti Lestat non sarebbe mai rimasto. Poi dovemmo eliminare il corpo del sorvegliante: fui lì lì per vomitare. Già debole e febbricitante, avevo poche riserve; maneggiare un cadavere, in quella situazione, mi provocò la nausea. Lestat rideva, dicendomi cinicamente che mi sarei sentito molto diverso quando fossi stato un vampiro, che ne avrei riso anch’io. Su questo si sbagliava: la morte non mi ha mai fatto ridere, per quanto frequentemente e regolarmente io ne sia la causa.
«Ma andiamo con ordine. Percorremmo la strada lungo il fiume finché, giunti a un campo aperto, potemmo abbandonare il corpo del sorvegliante. Gli strappammo il cappotto, gli rubammo il denaro e gli macchiammo le labbra di liquore. Conoscevo sua moglie, che viveva a New Orleans, e sapevo in che stato di disperazione sarebbe crollata quando avessero scoperto il cadavere. Ma soprattutto m’addolorò pensare che non avrebbe mai saputo cos’era veramente successo, che suo marito non era stato sorpreso ubriaco dai rapinatori lungo la strada. Di minuto in minuto, mentre tempestavamo di lividi il suo corpo e il suo volto, sentivo crescere in me l’agitazione. Per tutta la durata dell’operazione, Lestat fu straordinario. Non mi appariva più umano d’un angelo biblico. Tuttavia sotto quella pressione l’incantesimo si era indebolito. Avevo concepito la mia trasformazione in vampiro sotto due luci diverse. Da una parte si trattava semplicemente di una malia: Lestat mi aveva sopraffatto sul letto di morte. Ma dall’altra c’era la voglia di autodistruggermi, di dannarmi completamente. Questa era la porta aperta per cui era entrato Lestat, sia nella prima che nella seconda occasione, ma ora non stavo distruggendo me stesso, bensì qualcun altro: il sorvegliante, sua moglie, la sua famiglia… Indietreggiai e probabilmente sarei fuggito da Lestat, con l’equilibrio in pezzi, se lui non avesse intuito, con istinto infallibile…» Il vampiro rifletté. «L’istinto potente del vampiro per cui anche il più impercettibile cambiamento nell’espressione del volto umano ha l’evidenza d’un gesto. Lestat aveva un tempismo sovrannaturale. Mi spinse di furia nella carrozza e sferzò i cavalli verso casa. ‘Voglio morire’ incominciai a protestare. ‘È intollerabile. Voglio morire. Tu puoi uccidermi. Fammi morire’. Mi rifiutavo di guardarlo, di lasciarmi ammaliare dalla sua assoluta bellezza. Mi chiamò per nome, a voce bassa, ridendo… Era proprio deciso a ottenere la piantagione».
«Ma l’avrebbe lasciata andare?» chiese il ragazzo. «E a quali condizioni?»
«Non so. Conoscendo Lestat come lo conosco adesso, direi che piuttosto di lasciarmi andare m’avrebbe ucciso. Ma era questo che volevo, capisci? Non m’interessava vivere. O almeno così credevo. Appena arrivammo a casa, scesi dalla carrozza e mi avviai, come uno zombi, verso la scala di mattoni da cui era caduto mio fratello. Da mesi ormai la casa era abbandonata, dato che il sorvegliante aveva la sua villetta, e il caldo e l’umido della Louisiana avevano già cominciato a sgretolare i gradini. Da ogni fessura spuntava l’erba e persino dei piccoli fiori selvatici. Ricordo di aver sentito la fresca umidità della notte quando mi sedetti sui gradini in basso; abbandonai il capo contro il muro di mattoni e carezzai quei fiorellini dai gambi cerosi. Ne strappai un ciuffo dal terriccio molle e lo strinsi in mano. ‘Voglio morire! Uccidimi, uccidimi!’ supplicai il vampiro. ‘Ho ucciso un uomo, non posso più vivere!’ Lui sogghignò col fare impaziente di chi è costretto ad ascoltare palesi bugie; poi, in un lampo, si avvinghiò a me, come aveva fatto con quell’uomo. Io tentai di divincolarmi percuotendolo selvaggiamente. Gli affondai uno stivale nel petto e lo riempii di calci, con tutta la violenza di cui ero capace, mentre i suoi denti mi pungevano la gola e le tempie battevano per la febbre. Poi, con mossa tanto fulminea che non riuscii a vederla, me lo trovai ritto ai piedi degli scalini, sprezzante. ‘Credevo volessi morire, Louis’ mi disse».
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