Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«La vista che mi si offrì, quando strisciai fino a una delle alte porte-finestre, era davvero stupefacente. Perché, nonostante il caldo di quella sera afosa, quando solo la veranda, persino con le sue assi deformate e rotte, avrebbe potuto essere l’unico posto tollerabile per un uomo o per un vampiro, un fuoco ardeva nel caminetto del salotto e tutte le finestre erano chiuse. Il giovane vampiro sedeva accanto a quel fuoco parlando con un altro vampiro molto vicino al caminetto, sollevando contro la grata rovente i piedi calzati di pantofole, e chiudendo continuamente con le dita tremanti i risvolti della frusta vestaglia azzurra. E sebbene un logoro cordone elettrico penzolasse da una ghirlanda di rose di stucco sul soffitto, soltanto una lampada a petrolio, sistemata sul tavolo accanto al bambino che piangeva, aggiungeva la sua luce fioca a quella del fuoco.

«Spalancai gli occhi e studiai quel vampiro che rabbrividiva, con la testa abbassata, la cui ricca chioma bionda ricadeva in molli onde a coprirgli il viso. Avrei voluto togliere la polvere dal vetro della finestra in modo da verificare il mio sospetto. ‘Mi abbandonate tutti!’ si lamentò il vampiro biondo con voce sottile e alta.

«‘Non puoi tenerci con te!’ rispose con tono brusco il giovane vampiro. Era seduto con le gambe accavallate, le braccia incrociate sull’esile busto, e guardava con aria di disprezzo la stanza polverosa e vuota. ‘Oh, silenzio!’ disse al bambino che si era messo a strillare. ‘Smettila, smettila’.

«‘La legna, la legna’ ordinò il vampiro biondo con voce flebile, e, come fece cenno all’altro di passargli la legna da ardere che stava accanto alla sua poltrona io riconobbi chiaramente, senza ombra di dubbio, il profilo di Lestat, quella pelle liscia ormai priva della pur minima traccia delle vecchie cicatrici.

«‘Se solo tu uscissi’ ringhiò quell’altro con rabbia, sollevando il grosso ceppo e mettendolo nel fuoco. ‘Se cacciassi qualcos’altro che non siano questi orrendi animali…’ E si guardò intorno con aria disgustata. Vidi, nell’ombra, i cadaverini pelosi di diversi gatti, buttati qua e là alla rinfusa nella polvere. Una cosa davvero straordinaria, perché un vampiro non sopporta la vicinanza delle sue vittime morte più di quanto qualsiasi mammifero possa restare vicino ai suoi escrementi. ‘Lo sai che è estate?’ domandò l’altro vampiro. Lestat si limitò a sfregarsi le mani. Il lamento del bimbo si spense, e il vampiro giovane aggiunse: ‘Su, deciditi con questo qui, prendilo, così ti scaldi’.

«‘Avresti potuto portarmi qualcos’altro!’ esclamò Lestat amaramente. E, quando guardò il bambino, vidi i suoi occhi stringersi contro la luce fosca della lampada fumosa. Fui sconvolto nel riconoscere quegli occhi, proprio quell’espressione adombrata dall’onda profonda dei capelli biondi. Eppure, sentire quella voce piagnucolosa, vedere quella schiena piegata e tremante! Quasi senza pensarci, picchiai forte sul vetro. Il giovane vampiro si alzò immediatamente con un’espressione dura, cattiva sul volto; ma io gli feci semplicemente cenno di girare il chiavistello. E Lestat, stringendosi la vestaglia alla gola, si alzò dalla poltrona.

«‘È Louis! Louis!’ esclamò. ‘Fallo entrare’. E gesticolò freneticamente, come un malato, perché il giovane ‘infermiere’ eseguisse.

«Come la finestra si aprì, respirai il fetore della stanza e il suo caldo soffocante. Il brulicare degli insetti sugli animali imputriditi mi graffiò i sensi al punto che arretrai senza volerlo, malgrado le suppliche disperate che mi rivolgeva Lestat. Là, nell’angolo in fondo, stava la bara dove dormiva, con la vernice che si staccava dal legno, semisommersa da pile di giornali ingialliti. E negli angoli c’erano ossa, tutte ripulite tranne che per qualche pezzettino e qualche ciuffo di pelo. Ma ora Lestat posò le sue mani asciutte sulle mie e mi trascinò verso di sé e verso il calore. Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e, quando la sua bocca si stiracchiò in uno strano sorriso di disperata felicità ch’era prossima al dolore, le deboli tracce delle vecchie cicatrici. Com’era sconcertante e orribile quest’uomo brillante, immortale, dal viso levigato, piegato e tremante e uggiolante come una vecchiaccia rugosa.

«‘Sì, Lestat’ mormorai. ‘Sono venuto a trovarti’. Respinsi la sua mano gentilmente, lentamente, e andai verso il bambino, che ora piangeva disperato per la paura e per la fame. Appena lo sollevai e allentai le coperte, si quietò un poco, poi gli diedi dei colpetti e lo cullai. Lestat mi sussurrava parole veloci, mezzo inarticolate, che non riuscivo a capire, le lacrime gli scorrevano lungo le guance, mentre il giovane vampiro stava presso la finestra con un’espressione di disgusto e una mano sul nottolino della finestra, come se intendesse chiuderla da un momento all’altro.

«‘Così tu sei Louis’ disse il giovane vampiro. Ciò parve aumentare l’inesprimibile agitazione di Lestat, che si asciugava freneticamente le lacrime con l’orlo della vestaglia.

«Una mosca si posò sulla fronte del bambino, e io la schiacciai tra due dita e la lasciai cadere morta sul pavimento. Il bambino non piangeva più. Mi guardava con degli incredibili occhi azzurri, azzurro scuro, il suo faccino tondo era lucido per il caldo, un sorriso giocava sulle sue labbra, un sorriso sempre più luminoso, come una fiamma. Non avevo mai dato la morte a un essere così giovane, così innocente, e me ne resi conto tenendo il bambino con una strana sensazione di dolore, ancora più forte di quella che s’era impadronita di me a Rue Royale. E cullando teneramente il bambino, avvicinai al caminetto la poltrona del giovane vampiro e mi sedetti.

«Non cercare di parlare… va bene così’ dissi a Lestat, che si lasciò cadere nella poltrona con un’espressione di gratitudine e si protese ad accarezzarmi con entrambe le mani i risvolti della giacca.

«‘Ma sono così contento di vederti’ balbettò tra le lacrime. ‘Ho sognato che venivi… che venivi…’ continuò. Poi fece una smorfia, come se sentisse un dolore che non riusciva a identificare, e nuovamente la sottile mappa di cicatrici apparve per un attimo. Guardava lontano, una mano all’orecchio, quasi volesse difendersi da un suono terribile. ‘Io non…’ cominciò; poi scosse la testa, spalancò gli occhi annebbiati dal dolore, si sforzò di mettermi a fuoco. ‘Io non volevo che lo facessero, Louis… voglio dire Santiago… quello, capisci, non m’aveva detto cosa avevano intenzione di fare’.

«‘È acqua passata, Lestat’ dissi.

«‘Sì, sì’ annuì con foga. ‘Acqua passata. Lei non avrebbe mai dovuto… perché, Louis, tu capisci…’ Scuoteva la testa, la sua voce pareva acquistare forza, acquistare un po’ di risonanza nello sforzo. ‘Lei non avrebbe mai dovuto essere uno di noi, Louis’. Si battè col pugno il petto incavato e ripeté a voce bassa ‘Noi’.

«Lei. Mi sembrò in quel momento che non fosse mai esistita. Che fosse stata un sogno irrazionale, fantastico, troppo prezioso e troppo personale perché potessi mai confidarlo a qualcuno. E da troppo tempo perduto. Lo guardai. Lo fissai e cercai di pensare: ‘Sì, noi tre insieme’.

«‘Non avere paura di me, Lestat’ gli dissi, come se stessi parlando a me stesso. ‘Non sono qui per farti del male’.

«‘Sei tornato da me, Louis’ mi sussurrò con quella voce sottile e acuta. ‘Sei tornato a casa da me, Louis, non è vero?’ E di nuovo si morse il labbro e mi guardò con aria disperata.

«‘No, Lestat’. Scossi la testa. Per un attimo fu in preda alla frenesia, di nuovo incominciò un gesto e poi un altro e infine rimase immobile, il viso coperto dalle mani, in un parossismo d’angoscia. L’altro vampiro, che mi studiava freddamente, domandò:

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