Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«‘Stai morendo, tutto qui; non fare lo stupido. Non hai delle lampade a olio? Con tutto il denaro che hai puoi permetterti olio di balena solo per una lanterna? Portamela’. «‘Sto morendo!’ gridai. ‘Morendo!’ «‘Capita a tutti’ ribatté ostinato, negandomi ogni aiuto. Quando ci ripenso, provo ancora disprezzo per lui. Non perché avevo paura, ma perché avrebbe potuto condurmi a seguire questa trasformazione col dovuto rispetto, calmarmi e spiegarmi che potevo osservare la mia morte con gli stessi occhi affascinati con cui avevo osservato e sentito la notte. Ma non lo fece. Lestat non fu mai un vampiro come me. Mai». Non lo disse con tono vanaglorioso, ma come se desiderasse sinceramente che le cose fossero andate in modo diverso.

« Alors» sospirò. «Stavo morendo velocemente, il che significava che la mia capacità di provare paura diminuiva altrettanto rapidamente. Rimpiango solo di non essere stato più attento alla trasformazione. Lestat si comportava da idiota. ‘Oh, per la malora!’ cominciò a gridare. ‘Ma io non ho pensato a sistemarti! Sono proprio scemo!’ Ero tentato di dirgli ‘Sì, lo sei…’ ma non lo feci. ‘Per questa mattina dormirai con me: non ho ancora provveduto alla tua bara’».

Il vampiro rise. «L’idea della bara mi scatenò un terrore tale da esaurire ogni capacità di spaventarmi che mi era rimasta. Poi provai solo un leggero brivido all’idea di dover dividere una bara con Lestat. Lui era andato nella stanza da letto di suo padre a dargli la buonanotte e a dirgli che sarebbe tornato al mattino. ‘Ma dove vai, si può sapere come mai hai questi orari sballati?’ domandò il vecchio, e Lestat si spazientì. Da garbato qual era stato, al punto di risultare quasi stomachevole, si fece prepotente. ‘Non mi prendo cura di te, forse? Ho piazzato un tetto sulla tua testa molto migliore di quanti tu ne abbia mai piazzati sulla mia! Se ho voglia di dormire tutto il giorno e bere tutta la notte, lo faccio, e se a te non va, puoi andare al diavolo!’ Il vecchio si mise a piangere. Solo il mio particolare stato emotivo e l’anormale sensazione di sfinimento che avvertivo m’impedirono di esprimere la mia disapprovazione. Osservavo la scena attraverso la porta aperta, affascinato dalle tinte del copriletto e dal vero e proprio turbinio di colori sul viso del vecchio. Le vene azzurre pulsavano sotto la carne rosata e grigiastra. Trovavo attraente persino il giallo dei suoi denti, ed ero quasi ipnotizzato dal tremolio delle sue labbra. ‘Che figlio, che figlio!’ balbettò il vecchio, che ovviamente non aveva mai sospettato la vera natura. ‘Va bene, vai. So che hai una donna da qualche parte: vai a trovarla al mattino appena il marito se ne va. Dammi il rosario. Cos’è successo al mio rosario?’ Lestat bestemmiando gli porse il rosario…»

«Ma…» incominciò il ragazzo.

«Sì?» disse il vampiro. «Mi sa che non ti lascio fare abbastanza domande».

«Dicevo… ma i rosari non hanno delle croci?»

«Oh, la leggenda delle croci!» il vampiro rise. «Ti riferisci alla nostra paura delle croci?»

«Credevo non poteste nemmeno guardarle».

«Idiozie, amico mio, pure idiozie. Io posso guardare tutto quello che voglio; in particolare, non mi dispiace affatto guardare i crocifissi».

«E quella diceria a proposito dei buchi della serratura… che potete… diventare vapore e passarci attraverso?»

«Mi piacerebbe» sghignazzò il vampiro. «Assolutamente fantastico. Mi piacerebbe passare per ogni specie di serratura e sentire il solletico provocato dalle loro forme particolari! No». Scosse la testa. «Questa è, come direste oggi… una cazzata?»

Il ragazzo rise suo malgrado. Poi il suo viso si fece serio.

«Non devi essere così timido con me» lo incoraggiò il vampiro. «Avanti!»

«E i pioli nel cuore?» Le guance del ragazzo si colorarono appena.

«Altra cazzata». Il vampiro articolò con cura le sillabe, tanto che il ragazzo dovette sorridere. «Nessun potere magico. Perché non ti fumi una sigaretta? Vedo che le hai nel taschino della camicia».

«Oh, grazie» disse il ragazzo, come se gli fosse stata rivelata una magica ricetta; ma appena mise la sigaretta tra le labbra, le mani gli tremarono così violentemente che fece scempio del primo fragile fiammifero.

«Permettimi» fece il vampiro. Prese la scatola dei fiammiferi e rapidamente ne accostò uno alla sigaretta del ragazzo, che aspirò, gli occhi fissi sulle dita del vampiro. Poi il vampiro si ritrasse dal tavolo con un delicato fruscio delle vesti. «C’è un portacenere nel lavandino» disse; il ragazzo scattò per prenderlo, fissò un attimo i pochi mozziconi che c’erano dentro e adocchiando un cestino per la carta straccia vi vuotò il portacenere, che depose veloce sul tavolo. Vi appoggiò la sigaretta, su cui le sue dita avevano lasciato delle impronte umide. «È sua questa stanza?» domandò.

«No» rispose il vampiro. «È solo una stanza».

«Poi cosa accadde?» chiese il ragazzo. Il vampiro sembrava intento a osservare il fumo che passava sotto la lampadina.

«Ah… ritornammo in gran fretta a New Orleans. Lestat aveva la bara in una squallida camera vicino ai bastioni».

«E lei entrò nella bara?»

«Non avevo scelta. Pregai Lestat di lasciarmi stare nello sgabuzzino, ma lui rise allibito. ‘Non sai che cosa sei?’ mi disse. ‘Ma cos’è, magia? Deve per forza avere questa forma?’ implorai. Mi rispose con un’altra risata. Non riuscivo a sopportare l’idea; eppure mi stavo rendendo conto di non avere alcuna paura: trovavo la cosa ben strana. Per tutta la vita avevo avuto paura dei luoghi chiusi; nato e cresciuto in Francia tra soffitti altissimi e finestre che arrivavano al suolo, avevo un vero terrore degli spazi ristretti. Mi sentivo a disagio persino nel confessionale, in chiesa: una paura abbastanza normale. E adesso, mentre discutevo con Lestat, m’accorsi di non provarne affatto; solo, me ne ricordavo. Mi ci attaccavo per abitudine, perché ancora non sapevo valutare la mia nuova ed emozionante libertà. ‘Ti stai comportando male’ disse Lestat alla fine. ‘Ed è quasi l’alba; dovrei lasciarti morire. Perché morirai, lo sai. Il sole distruggerà il sangue che ti ho dato, in ogni tessuto, in ogni vena. Ma non dovresti avere paura. Sembri uno di quei tipi che perdono un braccio o una gamba e continuano a sostenere di sentire dolore dove hanno perso l’arto’. Be’, fu senz’altro la cosa più intelligente e utile che Lestat abbia mai detto in mia presenza, e mi convinse all’istante. ‘Allora, io entro nella bara’ m’annunciò alla fine col tono più sprezzante di cui era capace, ‘e tu ti metterai sopra di me, se hai capito bene’. Eseguii. Mi sdraiai bocconi su di lui, estremamente turbato dal fatto di non provare il minimo terrore, e pieno di disgusto per la sua vicinanza, malgrado fosse bello e affascinante. Chiuse il coperchio. Gli domandai se fossi completamente morto. Sentivo formicolii e pruriti ovunque. ‘No, allora vuoi dire di no’ mi disse. ‘Quando lo sarai, potrai udire e vedere il tuo corpo cambiare senza sentire niente. Entro stanotte dovresti essere morto. Dormi’».

«Aveva ragione? Lei era già… morto quando si svegliò?»

«Sì. Cambiato, direi. Perché ovviamente sono vivo. Solo il mio corpo era morto. Anche prima che si fosse purificato completamente dai fluidi e dalla materia di cui non aveva più bisogno, era morto. Quando me ne resi conto entrai in un’ altra fase del mio abbandono delle emozioni umane. Innanzi tutto, mentre io e Lestat caricavamo la bara su un carro funebre e ne rubavamo un’altra da una camera mortuaria, capii che quel vampiro non mi piaceva affatto. Non avevo ancora tutti i suoi poteri, ma gli ero infinitamente più vicino di quanto lo ero stato prima della morte del mio corpo. Non te lo posso spiegare meglio per l’ovvia ragione che tu sei com’ero io prima che il mio corpo morisse. Non puoi capire. Ma prima della mia morte Lestat era stato in senso assoluto l’ esperienza più travolgente che avessi mai avuto. La tua sigaretta è ridotta a un cilindro di cenere».

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