Anne Rice - Intervista col vampiro
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- Название:Intervista col vampiro
- Автор:
- Издательство:Salani
- Жанр:
- Год:1977
- Город:Firenze
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«‘Chiedevi l’impossibile!’ dissi con foga. ‘Non vedi? E anch’io, fin dall’inizio’.
«Armand protestò, ma la negazione si formò appena sulle sue labbra, e lui alzò la mano come per stornarla.
«‘Pretendevo amore e bontà in questa che è la morte vivente’ continuai. ‘Era impossibile fin dall’inizio: non si può avere amore e bontà quando si fa ciò che si sa che è il male, ciò che si sa che è sbagliato. Si può solo avere la disperata confusione, nostalgia e ricerca di un’illusoria bontà in forma umana. Conoscevo la vera risposta alle mie domande ancor prima di arrivare a Parigi. Lo sapevo anche la prima volta che soppressi una vita umana per appagare la mia brama. Era la mia morte. Eppure non volevo accettarlo, non potevo accettarlo, perché, come ogni altra creatura, non volevo morire! E così ho cercato altri vampiri, Dio, il diavolo, cento cose con cento nomi. Ed era sempre la stessa cosa, sempre il male. E sempre errore. Perché nessuno riusciva a convincermi in nessun modo di ciò che io stesso sapevo essere vero, che ero dannato nella mia mente e nella mia anima. E quando arrivai a Parigi, pensai che tu fossi potente e bello e che non conoscessi il rimpianto, e desiderai disperatamente tutto questo. Ma tu eri un distruttore, come me, solo più spietato e astuto. Tu mi mostrasti la sola cosa che io potessi davvero sperare di diventare, in quale abisso di male e di freddezza avrei dovuto calarmi per porre fine al mio dolore. E io l’accettai. E così quella passione, quell’amore che tu avevi visto in me, fu estinto. E quel che vedi adesso è solo lo specchio di te stesso’.
«Passò molto tempo prima che parlasse. Si era alzato in piedi e guardava il fiume dandomi le spalle, la testa china come prima e le mani lungo i fianchi. Anch’io guardavo il fiume. Pensavo con calma: ‘Non c’è più nulla che io possa dire o fare’.
«‘Louis’ mi chiamò allora, alzando la testa, con una voce molto roca, irriconoscibile.
«‘Sì, Armand’ risposi.
«‘C’è ancora qualcosa che ti posso dare? Hai bisogno di qualcosa da me?’
«‘No’ dissi. ‘Che vuoi dire?’
«Lui non rispose. Si allontanò lentamente. Credo di aver pensato che volesse allontanarsi di pochi passi soltanto, forse per vagare da solo lungo la spiaggia fangosa. E quando mi resi conto che mi stava abbandonando, Armand era ormai soltanto un puntino contro l’incerto tremolio della luna sull’acqua. Non lo rividi mai più.
«Naturalmente, soltanto parecchie notti più tardi capii veramente che se n’era andato. La sua bara era rimasta. Ma lui non vi fece ritorno. E diversi mesi dopo feci trasportare quella bara al cimitero di St. Louis e la feci sistemare nella cripta accanto alla mia. La tomba, da lungo tempo trascurata perché la mia famiglia si era estinta, accolse la sola cosa che Armand si era lasciato dietro. Ma poi quel pensiero incominciò a inquietarmi. Ci pensavo mentre passeggiavo, e ancora all’alba, proprio prima di chiudere gli occhi. E una notte andai in città e tirai fuori la bara, la feci a pezzi e la lasciai in mezzo allo stretto passaggio tra l’erba alta del cimitero.
«Quel vampiro che era l’ultimo rampollo di Lestat m’accostò una notte, non molto tempo dopo. Mi pregò di raccontargli tutto quello che sapevo del mondo, di diventare il suo compagno e il suo maestro. Gli risposi che ciò che sapevo era soprattutto che, se me lo fossi ancora trovato davanti, l’avrei distrutto. ‘Vedi, qualcuno deve morire ogni notte ch’io vado in giro, finché non avrò il coraggio di farla finita’ gli dissi. ‘E tu, tu che sei un assassino efferato quanto me, saresti una vittima eccellente’.
«Lasciai New Orleans la notte dopo perché la sofferenza non mi abbandonava. E non volevo pensare a quella vecchia casa in cui Lestat stava morendo. O a quel vampiro, quel tipo elegante, moderno, che era fuggito lontano da me. O ad Armand.
«Volevo andare dove non c’era nulla che mi fosse familiare e nulla che avesse importanza per me.
«E qui finisce la storia. Non c’è nient’altro».
Il ragazzo restò muto a guardare il vampiro. E il vampiro rimase tranquillo, con le mani giunte sul tavolo e gli occhi stretti, orlati di rosso, fissi sul nastro che girava. Il suo viso in quel momento era così scarno che si vedevano le vene delle tempie, quasi fossero state scolpite in rilievo nella pietra. Ed era così immobile nella sedia che soltanto i suoi occhi verdi tradivano la vita, e quella vita era solo il tiepido fascino che il vampiro provava per il girare del nastro.
Poi il ragazzo si tirò indietro e si passò disordinatamente le dita della mano destra nei capelli. «No» disse, prendendo un po’ di fiato. Poi ripeté più forte: «No!»
Il vampiro non diede segno di sentirlo. Il suo sguardo si mosse dai nastri alla finestra, verso il cielo scuro, grigio.
«Non doveva finire così!» esclamò il ragazzo, piegandosi in avanti.
Il vampiro, che continuava a guardare il cielo, fece una breve, secca risata.
«Tutte le cose che lei ha provato a Parigi!» esclamò il ragazzo, con la voce che aumentava di volume. «L’amore per Claudia, il sentimento, persino il sentimento per Lestat! Non era necessario che finisse, non così, non nella disperazione! Perché è questo di cui si tratta, non è vero? Disperazione!»
«Smettila» gli intimò bruscamente il vampiro, alzando la mano destra. Il suo sguardo si spostò quasi meccanicamente sul viso del ragazzo. «Ti ho detto e ti ripeto che non sarebbe potuta finire in nessun altro modo».
«Non lo accetto» protestò il ragazzo, e incrociò le braccia sul petto, scuotendo energicamente la testa. «Non posso!» L’emozione sembrava accumularsi in lui, così che, senza pensarci, fece strisciare la sedia sulle nude assi e si alzò, misurando a grandi passi il pavimento. Ma poi, quando si voltò e guardò di nuovo in faccia il vampiro, gli morirono in gola le parole che stava per pronunciare. Il vampiro lo fissava, e il suo viso ostentava finalmente quell’espressione, lungamente trattenuta, d’ira e di amaro divertimento insieme.
«Ma non capisce? È stata un’avventura come non ne ho mai sentite in tutta la mia vita! Lei parla di passione, parla di desiderio consumante! Parla di cose che milioni di uomini non arriveranno mai a provare né a capire. E poi mi viene a dire che finisce così. Sa cosa le dico…» E si fermò sopra al vampiro, con le mani tese davanti a sé. «Se solo mi desse quel potere! Il potere di vedere e di sentire e di vivere per sempre!»
Gli occhi del vampiro cominciarono lentamente a dilatarsi, le sue labbra a schiudersi. «Cosa!» domandò piano. « Cosa ?»
«Me lo dia!» pregò il ragazzo, stringendo la mano destra a pugno, battendosi il petto. «Faccia di me un vampiro, adesso!» gridò mentre il vampiro lo fissava stupefatto.
Ciò che accadde poi fu talmente veloce e confuso che il ragazzo a stento riuscì a vederlo, ma si concluse con il vampiro in piedi che teneva il ragazzo per le spalle, lo guardava con ira, e il viso del ragazzo, imperlato di sudore, era stravolto dalla paura. «È questo che vuoi?» sussurrò il vampiro, con le labbra esangui che tradivano appena il movimento. «Questo… dopo tutto quello che t’ho detto… questo è quello che chiedi?»
Un gridolino sfuggì dalle labbra del ragazzo, che cominciò a tremare in tutto il corpo, il sudore gli inondava la fronte e la pelle sopra al labbro superiore. Allungò cautamente la mano verso il braccio del vampiro. «Lei non sa com’è la vita umana!» proruppe, sul punto di scoppiare in lacrime. «L’ha dimenticato. Non capisce neppure il significato della sua storia, che cosa vuol dire essere una creatura umana come me». E poi un singhiozzo strozzato interruppe le sue parole, e le sue dita strinsero il braccio del vampiro.
«Dio!» esclamò il vampiro, e si allontanò dal ragazzo, spingendolo contro il muro e facendogli quasi perdere l’equilibrio. Si fermò, le spalle al ragazzo, a guardare la finestra grigia.
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